29 aprile 2014
Contro il razzismo niente banane, niente scimmie, per favore!
dal Blog di Negro Belchior
traduzione in italiano di Carlinho Utopia
La foto a sinistra l'hanno vista tutti. È l'asso brasiliano Neymar con suo figlio in braccio e due banane a sostegno del calciatore Daniel Alves e contro il razzismo nel calcio.
L'immagine a destra è del pigmeo Ota Benga, che fu esposto accanto alle scimmie nello zoo del Bronx, a New York, nel 1906. Ota fu portato dal Congo a New York e la sua esibizione in uno zoo americano servì come esempio di quello che gli scienziati del tempo sostenevano essere una razza evoluta inferiormente a quella umana. La storia di Ota servì a dare impulso a teorie circa la supremazia razziale ariana sposata da Hitler. La sua storia è raccontata nel documentario "The Human Zoo".
Il confronto tra i neri e le scimmie è razzista nella sua essenza. Tuttavia molti non capiscono la gravità dell'uso della figura di una scimmia come un'offesa, un insulto ai neri.
Ho trovato questa storia in un sensazionale articolo che ho letto qualche tempo fa, e che riportava anche le riflessioni di James Bradley, docente di Storia della Medicina presso l'Università di Melbourne, in Australia. Egli scrisse un testo intitolato "La scimmia come insulto: una breve storia di un'idea razzista". Termina l'articolo dicendo che "Il sistema educativo e scolastico non stanno facendo abbastanza per educarci sulla scienza o sulla storia dell'essere umano, perché se lo facessero, assisteremmo alla scomparsa dell'uso della scimmia come insulto.
"No, caro Neymar. Non siamo tutti scimmie." E non sarà questa espressione a darci uno strumento per combattere il razzismo. Ma è bene distinguere: una cosa è la reazione di Daniel Alves che mangia la banana lanciatagli in campo in un evidente e banale atto razzista da parte di una tifoseria; un'altra cosa è la campagna in sostegno a Daniel e di denuncia del razzismo, promossa da Neymar.
In Brasile, la maggior parte dei calciatori provengono dalle classi più povere. Anche se questo sta cambiando - perché il calcio è cambiato - ancora è così. Tra questi, la maggior parte di quelli che raggiungono grande successo sono neri. Per rincorrere il sogno di fare carriera fin da piccoli, in pochi studiano. I "fuoriserie", vengono "scoperti" sempre prima ed una volta raggiunto il rango di "stelle", vivono in un mondo a parte, in una bolla. Pochi sono stati o sono coloro che riescono ad unire il genio dello sport ad una testa pensante. E quando si parla di razzismo, il trend sta peggiorando.
E Daniel ha mangiato la banana! Ironia? Forma di protesta? Intelligenza? Tuttavia, lui stesso ha detto in un'intervista dopo la partita: "È così! Non cambierà mai. Da 11 anni convivo con la stessa cosa in Spagna. Non ci rimane che ridere di questi ritardati." Si tratta di un atteggiamento. Non c'è nulla da interpretare. Egli ha elaborato una risposta obiettiva al razzismo: Ignoriamolo e ridiamone!
C'è un proverbio africano che dice: "Ognuno vede il sole di mezzogiorno dalla finestra di casa sua." Dal luogo da cui Daniel parla, dal firmamento sportivo, dai guadagni milionari, dalla vita vissuta in Europa, dalla sua titolarità nella squadra nazionale di calcio brasiliana, per lui, questo è quanto di meglio e di più comodo si possa fare: ignorare e ridere. Facciamone una barzelletta! Guardiamo questi idioti razzisti e diciamogli: io sono ricco, stronzo! Io sono famoso! Ho 5 Ferrari, idiota! Puoi lanciare banane a volontà!
Il razzismo li disturba. E li colpisce. Ma in che modo? Dopo tutto, sono ricchi! L'elemento economico attenua l'effetto del razzismo, ma non lo annulla. In questo senso, i razzisti e banane forniscono un servizio: ricordano a questi ragazzi che sono neri e che il denaro e la fama non li rendono bianchi!
Daniel Alves, Neymar, Dante, Balotelli e tanti altri giocatori di alto livello e salari avranno poche possibilità di essere scambiati per rapinatori e rimanere in prigione diversi giorni, come nel caso dell'attore Vinicius; improbabile che possano essere "desaparecidos" dopo essere stati torturati e uccisi, così come è successo al muratore Amarildo; nulla fa pensare che essi possono avere i loro corpi trascinati sull'asfalto da una macchina della polizia come è successo a Claudia, e non dovranno scappare dalla polizia e finire con i loro corpi senza vita lanciati nell'intercapedine di un asilo. Banane a parte, difficilmente saranno trattati come animali, mentre saranno alla ricerca di una vita dignitosa come rifugiati in un paese "amico", dalla sincera democrazia razziale, così come accade alle centinaia di haitiani negli stati brasiliani dell'Acre e di San Paolo.
Il razzismo non li colpisce in questo modo. Ma li colpisce. E la loro reazione è proporzionale. Spetta a noi dire che la loro reazione non ci serve! Per noi, nere e neri brasiliani e del mondo che non abbiamo avuto il talento (o la fortuna?) di diventare delle Star, non sarà possibile mangiare la banana di dinamite, o succhiare le pallottole dei fucili, o sbucciare la guaina dei coltelli. Tocca a noi parafrasare Daniel, al contrario: "Non deve essere così! Abbiamo bisogno di cambiare! Viviamo da 500 anni con questa stessa cosa in Brasile. Dobbiamo farla finita con questi razzisti ritardati, specialmente quelli in uniforme e cravatta."
Quanto a Neymar, è bravo con il pallone. E come quasi tutti i geni del pallone, accumula tutta l'intelligenza nella punta dei piedi. Posa con suo figlio biondo, ignaro del fatto che essendo biondo, anche se si appendesse ad un casco di banane, non potrà mai essere chiamato scimmia. L'insulto, in questo caso, non avrebbe senso. Ci domandiamo: il suo modo di combattere il razzismo è stato una trovata pubblicitaria o semplicemente buona volontà? Sia quel che sia, a noi non serve.
Io sono nero, nato in un paese dove la violenza e la povertà sono i presupposti per la vita della maggioranza della popolazione che è nera. Caro Neymar, ma no.... Cari Luciano Hulk, Angelica, Reinaldo Azevedo Neves Ezio, Dilma Rousseff, gli artisti e i media che, in toto, hanno esaltato il "mangiare la banana" e ora condividono foto impugnando il delizioso frutto, in questo paese, così come in tutto il mondo, la comparazione di una persona dalla pelle nera ad una scimmia è qualcosa di culturalmente offensivo.
Io, in quanto nero, non lo ammetto. La banana non è un'arma e nemmeno serve come simbolo della lotta contro il razzismo. Al contrario, lo riafferma nella misura in cui la mette in relazione ad una scimmia e soprattutto nella misura in cui semplifica squalifica e, peggio ancora, rende umoristico il dibattito sul razzismo in Brasile e nel mondo.
Il razzismo è una cosa molto seria. Viviamo in Brasile una stupefacente escalation di violenza razzista. Questo tipo di atteggiamento e di reazione, spoliticizzata e decontestualizzata di sportivi, artisti, opinion leader e governanti ha un obiettivo certo: nascondere il suo vero significato dal razzismo che genera dalle banane in un campo di calcio fino al genocidio dei neri che continua in tutto il mondo.
Io adoro le banane. A casa mia non mancano mai. E penso che le scimmie siano animali incredibili, intelligenti e forti. Amo il film Il pianeta delle scimmie e ogni volta che lo guardo, soprattutto il primo, immagino quanto gli esseri umani meriterebbero una punizione simile. Discendiamo da loro e la storia dell'evoluzione della specie è bellissima. Ma se è per fare delle associazioni alle origini, perché non dire che # SiamoTuttiNeri? Perché non dire # SiamoTuttiAfricani? Perché non ricordare che è dall'Africa che veniamo, tutti e di tutti i colori? E che per questo il razzismo, in tutte le sue forme, è una stupidità incompatibile con la stessa evoluzione umana? E, se lo siamo, perché ci trattano così?
Ma no. No, non è un giardino zoologico...
Pertanto, niente banane, niente scimmie, per favore!