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02.04.16

Tutti gli innocenti sono figli di puttana?

Come muoversi in un mondo dove è diventato impossibile non vedere il male che si pratica

 

di Eliane Brum*, pubblicato su El Pais il 29.02.16 (traduzione: carlinho utopia)

Mi ricordo di una scena del primo film della trilogia di Matrix, icona della fine del secolo 20. I membri della resistenza erano quelli che, ad un certo punto, si erano resi conto che la vita quotidiana altro non era che una trama, un programma per computer, un'illusione.

 

La realtà era un deserto in cui i ribelli stavano combattendo "le macchine" in un mondo senza bellezza e senza sapore. E si faceva una scelta: prendere la pillola blu o quella rossa. Chi avesse scelto la rossa, avrebbe cessato di credere nel mondo come ci è dato di vedere e sarebbe passato a confrontarsi con la verità della condizione umana.

 

Nella scena che qui mi interessa ricordare, un traditore della resistenza negozia i termini della sua resa mentre gusta una succulenta bistecca. Egli sa che quella bistecca in realtà non esiste, che è un programma per computer che fa si che lo veda e senta l'odore e il sapore della carne, ma se ne riempie la bocca.

Matrix: pillola rossa o pillola blu?

Consegnerebbe la sua anima alle macchine in cambio del suo ritorno nella posizione migliore - ricco e famoso - al mondo delle illusioni. Tradirebbe i suoi compagni se gli fosse restituita l'innocenza sulla realtà del reale. Sacrificherebbe la lotta, gli amici e l'etica in cambio di un desiderio: tornare ad essere cieco. O tornare a credere alla bistecca. La frase esatta, pronunciata mentre guarda un pezzo di carne infilzato nella forchetta, è: "So che questa bistecca non esiste. So che, quando la metto in bocca, Matrix dice al mio cervello che è succulenta e deliziosa". Fa una pausa: "Dopo nove anni, sai cosa ho capito? L'ignoranza è meravigliosa".

 

A quei tempi, alla vigilia del nuovo millennio, il film aprì al pubblico una porta per il dibattito filosofico sul reale. Prendere la pillola rossa divenne ben presto una metafora per coloro che scelgono di vedere Matrix, o vedere oltre le apparenze. Da allora, in questi ultimi anni di corrosione accelerata delle illusioni, penso che la scelta sia diventata ben più complicata.

L'illusione, che ha giocato

un ruolo strutturale nella costituzione soggettiva

della nostra specie, potrebbe non essere più

alla nostra portata

Forse il malessere del nostro tempo sta nel non poter più scegliere tra la pillola blu e quella rossa, o tra il continuare cieco continuare o iniziare a vedere cosa c'è dietro la trama dei giorni. Il malessere si deve al fatto, come i più sensibili hanno già scoperto, che forse non esiste più la pillola blu o che non sia già più possibile l'illusione, che ha giocato un ruolo strutturale nella costituzione soggettiva della nostra specie nel corso dei millenni.

 

Se fosse uno di noi il membro della resistenza disposto a tradire i suoi compagni, a negoziare la resa davanti alle macchine in cambio di una succulenta bistecca in un ristorante, qui, ora, e non più alla fine degli anni '90, il dilemma potrebbe subire uno spostamento. Il dramma non sarebbe vedere la bistecca in quanto bistecca, nel senso di poter credere che esiste, così come credere che il ristorante esiste e che lo scenario che noi chiamiamo mondo esiste così come appare ai nostri occhi.

No. Il dilemma attuale può anche essere questo, ma solo nella misura in cui è anche un altro. Il dramma è che crediamo nella bistecca, sappiamo che esiste e sappiamo che è buona. Desideriamo la bistecca, ce ne saziamo e ci dà piacere. Ma, nel guardarla non vediamo solo il "deserto del reale", ma qualcosa di molto più incarnato e sempre più ineludibile: vediamo il bue.

 

È terribile vedere il bue. E, come i più sensibili hanno già scoperto, è impossibile smettere di vederlo. La nostra sovrappopolazione umana non impone più di uccidere per mangiare, la logica dei vivi. Ma la schiavizzazione e la tortura quotidiana di altre specie. Milioni di bovini, polli e maiali nascono solo per nutrirci e vivono in campi di concentramento a cui diamo nomi molto più digeribili. Sono vittime di olocausti quotidiani senza che nemmeno abbiano avuto una vita.

 

Animali confinati, inarcerati, a volte senza nemmeno essere in grado di muoversi per tutta l'esistenza. Creiamo professionisti in grado di riconoscere in pochi secondi se un pulcino è maschio o femmina per separare le femmine, che vivranno spremute tra loro, spesso senza nemmeno riuscire ad aprire le ali, deponendo uova per poi finire sugli scaffali di un supermercato e gettare i maschi per essere macinati, ancora vivi, nel trita rifiuti. Schiavitù e tortura / sacrificio e spazzatura, questi sono i destini che abbiamo determinato per i polli.

Noi siamo i nazisti di altre specie. E se prima era possibile ignorarlo, ridurre la questione a un qualcosa di poco conto o un qualcosa da "adoratori della lattuga", internet e la diffusione di informazioni hanno reso impossibile non vedere l'occhio del bue. Nel guardare la bistecca, l'occhio del bue ci guarda a sua volta.

 

L'occhio vitreo di chi è terrorizzato perché presente che si sta incamminando nel corridoio della morte, il bue che si caga di paura mentre viene obbligato a fare il passo verso il sacrificio, il bue che cerca di fuggire, ma che non trova l'uscita. L'occhio del bue arriva fino a persone come me, che possono essere classificate nella categoria degli "adoratori della grigliata".

Siamo i nazisti di altre specie e produciamo olocausti quotidiani

La pubblicità del 20° secolo ha perso la risonanza in tempi di internet. Perché l'illusione non è già più possibile. Niente era più puro che il latte bianco ottenuto da una vacca al pascolo. Si poteva credere all'immagine bucolica dell'alimento sano. Il nostro latte veniva dal paradiso, dal nostro passato rurale perduto, dalla vita nei boschi di Walden. Così come la lunga serie dei suoi prodotti derivati, come formaggio, yogurt e burro.

 

Ma la vacca dell'immagine non esiste. Quella vera, in realtà, nasce in prigionia, figlia di un'altra schiava. La vacca che quasi non si muove, la cui esistenza consiste in una lunga serie di stupri con strumenti che penetrano il suo corpo per fecondarla con il seme di un altro schiavo. E così passa da una gravidanza all'altra, per dare alla luce dei vitelli che le saranno sequestrati per essere trasformati in bistecche, in modo che le sue mammelle continuino a dare latte, che le verrà munto da altre macchine. E, siccome sappiamo di tutto questo, il latte che arriva sulla nostra tavola non può più essere bianco, ma rosso dell'orrore della mucca il cui corpo è diventato un oggetto, la mucca per la quale ogni giorno è tortura, stupro e schiavitù.

 

Per non bere sangue cerchiamo sugli scaffali dei supermercati latti di origine vegetale. I vegetali non gridano. La soia, solo uno dei tanti esempi. Bistecche di soia, hamburger di soia, salsicce di soia, latte di soia. Ma come ignorare la deforestazione, la distruzione di interi ecosistemi e, insieme ad essi, di tutta la vita che c'era? Come ignorare che la soia potrebbe essere stata piantata in terra indigena e che, mentre si trasforma in merce nei supermercati, giovani indigeni Guarani Kaiowá si impiccano perché non sanno più come vivere? Non è più possibile fingere di non vedere questo. Così che nemmeno i vegani più radicali possono salvarsi dal peccato originale.

I più sensibili sentono il tessuto dei loro vestiti
e sanno che sono cuciti

con carne umana

Guardiamo i nostri vestiti e, inorriditi, sappiamo che in qualche luogo della linea globalizzata di produzione è stato sparso il sangue di bambini, uomini e donne in regimi di lavoro analoghi alla schiavitù. Come la coppia che è morta abbracciata nella fabbrica del Bangladesh, che ha dato vita a una fotografia che ha commosso il mondo, ma non ha eliminato l'orrore che è continuato su scala industriale.

 

O anche di un immigrato boliviano messo in una stanza malsana, che lavora ore ed ore per quasi niente proprio qui accanto noi. Ma I più sensibili sentono il tessuto dei loro vestiti e sanno che sono cuciti con carne umana. E non sanno più come indossarli. E nemmeno sanno come dare giocattoli ai loro figli, perché sanno che le bambole, i passeggini, i castelli e i dinosauri contengono il sangue di bambini senza infanzia, o quello delle loro madri e padri.

Non è nemmeno più possibile portare i bambini agli zoo o agli acquari, perché sappiamo che l'unica educazione prossima alla verità che lì riceverebbero è quella dell'orrore a cui gli animali sono sottoposti per essere esposti, per quanto l'imitazione dei loro habitat sia la migliore. Mi ricordo di un reportage che andai a fare in uno zoo, pianificato per essere divertente, e riuscii a raccontare solo, tra altri orrori, che il babbuino chiamato Beto era mantenuto a forza di Valium, per evitare che si strappasse pezzi del proprio corpo. E, anche se dopato, si lanciava contro le sbarre, tirava feci addosso ai visitatori e picchiava la sua compagna. Pinky, l'elefantessa, viveva da sola. I suoi due compagni erano morti cadendo nel fossato cercando di fuggire dalla prigionia.

 

Oggi sappiamo che i delfini e le balene degli spettacoli acrobatici sono schiavi brutalizzati per servire da intrattenimento agli umani. E, posto che lo sappiamo, quelli che si divertono con questi spettacoli di morte, possono scoprire di non essere più famiglie felici in un momento di svago, come nelle immagini dei depliant pubblicitari, ma orde di sadici.

 

Nel semplice atto di accendere la luce vi è la consapevolezza che stiamo distruggendo il mondo di qualcuno e che niente più sarà semplice. In questo momento, per citare solo un esempio, decine di migliaia di persone hanno già perso le loro case lungo il fiume Xingu in Amazzonia, a causa della centrale idroelettrica di Belo Monte. Le popolazioni indigene che vivono nella regione colpita non sono più in grado di sopportare l'aumento esponenziale delle zanzare da quando il bacino della diga ha cominciato a riempirsi, alterando l'ecosistema e decimando le colture, in quello che è già stato denunciato dal Ministero Pubblico Federale come etnocidio. Non siamo che all'inizio degli impatti derivanti dalla diga e già, in meno di tre mesi, più di 16 tonnellate di pesci sono morti. E forse sta anche giungendo alla fine il tempo in cui era ancora possibile contare vite a tonnellate, anche se si tratta delle vite di pesci. O della morte dei pesci. Un dito sull'interruttore e una catena di morti. Ormai sappiamo già anche questo.

Il tempo delle illusioni è finito. Nessun atto della nostra vita quotidiana è innocente. Nel domandare un caffè e un panino al burro in un bar, siamo implicati in una catena di orrori causati agli animali e agli esseri umani coinvolti nella produzione. Ogni atto banale implica una scelta etica, e anche una scelta politica.

 

La descrizione delle atrocità che commettiamo abitualmente può proseguire qui per migliaia di caratteri. Mangiamo, ci vestiamo, passiamo il tempo libero, trasportiamo e siamo trasportati a spese della schiavitù, della tortura e del sacrificio di altre specie e anche dei più fragili della nostra stessa specie. Siamo la cosa peggiore che è accaduta al pianeta e a tutti coloro che lo abitano. Il cambiamento climatico è lì a dirci che non solo temiamo la catastrofe, ma che noi stessi siamo diventati la catastrofe. Questa volta, non solo per tutti gli altri, ma anche per noi stessi.

Nel domandare un caffè

e un panino al burro

in un bar,siamo implicati

in una catena di orrori

Non è più possibile la pillola blu, o non è più possibile coltivare illusioni. Ci sono diverse implicazioni profonde in un in cui la conoscenza non libera, ma condanna. A partire, forse, dalla domanda: chi è l'innocente in un mondo dove l'innocenza non è più possibile? Sarebbe l'innocente il peggior essere umano di tutti? Sarebbe innocente uno psicopatico?

 

Che cosa faremo, soggettivamente, ora che siamo condannati a vedere? I social network ci hanno dato alcune piste. Quello che Internet ha fatto è stato strappare all'umanità le illusioni su se stessa. Il quotidiano sui social network ci ha mostrato la verità che è sempre stata lì, ma che era protetta - o mediata - dal mondo delle apparenze. Su questo ho già scritto un articolo intitolato "La stupidità del male". Le implicazioni di perdere questo velo così difficilmente tessuto sono profonde e cominciano solo ora a essere indagate. L'impatto sulla soggettività strutturale della nostra specie è tremendo, proprio perché è strutturale ed è crollato in uno spazio di tempo molto breve, quasi in un singhiozzo.

Non è più possibile

pensare solo agli esseri umani
quando si affronta

il tema dei diritti

Che cosa faremo di fronte alla scomparsa della pillola blu, che garantiva illusioni? Alcuni ridicolizzano coloro che sollevano questo argomento ma molto meno rispetto al passato. Anche la battuta diventa anacronistica. Le interrogazioni stanno cambiando, e non è più possibile dire, senza rivelare una notevole ignoranza, anche sulla scienza prodotta, che gli animali non hanno vita mentale e emozionale, che sono "irrazionali". O in alternativa, per richiamare un argomento religioso, che "non hanno anima".

 

Tutta l'ideologia che un tempo ha giustificato la riduzione in schiavitù degli esseri umani, fino a quando non è stata messa in discussione e poi demolita e trasformata in una macchia di crimine e vergogna nella storia dell'umanità, è passata ad essere messa in discussione anche in relazione agli animali.

Sempre più spesso, le altre specie cominciano ad essere viste come diverse e non più come inferiori. Quindi, nel campo dell'etica, si prendono in considerazione questioni affascinanti e molto spinose. Anche il termine "diritti umani" diventa discutibile, perché pensare solo agli "umani" non è già più possibile. Dal momento che siamo diventati la definizione stessa della catastrofe, il concetto di "specie" nella sua espressione culturale, si disarticola.

Altri modi per capire e denominare il luogo degli esseri umani si fanno spazio nell'orizzonte filosofico e nell'esercizio della politica.

 

Resta il cinismo, che è sempre l'ultimo rifugio. Dire che, davanti ad oltre 7.000 milioni di persone che occupano il pianeta e continuano a crescere di numero, non ci sia altro modo per mangiare e vestirsi se non attraverso lo sfruttamento, la schiavitù e la tortura è l'affermazione più ovvia. È l'affermazione allargata utilizzata per tutte le disuguaglianze di diritti. Fino a quando non sono io - o uno dei miei - il sacrificato, va tutto bene.

 

Vale la pena di dedicare un paragrafo ai cinici, questa categoria che prolifera con l'impeto di una zanzara Aedes aegypti in Brasile e in tutto il mondo. Il cinico è colui che guarda tutti gli altri con astio calcolato, perché crede di capire il mondo per come realmente è. Lui è quello che sa tutto, l'unico esperto. Tutti gli altri sono degli stupidini con idee non realistiche. Il cinico è colui che lascia il mondo così com'è. Ma chissà che forse, in questo momento, il cinico sia proprio l'innocente. La sua innocenza consiste nel credere che la pillola blu è ancora disponibile.

C'è un prezzo da pagare per essere in grado di vedere e, anche così, assumere lo sterminio quotidiano come dato, come parte intrinseca della condizione di essere umano. Né tutta la crescente gourmetizzazione del cibo, né tutte le narrazioni di finzione che raccontano una storia idilliaca circa l'origine di quel tale prodotto, nulla occulterà quel prezzo. E nulla ridurrà il suo impatto soggettivo. Non è facile vivere nella pelle del carnefice. Non è facile vivere conoscendo se stessi. Colui che si guarda allo specchio e si vede, porterà con se questa auto-immagine. E si trasformerà in qualcosa che non è più la stessa.

 

C'è una recente immagine che può fornire qualche indizio su questo percorso. In una spiaggia in Argentina, alcuni turisti hanno catturato un delfino. Alcuni dicono che era ancora vivo, altri che era morto. Vivo o morto, i turisti si sarebbero solo preoccupati di scattare dei selfies da postare sui social network. Un sito di humor sensazionalista ha pubblicato: "Delfino muore dopo che alcuni turisti lo hanno tirato fori dal mare per fare dei selfies e Dio ha annuncia il recall dell'essere umano".

Come essere etici in

un mondo senza illusioni,
in cui ogni atto implica

la tortura ed il sacrificio

di un altro?

Anche così, chi è rimasto sconvolto dalla mancanza di orrore altrui, la sera si è ritrovato davanti l'occhio del bue. Cosa fare davanti all'occhio di bue? Come essere etici in un mondo senza illusioni, in cui ogni atto implica la tortura e il sacrificio di un altro, umano e non umano? Se siamo i nazisti di altre specie, quando non della stessa, accettare che così è non sarebbe come diventare un Eichmann, il nazista processato a Gerusalemme, che si giustificò dicendo di aver solo eseguito degli ordini, l'uomo così  banalmente ordinario che ha ispirato la filosofa Hannah Arendt a creare il concetto di "banalità del male"? Non saremmo, agli occhi del bue, tutti Eichmann, giustificandoci con il luogo comune che tanto è così che è e si fa quello che è necessario per sopravvivere? Se è così, cosa implica vivere apertamente in questa pelle?

 

Forse siamo, come una specie che pensa su se stessa, davanti a uno dei più grandi dilemmi etici della nostra storia. Senza poter optare per la pillola blu, quella delle illusioni, condannati alla pillola rossa, quella che ci costringe a vedere, come costruire una scelta che torni a includere l'etica? Come non restare paralizzati davanti allo specchio, ridotti all'orrore o al cinismo, dopo aver eliminato la possibilità di trasformazione? Come muoverci?

 

Davanti alla bistecca che desideriamo e all'occhio del bue che ci interroga, c'è perlomeno una ipotesi sempre più forte: l'innocente è un assassino.

 

Eliane Brum

Eliane Brum

 

è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.

Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.

Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).

 

Site: elianebrum.com | Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum

 

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