Cosa fare quando un presidente si comporta come un terrorista e impone il terrore di stato ai suoi oppositori nel giorno della ricorrenza più simbolica del paese?
di Eliane Brum*, El País 06.09.2021 (traduzione di Carlinho Utopia)
Non sappiamo cosa sarà il Brasile dopo questo 7 settembre (ndt. In Brasile si celebra la Festa dell'indipendenza dal Portogallo, avvenuta il 7 settembre 1822).
È come se stessimo vivendo un conto alla rovescia verso qualcosa di molto peggio del molto peggio che abbiamo già vissuto. Il "noi", qui, sta per noi che non possiamo accettare il genocidio, la distruzione dell'Amazzonia e di altri ecosistemi, lo schema criminale chiamato "rachadinhas", la corruzione nell'acquisto di vaccini, la diffusione del coronavirus per produrre "immunità di gregge", lo sterminio della democrazia, lo stracciare la Costituzione. Noi che non siamo bolsonaristi né prima di Bolsonaro, né con Bolsonaro né dopo Bolsonaro. Stabilito con chiarezza il "noi", cosa ci aspetta oggi?
(ndr. il sistema noto come “rachadinhas”, consiste nel trasferimento di buona parte dello stipendio di un dipendente pubblico o di veri e propri dipendenti fantasma al leader politico di riferimento.)
Bolsonaro è pigro. Come ha già dimostrato in quasi 30 anni da parlamentare, succhiando denaro pubblico senza approvare un solo progetto rilevante per il paese, e ha continuato a dimostrare dopo essere diventato presidente, Bolsonaro ha un'allergia per il lavoro. A Bolsonaro, nelle strade e sui social, piace strepitare e mimare con le dita una pistola o un fucile. Semina odio, in una campagna permanente per mantenersi prima al Congresso, ora al governo. Nessuno ha mai vinto così facile solo gridando e promuovendo violenza, distruzione e morte.
Bolsonaro è probabilmente un corrotto. Ci sono evidenze concrete per sospettare che Bolsonaro abbia messo i suoi figli in politica per fare soldi per il suo clan. È su questo che puntano tutte le indagini sullo schema criminale delle cosiddette "rachadinhas" negli uffici dei figli, con diversi riscossori legati alla famiglia che agiscono come una vera e propria associazione per delinquere.
Bolsonaro è, se non un miliziano, strettamente legato alle milizie. Ci sono dichiarazioni pubbliche sue e dei suoi figli che lodano noti miliziani. Assassini, naturalmente, il principale dei quali è probabilmente stato giustiziato in un'operazione di polizia. Ci sono medaglie date agli assassini della milizia. Ci sono parole, atti e fatti. La sua elezione ha accelerato la conversione di parte della polizia in milizie, come si è reso evidente in diversi episodi degli ultimi due anni e nella recente adesione alle manifestazioni golpiste di questo 7 settembre.
Bolsonaro è sostenuto dai più grandi distruttori dell'Amazzonia e di altri ecosistemi, così come dei suoi popoli: "grileiros" (land grabbers, ladri di terre pubbliche che hanno recentemente beneficiato dell'approvazione della "legge grilagem" da parte della Camera dei Deputati), "garimpeiros" (ndt. cercatori d'oro e minerali), "madeireiros" (ndt. taglialegna illegali, trafficanti di legname) e agenti delle corporazioni transnazionali.
Smantellando o indebolendo i sistemi di protezione e controllo ambientale, militarizzandoli, incitando l'invasione delle terre pubbliche protette, distruggendo la legislazione ambientale, portando avanti disegni di legge che permettono l'avanzata sulle aree protette, il tutto sostenuto dalla nutrita e marcia “bancada ruralista” all'interno del Congresso, Bolsonaro ha accelerato l'escalation verso il punto di non ritorno della più grande foresta tropicale del mondo. Le ricerche più recenti mostrano che la foresta sta già emettendo più carbonio di quello che assorbe, il che significa che l'Amazzonia comincia a diventare un problema piuttosto che una soluzione al collasso climatico causato dall'azione umana.
(ndr. La “bancada ruralista” è un raggruppamento parlamentare trasversale ai partiti che mette insieme i deputati vicini agli interessi dei grandi latifondisti e dell'agribusiness, una potente lobby da oltre 200 deputati)
Bolsonaro ha guidato l'esecuzione di un piano per diffondere il coronavirus per ottenere presumibilmente "l'immunità di gregge". L'azione genocida è stata provata dallo studio di oltre 3.000 regolamenti federali condotto dall'Università di San Paolo e dalla Ong Conectas Human Rights. Il risultato, ad oggi, è di quasi 600.000 vite in meno, quasi 600.000 persone che mancano a chi le amava, quasi 600.000 persone che mancano al paese. Quando il Brasile ha raggiunto il mezzo milione di vittime, una ricerca dell'epidemiologo Pedro Hallal, dell'Università Federale di Pelotas, ha indicato che 400.000 morti avrebbero potuto essere evitate se il governo federale avesse preso misure preventive. Di queste, 95.000 avrebbero potuto essere evitate se il governo avesse comprato i vaccini quando gli sono stati offerti. Questo significa l'equivalente dell'intera popolazione di una grande città. Più di una città come Pelotas, per esempio. Quasi una Santos. Diverse denunce contro Bolsonaro per genocidio e crimini di sterminio sono già arrivate alla Corte Penale Internazionale, almeno una delle quali proviene dal campo della destra.
Bolsonaro avrebbe dovuto essere condannato dalla giustizia militare quando, allora capitano dell'esercito, pianificò un attacco terroristico in cui avrebbe fatto esplodere delle bombe nelle caserme. Non lo è stato. Bolsonaro avrebbe dovuto essere ritenuto penalmente e/o parlamentarmente responsabile delle varie manifestazioni razziste, omofobe, misogine e di incitamento alla violenza espresse durante i suoi vari mandati come deputato. Non lo è stato. Bolsonaro avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile penalmente e anche dal parlamento, quando ha fatto apologia della tortura e del torturatore (ndr. il famigerato torturatore degli anni della dittatura, il colonnello Carlos Alberto Brilhante Ustra) durante l'apertura dell'impeachment di Dilma Rousseff. Non lo è stato. Bolsonaro dovrebbe già rispondere del crimine di genocidio nei tribunali brasiliani, ma, protetto da Augusto Aras, il procuratore generale di Bolsonaro che fa vergognare la Repubblica, non lo è (ancora) stato. Bolsonaro dovrebbe già rispondere alle più di cento richieste di impeachment, accantonate dal presidente della Camera dei deputati Arthur Lira e, prima di lui, da Rodrigo Maia. Non sta rispondendo.
Bolsonaro è una creatura delle deformazioni storiche del Brasile, in particolare il razzismo strutturale e l'impunità per i crimini della dittatura civile-militare (1964-85). Così, dal 2019, per tutte le azioni e le omissioni delle élite del paese, il Brasile è governato non solo dal peggior presidente nella storia della nostra democrazia a singhiozzo, ma da uno dei peggiori esseri umani di sempre. Bolsonaro si è comportato nella vita pubblica come un criminale compulsivo. E Bolsonaro è pericoloso. Il Brasile oggi è governato da un uomo molto pericoloso. E in questo 7 di settembre, è determinato a mostrare tutto il potenziale del suo odio per tutto ciò che non sia egli stesso.
In questo 7 di settembre, Bolsonaro ha deciso di convocare la sua schiera di fedeli per terrorizzare il paese. L'ha fatto perché è l'unica strategia in cui è competente e perché è con le spalle al muro, e molto. Se non terrorizzasse il paese nella data "civica" più simbolica del Brasile, sarebbe molto probabilmente esposto a grandi manifestazioni di massa che invocherebbero il suo impeachment, al grido di "Fuori il genocida" e "Bolsonaro in galera". Bolsonaro ha giocato d'anticipo, invitando i suoi sostenitori, che si comportano come credenti politici a, letteralmente, armarsi ed occupare le strade.
Questo perché Bolsonaro arriva al 7 settembre con una popolarità in forte calo, una parte dei tribunali superiori che (finalmente) fanno il loro lavoro di protezione della Costituzione, le indagini sullo schema di corruzione delle "rachadinhas" che stanno accerchiando sempre più i suoi figli, il bilancio dei morti di covid che si avvicina a 600.000 mentre la variante delta si infiltra rapidamente nel paese, la disoccupazione che erode la vita di più di 14 milioni di persone, l'inflazione che aumenta insieme al numero degli affamati e nessun miracolo all'orizzonte per la rielezione nel 2022. Per evitare il suo impeachment al Congresso, Bolsonaro ha foraggiato i deputati del cosiddetto Centrão con cifre a molti zeri di denaro pubblico. Ma Bolsonaro conosce chi è fatto della sua stessa materia - e quindi sa che non ci si può fidare degli alleati di oggi.
(ndt. “Centrão”, letteralmente “Grande Centro”, una coalizione di partiti che sostiene il presidente in cambio di incarichi e voci di bilancio. Sono soprannominati “deputados de aluguel”, letteralmente “parlamentari in affitto”, che si vendono al miglior offerente.)
Bolsonaro sa anche che, se pur gli riuscirà di produrre immagini di grandi manifestazioni a suo favore il 7 settembre, e probabilmente accadrà, oggi i suoi sostenitori sono una minoranza in Brasile. La maggioranza della popolazione brasiliana, come hanno dimostrato diversi sondaggi, non vuole Bolsonaro. Ciò che Bolsonaro controlla oggi è una minoranza di "uguali", che erano già bolsonaristi prima che Bolsonaro apparisse per dargli un nome. In parte per varie ragioni che si possono trovare nelle deformazioni della democrazia brasiliana e nell'abissale disuguaglianza del paese, in parte, come la sua base in Amazzonia, perché beneficia ampiamente di Bolsonaro al potere, aumentando il suo patrimonio di terre e risorse pubbliche di cui si appropria con l'appoggio del governo federale miliziarizzato.
Bolsonaro può anche contare sulla maggior parte dell'élite economica del paese, quella stessa parte che lo ha generato e sostenuto alla presidenza. La vergognosa telenovela delle lettere e dei manifesti del cosiddetto "Pib" dimostra che stanno dalla parte in cui sono sempre stati, la loro (ndr. Il riferimento è ad un recente manifesto firmato da molti banchieri ed impresari in cui si difendono democrazia ed elezioni e si ripudiano avventure autoritarie). Il paese è il loro giardino dal quale attingere e il popolo, carne a buon mercato. L'unica differenza tra quelli che si sono rifiutati di dire qualcosa e quelli che non hanno detto quasi nulla è che alcuni pensano che Bolsonaro abbia già dato gli utili che doveva dare, distruggendo i diritti e le leggi che dovevano essere distrutte per poter trarre più profitto, aprendo la strada a iniquità fino a prima impensabili ma che, d'ora in avanti, il colpo potrebbe partire dal manico e, invece di uccidere indigeni e neri, colpire di striscio i loro conti bancari. Altri pensano che c’è ancora spazio per massacrare il paese ancora un po’, che c'è ancora margine per qualche altro misfatto dal quale il paese impiegherà decenni per riprendersi ma che farà qualche miliardario e supermilionario in più.
Aspettarsi che qualcosa di minimamente decente emerga dalla porzione di élite economiche che controllano il paese fin dai tempi delle “capitanerie ereditarie” (ndr. un modello di sfruttamento del territorio brasiliano implementato dai portoghesi all’inizio del XVI secolo), motivate solo dall'estrazione e dal profitto, significa essere più "ingenui" di coloro che affermano di aver votato per Bolsonaro perché pensavano che fosse onesto e che avrebbe portato persone oneste al governo. O che sarebbe possibile controllarlo.
Bolsonaro ha sostegno, ma oggi è in minoranza. Così, non gli resta altro per il momento che imporre il terrore, una lezione che ha imparato da ragazzo nell'esercito, quando le truppe della dittatura davano la caccia agli oppositori da torturare e giustiziare nella regione in cui viveva e più tardi, quando già era ufficiale dell'esercito, pianificando un attacco terroristico e riuscendo a farla franca per poi iniziare la carriera da deputato. In questo 7 settembre, più che dare una dimostrazione di forza, per Bolsonaro è importante annullare la resistenza che si stava organizzando contro di lui, con le piazze che avrebbero chiesto l'impeachment. Più importante che riempire le strade con i suoi uguali è impedire all'opposizione di farlo. Bolsonaro quasi certamente ci è riuscito.
Tutto indica che una parte significativa degli oppositori non scenderà in piazza questo 7 settembre per una ragione più che legittima: la paura di essere uccisi dai proiettili sparati dai seguaci convocati da Bolsonaro, siano essi civili o della polizia militare. Siamo arrivati a questo punto. Questa è la dimensione dell'abisso. E si allarga. Il golpe è già in atto, come scrivo da molto tempo, e si allarga di giorno in giorno. Quello che non sappiamo ancora è fino a dove può arrivare. Ed è con questo che Bolsonaro sta giocando per rimanere al potere. Minaccia di andare oltre, minaccia di finire di far esplodere le istituzioni, e forse ci riuscirà. In un paese in cui i cittadini che si oppongono al presidente non possono scendere in piazza a manifestare nella data più importante del calendario ufficiale perché potrebbero essere uccisi dai sostenitori istigati dal presidente non c'è più democrazia. È necessario riconoscere questo per poter fermare l'espansione del progetto autoritario.
Quello che Bolsonaro sta dicendo è che quel poco che resta della democrazia in Brasile non sarà in grado di impedirgli di continuare il colpo di stato in corso. Bolsonaro sta facendo un test. Come ha fatto Donald Trump prima di lui, con le conseguenze che conosciamo, in un paese con istituzioni molto più solide.
Cosa fare di fronte a questo ultimatum in cui chi perde il sostegno delle urne cerca di rimanere al potere con la forza?
Tutti dovrebbero prendere posizione e fare la loro parte. E, soprattutto, le istituzioni che ancora resistono dovrebbero usare il potere costituzionale che ancora hanno. E la stampa dovrebbe compiere il suo dovere con la responsabilità che le compete in un progetto democratico, ma che spesso viene dimenticata in nome di interessi estranei al giornalismo. Questo è un momento cruciale. E non esiste un manuale per affrontarlo. Nemmeno quelli che hanno vissuto la dittatura civile-militare sono preparati a rispondere all'orrore di avere un uomo che si comporta come un terrorista alla presidenza. Ma questo è quello che stiamo vivendo oggi in Brasile. Il modo in cui Bolsonaro ha preparato il 7 settembre può essere inquadrato come terrorismo di stato.
È importante riconoscere che Bolsonaro ha già raggiunto parte del suo obiettivo, quello di impedire grandi manifestazioni dell'opposizione contro di lui. La sinistra è divisa sull'opportunità di scendere in piazza il 7 settembre. Non è impossibile, ma è improbabile che ci sia un numero maggiore di oppositori rispetto ai bolsonaristi. Con la sua minaccia esplicita, Bolsonaro è già riuscito a far sì che la realtà evidenziata dai sondaggi, vale a dire che oggi è sostenuto solo da una minoranza, venga distorta nelle piazze. Poiché la manipolazione è centrale nel suo modo di operare, ne sta preparando un'altra, cercando di simulare di avere l'appoggio della maggioranza della popolazione attraverso l'immagine di una piazza affollata e che l'opposizione è invece minoritaria o codarda, perché per la gran parte preferisce rimanere a casa per paura di essere uccisa dai proiettili dei suoi sostenitori o dalla parte miliziarizzata di poliziotti che lo appoggiano. È probabile che ottenga immagini così manipolate per cantare vittoria a San Paolo e anche a Brasilia.
È importante capire che Bolsonaro è riuscito a reprimere parte delle manifestazioni contro di lui non perché è intelligente, ma perché è armato. Bolsonaro ha imposto e continua a imporre il terrore ad un insieme di popolazione alla quale per dovere costituzionale dovrebbe garantire protezione. Le istituzioni dovrebbero sapere cosa fare con un presidente che si comporta come un terrorista contro il suo stesso popolo. Spero che lo sappiano.
Non è facile, come cittadino, decidere di andare o non andare in piazza questo 7 settembre contro Bolsonaro. Come opinionista, penso che, sebbene sia molto difficile analizzare una storia in movimento accelerata da un presidente che si comporta come un terrorista, ho il dovere etico di posizionarmi chiaramente. Non come padrona della verità, ma cercando di fare il meglio che posso con i fatti disponibili. Preferisco sbagliare per azione che per omissione. E so che, il giorno seguente o addirittura la sera stessa, appariranno diversi analisti con lo specchietto retrovisore per fare l'analisi perfetta dei fatti, l'analisi di chi sa e di chi ha capito e previsto e predetto e concluso e ci ha azzeccato. Non come se stessero analizzando l'accaduto, cosa del tutto legittima, ma affermando che avevano già previsto tutto quello che sarebbe successo, solo che hanno preferito non dirlo a nessuno per non rovinare la sorpresa.
Rispetto molto profondamente i movimenti e le persone che sostengono di scendere in piazza il 7 settembre in nome della resistenza a Bolsonaro e al suo governo autoritario. E rispetto molto profondamente l'argomento che i più poveri, e in Brasile la maggior parte dei più poveri sono neri, vengono già uccisi nelle periferie da molto tempo. Tuttavia, penso che in questo momento sarebbe meglio che Bolsonaro trovasse le strade vuote. Che i suoi oppositori, ora in maggioranza, stiano a casa o si riuniscano in spazi dove hanno la possibilità di proteggersi. Questa volta non siamo di fronte ad avversari politici, ma ad un presidente che si comporta come un terrorista, con la macchina dello Stato a suo favore e parte della polizia che agisce come una milizia. Non credo che si debba mettere il proprio corpo davanti a dei fanatici armati. Può non succedere niente. Può succedere tutto. Uso il principio di precauzione. Basta che uno dei seguaci di Bolsonaro voglia mettersi in mostra, determinato a diventare un eroe, perché accada una tragedia.
Ci sono prove più che sufficienti che una parte delle forze di sicurezza, che dovrebbero garantire l'integrità dei cittadini e il loro diritto costituzionale a manifestare, sono diventate milizie. Ci sono fatti più che sufficienti per dimostrare che una parte della polizia militare non obbedisce più ai governatori. Ci sono scarse garanzie che la polizia sia disposta a proteggere coloro che si oppongono a Bolsonaro in questo 7 settembre. E così, le manifestazioni dell'opposizione corrono il rischio -con qualsiasi pretesto, e ce n’è sempre uno- anche di affrontare agenti di polizia che sparano ai cittadini.
La democrazia esiste perché le leggi -e non le armi- regolino le relazioni. Bolsonaro ha invitato i suoi sostenitori a caricare le loro armi per distruggere la Costituzione. Con il terrore, il presidente è diventato padrone del campo e ha determinato le regole del 7 settembre. Penso che in questo momento potrebbe essere più potente mostrare -e dichiarare- al mondo che il diritto costituzionale di manifestare è stato sequestrato in Brasile per quelli che si oppongono a Bolsonaro. Ed è stato sequestrato con la minaccia e la coercizione. Questo deve essere stabilito e riconosciuto all'interno e all'esterno del paese. Bolsonaro può non scegliere (ancora) quando manifestiamo contro di lui, ma sta scegliendo quando non possiamo, appropriandosi del 7 settembre con l'imposizione del terrore.
Rispetto coloro che rischieranno la vita perché Bolsonaro e la sua banda non regnino da soli nelle strade del 7 settembre, ma credo che questo paese abbia già abbastanza martiri. Questo paese produce martiri ogni giorno. Per affrontare Bolsonaro e tutto ciò che rappresenta abbiamo bisogno di gente viva. Per rifondare il paese abbiamo bisogno di gente viva. La lotta è oggi e dovrà continuare l'8 e oltre. La lotta, che per molti è sempre, questa volta sarà lunga per quasi tutti.
Quello che chiamiamo popolo brasiliano non è composto di vigliacchi. Al contrario. È il risultato di una monumentale resistenza quotidiana contro ogni forma di morte. Il più grande esempio di questa resistenza monumentale è, in questo momento, l’accampamento dei popoli indigeni a Brasilia. Gli indigeni, che resistono allo sterminio letteralmente da 500 anni, sono arrivati nelle ultime settimane nel centro del potere per il processo del cosiddetto "Marco Temporal", una delle tesi più perverse di una storia segnata dalla perversione.
Con il " Marco Temporal ", solo i popoli che erano nei loro territori il 5 ottobre 1988, data della promulgazione della Costituzione, avrebbero diritto alle loro terre ancestrali. Ma si scopre che, se i popoli non erano nelle loro terre in quella data, è perché avevano dovuto lasciarle per non essere uccisi da grileiros, garimpeiros, madereiros o da compagnie transnazionali. Erano stati costretti a lasciare le loro terre per evitare che tutta la loro comunità fosse assassinata, e ora i legislatori sostengono che hanno perso il diritto alla loro casa perché non erano lì.
Poiché il processo presso il Supremo Tribunale Federale è stato prolungato, una parte degli indigeni e dei loro leader è ancora accampata a Brasilia. Altre ed altri sono arrivate/i per la marcia delle donne indigene, che inizia l'8 settembre. È essenziale che le istituzioni che ancora sono in piedi assicurino la protezione dell’accampamento dagli attacchi bolsonaristi -e che la stampa rimanga vigile, pronta a denunciare al mondo qualsiasi tentativo di massacro dei popoli originari.
C'è una resistenza quotidiana a Bolsonaro e ai bolsonaristi da tutte le parti. Ma c'è bisogno di più sostegno per coloro che sono in prima linea nella lotta non solo il 7 settembre, ma da molto tempo. Nelle ultime settimane, alcune delle persone più coraggiose che agiscono oggi in Brasile sono state messe in sicurezza per non essere uccise, poiché le recenti manifestazioni presidenziali per il 7 settembre hanno ulteriormente intensificato la violenza, soprattutto in Amazzonia. Le reti di protezione intessute dalla società per coloro che sono in cima alla lista dei minacciati di morte si stanno allargando in Brasile. Non è stato facile per nessuna di queste persone decidere di lasciare temporaneamente il loro territorio di appartenenza, dove subiscono attacchi e rischiano giorno dopo giorno. Ma hanno capito che per lottare bisogna essere vivi. Le ritirate strategiche sono una prova di coraggio e di intelligenza, solo i bruti vincono con la forza bruta. La lotta è lungi dall'essere finita e abbiamo bisogno di tutte le persone. Se c'è una cosa di cui il Brasile non ha bisogno, è di avere più cadaveri. Non possiamo permettere che ci usino per giustificare la violenza che Bolsonaro e i suoi hanno scelto come forma di vita e di riproduzione del potere.
Il 7 settembre è sempre stato esaltato dagli oppressori. Durante la dittatura, le scuole erano obbligate a sfilare per la patria, in una patria umiliata dai generali golpisti, mentre gli oppositori venivano torturati e giustiziati da agenti dello Stato, nei locali di organi di Stato, che obbedivano a una politica di Stato. Lasciamo ai violenti la data della nostra tragicomica indipendenza. Questo 7 settembre in cui l'indipendenza venne annunciata dal discendente di coloro che diedero inizio a una nazione fondata sullo sterminio prima degli indigeni, poi dei neri schiavizzati. Questo 7 settembre in cui Dom Pedro I dichiarò il Brasile indipendente dal Portogallo mentre viaggiava a cavallo di un mulo e prostrato dalla diarrea. I nostri simboli sono altri e riecheggiano una resistenza di 500 anni.
Occupare le strade è vitale per qualsiasi movimento di resistenza. È un momento di incontro, è un momento di dichiarazione di principi, è un momento per stringere legami. È un momento per fare comunità e lottare per il bene comune. In questo 7 settembre, però, c'è un presidente che si comporta come un terrorista che determina le regole. E controlla la macchina dello stato. Noi che ci opponiamo a Bolsonaro non lottiamo solo un giorno. Ma tutti i giorni. Saremo in piedi il 7 settembre. E saremo in piedi nei giorni seguenti. Il principale atto di resistenza in Brasile è rimanere vivi per continuare a lottare.
*Eliane Brum è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista si occupa in particolare di Amazzonia e di periferie urbane. Collabora con El País e The Guardian e i suoi articoli appaiono anche sulla rivista Internazionale. Ha pubblicato un romanzo, Uma Duas (2011), e varie raccolte di interviste e reportage, tra cui “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro” (Arquipélago). In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere (Feltrinelli 2011). Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo. “Le vite che nessuno vede” è stato selezionato per il National Book Award 2019 ed è stata tradotta in numerosi paesi.
Oltre che su questo blog, altri articoli di Eliane Brum tradotti in italiano sono presenti sul sito Il Resto del Carlinho Utopia, qui
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