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02.03.15

Rio de Janeiro: la guerra dello Stato contro il diritto di esistere dei neri e dei poveri delle favelas.

La rivolta della favela Maré.

Lunedì 23 febbraio, una manifestazione pacifica di abitanti del complesso di favelas della Maré, indetta insieme ad organizzazioni per i diritti umani per protestare contro l'escalation di violenza provocata dall'occupazione militare che va avanti ormai da un anno, e che ha provocato negli ultimi giorni morti e feriti tra la popolazione, è stata ferocemente repressa dalla polizia e dall'esercito.

Una pioggia di gas lacrimogeni si è abbattuta addirittura dentro le case, mentre sulla tangenziale che passa nei pressi della favela, si è assistito a vere e proprie scene di guerra. Sono intervenuti i blindati dell'esercito e le truppe antisommossa della polizia.

In varie situazioni gli agenti ed i militari hanno aperto il fuoco contro gli abitanti che, esasperati, si sono riversati in strada mettendo in atto una vera e propria resistenza a colpi di pietre, bottiglie e fuochi d'artificio. Grazie al giornalista Patrick Granja, autore del video per il Jornal A Nova Democracia, per il solito straordinario lavoro di informazione alternativa.

02.03.15

Incontri che lasciano i segni. Una cronaca della manifestazione alla favela Maré

di Priscila Pedrosa Prisco, Avvocata della Commissione Diritti Umani della OAB-RJ (Ordine degli Avvocati di Rio de Janeiro)

pubblicato su Círculo de Cidadania, il 26.02.15

 

Dopo essermi un po' ripresa dallo chock subito seguendo oggi la manifestazione a favore della vita della popolazione della favela della Maré, dove mi trovavo, una volta ancora, a rappresentare la Commissione Diritti Umani della OABRJ (Ordine Avvocati di Rio de Janeiro),  sento il dovere civico di raccontare quello di cui sono stata testimone. Non riesco più a contenere tutte le cose che sento dentro. Ho aspettato a scrivere, volevo prima cercare di calmarmi, e solo adesso comincio a prendere coscienza della nostra realtà di guerra.

 

Provo una certa vergogna nello scrivere quello che ho visto, già che la mia mediocrità da "Zona Sul" (ndt. la zona sud, i quartieri di lusso di Rio de Janeiro, affacciati sulle celebri spiagge di Ipanema, Copacabana, ecc.) si mantiene a costo del sangue della popolazione che vive nelle favelas. Mi accorgo di essere così ignorante circa la realtà. Me ne sono resa conto nell'imbattermi con la guerra vera nella (stessa città?) dove abito.

Beh, è addirittura ridicolo che io dica di conoscere la realtà della città dove vivo, perché malgrado il mio lavoro con i Diritti Umani, mi sono resa conto di non aver avuto, prima d'oggi, alcuna nozione di ciò che avviene dietro le quinte del potere affinché quello scenario possa mantenersi. Ho solo seguito tre ore di terrore di una occupazione militare, chiamata "pacificazione", che dura già da tre mesi e che corre il rischio di essere prorogata.

Quando, intorno alle 18, sono arrivata nel luogo di concentramento della manifestazione, in una delle entrate del complesso di favelas della Maré, ho visto molti giornalisti dei media indipendenti, di quelli mainstream, consiglieri comunali ed attivisti che erano venuti a sostenere la manifestazione nel tentativo di garantire che la stessa venisse rispettata dalle autorità. Ho subito sentito una grande tensione: molte auto della polizia militare, blindati dell'esercito, molti uomini della polizia militare intorno a noi, che scattavano foto e filmavano tutti i presenti.

 

In mezzo a questo gioco di passioni ed incertezze, tipico di una guerra, ho visto un tentativo dolce e coraggioso, quello di circa 130.000 persone (gli abitanti della favela Maré) che cercavano di vivere una vita "normale". Un tentativo coraggioso quello di entrare ed uscire dalla favela, di uscire di casa, di bersi una birra al bar, di prendere un moto-taxi, insomma, un tentativo assolutamente coraggioso di vivere ed essere felici in mezzo a quella contraddizione.

 

Intorno alle 19, la manifestazione si è mossa, con circa 700 cittadini che reclamavano il loro diritto alla vita. Ho seguito il corteo ed abbiamo bloccato una corsia della Avenida Brasil (ndt. grande arteria di comunicazione carioca), con striscioni, cartelli, lacrime e grida che esprimevano il dolore di molte madri che hanno perso i loro figli per la guerra.

 

Siamo andati in direzione della Linha Amarela (ndt. la "Linea Gialla", una tangenziale di Rio de Janeiro), manifestazione pacifica, bella, emozionata, forte in un clima molto teso. Quando l'abbiamo raggiunta, c'è stato un tentativo di bloccare le corsie nei due sensi di marcia,  immediatamente represso dai militari con una sventagliata di spray al peperoncino che, da solo, è riuscito a disperdere quasi la metà dei manifestanti. Il corteo ha proseguito per circa 200 metri e, nel passare di fronte ad una passerella pedonale che scavalca la tangenziale, ho visto una barricata di sacchetti di sabbia, dietro alla quale dei ragazzini, militari dell'esercito, erano pronti a combattere da un momento all'altro. Erano strategicamente posizionati vicino ad un albero, in maniera tale da non essere visibili dalle macchine che transitavano.

 

Ho proseguito ancora un po', rimanendo in coda al corteo insieme ad alcuni compagni, e ho sentito uno sparo. Era un poliziotto militare che aveva sparato in alto: ed altri partecipanti alla manifestazione si sono dispersi. Buona parte ha proseguito coraggiosamente lungo la Linha Amarela, ma ora non c'era più uscita. Per la paura di rimanere intrappolati, io ed altri compagni ci siamo avvicinati alle barricate con i ragazzini dell'esercito. Anche loro sembrava avessero paura. E allo stesso tempo sembrava che temessero in qualche modo per la nostra sicurezza in quel posto. Realmente non li ho visti come uomini cattivi pronti ad uccidere per piacere. Ho visto persone molto tese, stressate, impaurite e con un'arma in mano.

 

La tensione era palpabile da ogni lato: quello dei poliziotti, della popolazione, degli autisti bloccati lungo la Linha Amarela, mia, dei miei compagni, della stampa, insomma, tutti quanti, lì, avevano la sensazione che qualcosa sarebbe potuto accadere. Non sapevo cosa fare: se restare, se tornare indietro, oppure se unirmi agli altri compagni che continuavano a sfilare in corteo, ho visto il cielo diventare rosso. Vari spari, proiettili traccianti che solcavano il cielo più o meno nella nostra direzione.

 

Io stavo ferma, senza sapere cosa fare, sentivo le grida dei poliziotti e dei militari dell'esercito: "sdraiatevi a terra" e altri "accostatevi al muro". Un signore, un abitante del posto, è passato vicino a me come se tutto quello non fossero altro che fuochi d'artificio e con calma mi ha detto: "vai da questa parte che non c'è pericolo". Così ho fatto quello che mi ha detto.

 

Abbiamo proseguito attoniti fino al punto del concentramento, certi della nostra più assoluta insignificanza di fronte alla guerra, molto preoccupati per le persone che hanno proseguito la manifestazione fino al comando della polizia militare.

Abbiamo ricevuto messaggi di compagni dicendo che la Polizia Militare stava sparando raffiche di mitragliatrice e che avevano paura, e che i poliziotti stavano sparando molte granate. Siamo rimasti vicino ad un distributore di benzina, aspettando notizie e, letteralmente, cercando di amministrare vari sentimenti contrastanti in una volta sola: la paura, l'indignazione, la rabbia, l'impotenza, la solidarietà, etc. L'unica certezza che avevamo era che nulla di tutto quello aveva alcun senso, che quella non poteva essere la realtà per nessuno.

 

I cittadini che abitano nelle favelas di Rio convivono con questo tutti i giorni. Perché qualcuno dovrebbe aver pensato che loro non avrebbero avuto il coraggio di proseguire fino alla fine della manifestazione? Cos'altro mai potevano avere da perdere?

I cittadini delle favelas sanno che non è necessario solo coraggio, è necessario avere istinto di sopravvivenza per richiamare l'attenzione della società sulla guerra che si svolge sotto il nostro naso, richiamare l'attenzione della società sul fatto che anche loro hanno il diritto di vivere. O questo, o accettare la morte! La morte è selettiva, muoiono solo loro. Forse per questo io avevo avuto il coraggio di andare fino ad un certo punto, ma forse non avevo avuto l'istinto, perché nel mio mondo di fantasia le pallottole sono di gomma.

 

La rabbiosa rivolta dei cittadini che abitano le favelas si canalizza, inevitabilmente, contro quelli che si sporcano le mani di sangue, tutti i giorni. Ma i veri colpevoli non sono quelli che premono il grilletto. Una sequenza di errori! Un'ipocrisia mettere persone povere ad uccidere altre persone povere e far si che tutti credano che si tratti di un problema di poliziotti "buoni" o  "cattivi " solo per sviare l'attenzione dal vero problema strutturale, a chi giova questo tipo di sicurezza pubblica.

 

E nel frattempo, lasciamo che i veri organizzatori della guerra siano considerati vittime di un supposto "golpe".

 

Chi è il nemico? La guerra è di chi contro chi?

 

La guerra è del governo (Statale - Federale - Municipale) contro la popolazione povera.

 

La guerra in nome della politica proibizionista sulle droghe, nella nostra città uccide e tortura più che tutti i casi di morte per overdose nel mondo.

 

Torno, allora, nel posto da dove avevamo cominciato il corteo e vedo una sfilata di carri armati, almeno 6 che passano in fila indiana da una stradina all'altra. A questo punto stavamo cercando la macchina di Alexandre Mendes, parcheggiata in un posto che lui non ricordava più.

Ci siamo persi e vagavamo nello scenario più strano che avessi mai visto: da un lato, bar e ristoranti aperti, con musica dal vivo e, dall'altro, i carri armati. Il GPS ci ha salvato, avendo registrato il luogo dove Alexandre aveva parcheggiato.

 

Poi, all'improvviso, una persona ha urlato dentro una casa ed è corsa fuori. Ci siamo spaventati, ma questa volta si trattava solo di una lucertola. Tutto normale. Noi che abbiamo la sorte di non dover restare là, siamo tornati nel mondo di fantasia della Zona Sul, ma io, comunque, non sono più la stessa persona di prima.

 

Intanto, i cittadini della favela della Maré restano là, a lottare per il diritto di esistere.

Esercito alla favela da Maré - foto Rachel Gepp

"Stiamo seminando la pace. Tocca a te prendertene cura. Collabora con la tua comunità."

Forza di "Pacificazione" alla favela da Maré.

Foto Rachel Gepp

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