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07.12.15

Il silenzio assordante di fronte allo sterminio dei giovani neri

di Atila Roque, direttore di Amnesty International Brasile

pubblicato sul sito Ponte Jornalismo il 05.12.15

Non è dato sapere se mancano ancora una o due gocce per far traboccare il vaso. Ma abbiamo raggiunto il limite, la pazienza è finita, la tristezza, la sensazione di ingiustizia è molto grande. Il dolore e la rabbia producono odio. E l'odio non si risparmia alcuno sforzo e non indietreggia davanti a niente. La nostra fragile democrazia è minacciata dallo spirito meschino, egoista e razzista che ancora serpeggia nella nostra società, incapace di reagire e di indignarsi davanti alla violenza selettiva che colpisce migliaia di giovani in tutto il Brasile.

 

Provo un senso di vergogna nel far parte di una generazione che dopo essere stata pestata dalla polizia di una dittatura agonizzante non è riuscita a lasciare in eredità ai nostri figli uno stato che metta al primo posto la difesa della vita e dei diritti di tutte le persone. Non pensavo che avrei visto lo stato di diritto, duramente conquistato, lasciare il posto a uno stato di eccezione e barbarie.

 

Una parte significativa della società brasiliana, in particolare le classi medie e alte, hanno convissuto come se nulla fosse, con la violenza di una polizia codarda che manganella adolescenti che protestano contro la chiusura delle scuole, come abbiamo visto in questi giorni a San Paolo; e uccide altri nelle periferie delle nostre città per il semplice fatto di essere giovani e neri. Dobbiamo affrontare una volta per tutte il fatto che la violenza e il razzismo continuano a far parte del sistema di pratiche e valori che sostengono le disuguaglianze e regolano i rapporti di potere nella società brasiliana.

Vignetta di Carlos Latuff

Il mito del paese pacifico e della democrazia razziale è crollato da molto tempo, ma non è stato ancora debitamente esposto e accettato dalla società. Non ci piace quello che vediamo quando ci guardiamo allo specchio. Il sistema giudiziario e di sicurezza pubblica interpretano il ruolo di regolatori dell'ordine e sono i principali protagonisti di un sistema impegnato a garantire che ognuno sappia qual è il posto che deve occupare e che non osi rivendicare il diritto alla mobilità sociale e spaziale non autorizzata.

I cinque giovani assassinati dalla polizia nel quartiere Costa Barros

La tragedia che si è abbattuta su Wesley ,Wilton, Roberto, Carlos Eduardo e Cleiton, i giovani neri uccisi dalla polizia al Complexo da Pedreira, Costa Barros, periferia nord di Rio de Janeiro, non è stata un caso isolato. Nelle favelas e nei territori periferici, l'incontro tra i giovani neri e la polizia può sempre essere fatale. Siamo di fronte a una routine in cui la polizia entra nelle periferie e nelle favelas con la volontà di uccidere.  La quantità di spari sulla macchina in cui si trovavano i ragazzi non lascia alcun dubbio circa l'intenzione dei poliziotti. Questi cinque giovani sono stati brutalmente giustiziati in nostro nome, non facciamoci illusioni, con armi e abbondanti munizioni da guerra (111 colpi), finanziate dalle nostre tasse. Il pretesto della guerra al traffico di droga si presta a che stati di eccezione dei diritti siano, in pratica, decretati in quei territori sotto lo sguardo compiacente dei media, delle autorità e di buona parte della società.

 

È duro dire tutto questo sapendo che anche il prezzo pagato da molti poliziotti è elevato. In una certa misura si può dire che i professionisti della sicurezza pubblica che hanno molto spesso la stessa origine sociale di questi giovani muoiono a un livello molto alto, assassinati semplicemente per essere poliziotti. La maggior parte, tuttavia, fuori dall'orario di servizio. Il ciclo di violenza e l'ingranaggio di guerra rende la vita del poliziotto tanto usa e getta quanto quella dei giovani che muoiono nelle loro mani, una realtà paragonabile solo a situazioni di guerra. Ma noi non siamo in guerra e anche la guerra ha delle regole.

Pochi mesi fa, Amnesty International ha pubblicato il rapporto "Hai ucciso mio figlio - Omicidi commessi dalla polizia militare di Rio de Janeiro" La ricerca indica che negli ultimi cinque anni, gli "autos de resistencia" hanno rappresentato in media il 16% di tutti gli omicidi nella capitale dello stato.

 

Nel 2012 gli omicidi derivanti da azioni di poliziotti in servizio sono arrivati a rappresentare circa il 20% di tutti gli omicidi. Da ogni punto di vista siamo di fronte ad uno scandalo etico e di un quadro drammatico del fallimento sistemico del sistema di sicurezza pubblica.

 

La stessa ricerca ha mostrato il profilo delle vittime di omicidi determinati dalle azioni della polizia di Rio de Janeiro: 99,5% maschi, 79% neri e il 75% giovani. L'Area di Sicurezza Pubblica (AISP) responsabile del maggior numero di morti era proprio il 41° Battaglione della Polizia Militare, lo stesso cui appartengono i poliziotti accusati di aver giustiziato con 111 colpi i cinque giovani che hanno avuto l'ardire di transitare per la città e superare i "muri" nemmeno troppo invisibili che li condannavano a non uscire dai loro territori.

Rapporto Amnesty

Il Brasile vive uno stato d'emergenza. Siamo giunti al punto di perdere l'opportunità storica di accogliere la potenza della gioventù delle favelas e delle periferie per creare un paese più generoso e giusto. Non si tratta di un favore, ma di un diritto. E sarà rivendicato in una maniera o in un'altra. L'aspettativa e l'aspirazione all'uguaglianza è avanzata e non si interromperà.

 

O ci fermiamo e diamo una risposta adesso o sarà troppo tardi. La pentola a pressione non sopporterà per molto tempo ancora questa routine di brutalità e umiliazione. La storia, sempre lei, certamente un giorno ci chiederà conto del silenzio complice della società davanti a questo vero sterminio. E, spero, i nostri nipoti o pronipoti chiederanno scusa per l'incredibile apatia dei loro nonni e bisnonni che sono riusciti a dormire mentre là fuori avveniva un massacro.

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