05.06.15
Il Brasiliano cordiale
di Luiz Ruffato*, pubblicato su El Pais il 03.06.15
Giorni fa, al termine di una conferenza con circa 300 studenti di una università privata a San Paolo, mi sono ritrovato a pensare, guardando la platea affollata di giovani: quanti di noi, lasciando questo edificio, arriveranno a casa incolumi?
Perché, di questi tempi, la nostra vita vale così poco che sopravvivere un altro giorno è il massimo a cui aspiriamo.
Tutti noi conosciamo famiglie distrutte dalla violenza e, poco a poco, la società paralizzata dalla paura diventa ostaggio della propria impotenza.
E, malgrado la sensazione di violenza contamini la società in generale, ci colpisce in modo particolare a seconda della classe sociale a cui apparteniamo, del colore, dell'età e dell sesso, e della regione del paese in cui abitano.
Di ogni tre persone uccise in Brasile, due sono nere e il 93% del totale di sesso maschile. I giovani tra i 15 ei 29 anni rappresentano il 54% delle vittime. Il Nordest da solo concentra il 37% di tutte le morti violente nel paese, con Alagoas in testa, con un tasso di 65 morti ogni 1.000 abitanti, il doppio della media nazionale. In quella regione si concentrano anche le cinque capitali più violente: João Pessoa, Maceió, Fortaleza, São Luís e Natal. Le armi da fuoco sono protagoniste dell'80% dei crimini e quasi il 60% di tutti gli omicidi sono direttamente o indirettamente collegati al traffico di droga. E, cosa più inquietante: il 90% degli omicidi restano impuniti, mai risolti...
Se le donne rappresentano solo il 7% del totale delle vittime di omicidio, sono però vittime della quasi totalità dei casi di stupro, forma di aggressione devastante. Il Brasile registra quasi 53.000 casi di violenza sessuale all'anno, che, si stima, rappresenta solo il 10% del totale reale - la maggioranza delle vittime non arriva a denunciare l'aggressore per paura, vergogna o mancanza di fiducia nelle autorità. Il 70% delle denunce coinvolgono bambini e adolescenti e in due casi su tre l'autore della violenza è una persona vicina alla vittima (padre o patrigno, fratello, fidanzato, amico o conoscente).
Ma la violenza è presente anche nel transito stradale, uno dei più letali al mondo - oltre 40.000 morti e 170.000 feriti ogni anno. Del totale delle vittime, il 29% sono motociclisti, il 24% automobilisti, 19% pedoni, 3% ciclisti, 2% camionisti - in maggioranza assoluta uomini (78%) e giovani tra i 20 ei 29 anni (28%). Imprudenza, uso di droghe e alcol e la pessima manutenzione di strade ed autostrade sono tra le principali cause di incidenti.
Uno degli stereotipi più radicati sulla cultura brasiliana è che siamo un popolo allegro, amichevole e festoso. Ora, su 100 omicidi nel mondo, 13 si verificano in Brasile. Il pensiero maschilista domina la società dall'alto al basso - una persona su tre (uomini e donne) ritiene che lo stupro si verifichi a causa del comportamento femminile. La violenza nel traffico è la terza causa di morte in Brasile, dopo le malattie cardiache e il cancro.
Se sommiamo le vittime di omicidi e quelle di incidenti stradali raggiungiamo un totale di oltre 100.000 morti all'anno o 274 persone al giorno, un numero di morti maggiore di quello dei paesi in conflitto - per esempio, la guerra civile nella ex Jugoslavia che durò dieci anni, ha provocato circa 200.000 morti, e la guerra in Iraq, tra il 2003 e il 2011, circa 400.000. Allora, perché la questione della sicurezza pubblica, che interessa tutti individualmente, al di là di ideologie o fazioni politiche, non mobilita l'opinione pubblica?
Forse dovremo ripensare il carattere del brasiliano. Dire che noi brasiliani siamo naturalmente allegri è disconoscere l'insoddisfazione latente che prende vigore nei treni, autobus e vagoni della metropolitana affollati. Dire che noi brasiliani siamo tolleranti è disconoscere il nostro maschilismo, la nostra omofobia, il nostro razzismo. Dire che noi brasiliani siamo solidali è disconoscere la nostra immensa vigliaccheria nel farci carico di cause collettive. La frustrazione, come avverte una canzone del gruppo Rational MC, è una macchina che produce cattiveria. In fondo, stiamo spingendo la società verso la strada senza uscita dell'autismo sociale.
Luiz Ruffato* è nato nel 1961 a Cataguases, nello stato di Minas Gerais, Brasile. Prima di diventare uno scrittore, ha venduto pop-corn, ha fatto il cameriere, il commesso, l'operaio in un'industria tessile, il tornitore metallurgico, il giornalista, il libraio e il ristoratore. Oggi è unanimemente considerato il romanziere più interessante e originale della letteratura brasiliana contemporanea. Tradotto, pubblicato e pluripremiato in diversi paesi, Ruffato è riuscito nel giro di pochi anni a imporsi nel panorama letterario internazionale, raccontando un Brasile diverso, lontano dagli stereotipi e ancora tutto da scoprire per i lettori italiani.