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31.03.16

Presentato l'Atlante della violenza 2016

Nuovo record mondiale di omicidi e a morire sono sempre di più gli stessi: giovani, neri e abitanti delle periferie e delle favelas

Secondo i dati dei rapporti Ipea e FBSP, gli omicidi dei neri sono aumentati in dieci anni del 18,2%. Nello stesso periodo, il tasso di mortalità dei non neri è diminuito del 14.6%.

 

di Luiza Sansão, pubblicato sul sito Ponte il 24/03/16

traduzione di Annalisa Marchini per il Resto del Carlinho Utopia 

Con 59.627 omicidi nel 2014, il Brasile si è guadagnato il triste primato del paese con il maggior numero di assassinati al mondo, con una media di 29,1 omicidi ogni 100 mila abitanti - più del 10% di tutti gli omicidi registrati nel mondo.

 

La mortalità colpisce maggiormente uomini giovani, neri e poveri del paese. Secondo i dati dell'Atlante della Violenza 2016, pubblicato martedì (22/03) da Ipea (Istituto di Ricerca Economica Applicata) e da FBSP (Forum Brasiliano della Sicurezza Pubblica), si è registrato, negli ultimi dieci anni,  un notevolissimo aumento nella differenza tra il tasso di omicidi dei neri e quello dei non neri.

Mentre il numero degli omicidi dei non bianchi è diminuito del 14,6% tra il 2004 e il 2014, il tasso degli omicidi di neri e meticci è cresciuto nello stesso periodo del 18,2% . Questo significa che per ogni omicidio nel paese con una vittima non nera, 2,4 neri, in media, sono assassinati. Nello stato di Alagoas, il contrasto è ancora più sorprendente: per ogni assassinato non nero, 10,6 neri sono vittima di omicidio.

 

Lo studio, che è stato presentato a Rio de Janeiro dal tecnico della progettazione e ricerca dell'Ipea, Daniel Cerqueira, e dalla coordinatrice del progetto del FBSP, Olaya Hanashiro, ha analizzato anche la relazione tra la mortalità da arma da fuoco e gli omicidi in seguito ad azioni della polizia, oltre al tasso degli omicidi di donne e di giovani, nelle micro e macro regioni del Brasile, e nei suoi stati.

 

Secondo Cerqueira, il fatto che "il nero sia confinato nelle fasce di bassa rendita" e quindi "soggetto più vulnerabile perché generalmente vive nelle aree più ostili" spiega solo parzialmente la differenza della mortalità tra i neri e non neri. "La questione socio-economica spiega solo il 20% della mortalità tra i neri e non neri. Prendiamo i dati del Censimento Demografico dell'IBGE  (Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica) e analizziamo le caratteristiche socio-economiche, tra le quali il luogo di residenza. Anche tenendo conto di dati come il quartiere di residenza delle vittime, il loro livello di scolarizzazione e lo stato civile, il solo fatto di essere neri aumenta del 21% la possibilità di essere vittime di un omicidio. Quindi, quello che stiamo dicendo è che esiste una ipotesi che non può essere respinta: il razzismo uccide", ha dichiarato il ricercatore.

 

Quando si parla di "razzismo istituzionale", Cerqueira definisce il "razzismo della polizia" come "pratiche quotidiane che non sono esplicitate nei manuali ma fanno parte delle operazioni nella quotidianità delle istituzioni" mettendo in evidenza che, frequentemente, i neri sono trattati dalla polizia in modo più violento rispetto ai bianchi.

 

"L'educazione è uno scudo contro gli omicidi in Brasile"

Un altro elemento messo in evidenza nella relazione è che, maggiore è il livello di scolarizzazione di una persona, minori sono le possibilità di essere vittima di omicidio. L'apice degli omicidi per gli uomini, secondo  l'Ipea,  si ha a 21 anni di età e la probabilità di una persona con meno di otto anni di studi di essere uccisa è 5,4 volte maggiore di quella di una persona che ha un livello di studi più elevato.

 

Nello studio "Riduzione dell'età della responsabilità penale, educazione e criminalità", pubblicato nel settembre 2015, Daniel Cerqueira e anche il tecnico della progettazione e ricerca della Ipea, Danilo Santa Cruz Coelho, hanno mostrato, sulla base di microdati del censimento demografico dell'IBGE del 2010 e del SIM (Sistema Informativo sulla Mortalità), che "le probabilità di un individuo che non è andato oltre i sette anni di studio, sono in Brasile 15,9 volte maggiori di quelle di chi entra in una scuola superiore, il che dimostra che l'educazione è veramente un scudo contro gli omicidi ".

 

Secondo Cerqueira, per diminuire la mortalità che colpisce direttamente persone senza o con un basso livello di istruzione, è necessario "aprire le porte per i bambini e i giovani". "Ci sono due possibilità in Brasile per risolvere il problema della criminalità: chiudere le porte, recludere, ridurre l'età penale, mettere tutti in carcere, oppure aprire le porte, investire nei bambini e nei giovani, dar loro le opportunità per evitare che domani siano delinquenti"  ha dichiarato.

 

"Tutto gli studi che abbiamo realizzato nel tempo dimostrano che la soluzione migliore è quella di aprire le porte. Quando chiudiamo le porte i giovani iniziano un percorso di trasgressione, di asocialità ed è molto difficile poi pensare di poter risolvere il problema mettendoli in carcere. D'altra parte, creare delle opportunità è un sistema molto efficace, e questo, per inciso, è quello che dicono ricerche internazionali e i programmi che hanno avuto buon esito della diminuzione di omicidi e crimini violenti, offrendo opportunità per i bambini e i giovani"  ha aggiunto Cerqueira.

 

"Più armi da fuoco, più omicidi"

Ipea e FBSP evidenziano ancora che il 76,1% del totale degli omicidi avvenuti nel paese nel 2014 è stato causato dall'uso di armi da fuoco - il che corrisponde a 44.861 omicidi. Essere a conoscenza di questi dati, secondo Cerqueira, è particolarmente importante in questo momento in cui il Congresso Nazionale sta discutendo lo smantellamento dello Statuto del Disarmo - "una delle leggi più importanti che il Brasile abbia mai avuto", secondo il ricercatore.

 

"La percentuale di persone uccise da arma da fuoco in Brasile è cresciuta dal 1980, nella misura in cui anche la diffusione e la proliferazione delle armi da fuoco è aumentata. C'è stato un forte aumento degli omicidi, e dal momento in cui lo Stato non risponde alla violenza, le persone si sono armate. Solo che le armi, invece che diminuire il problema, hanno aggiunto legna al fuoco."  ha dichiarato Cerqueira. Solo dopo che nel 2003 è stato approvato lo Statuto del Disarmo, si è registrata una diminuzione degli omicidi causati da armi da fuoco.

 

Lo studio ha analizzato quale sarebbe la variazione nei tassi di omicidio nel caso non esistesse lo Statuto del Disarmo, e ha concluso che la media degli omicidi nella Regione del Nord del paese tra il 2011 e il 2013, che è stata di 5.952, sarebbe stata di 7.224. Nel Nord-Est, senza Statuto e sempre nello stesso periodo, la media sarebbe aumentata da 20.787 a 29.757 casi di omicidio.

 

La relazione conclude quindi che, "se la questione delle morti violente ha assunto i contorni di una tragedia sociale in Brasile, senza lo Statuto del Disarmo la tragedia sarebbe anche peggiore", confermando "l'alto legame tra la diffusione delle armi da fuoco e il tasso degli omicidi" in riferimento alla media del periodo dal 2001 al 2003 (prima dello Statuto di Disarmo) e dal 2011 al 2013.

 

Smilitarizzazione della polizia e legalizazzione delle droghe

Intervistata da Ponte Jornalismo su come la smilitarizzazione potrebbe incidere sul tasso degli omicidi nel paese, la coordinatrice del progetto del FBSP Olaya Hanashiro ha detto che "manca una formazione più umanistica" nelle istituzioni di polizia e che "non è sufficiente solo smilitarizzare se non cambiamo il modello e la formazione della polizia", mettendo in evidenza che la militarizzazione non si limita solo alla Polizia Militare.

"Con una formazione militarizzata, essendo preparati per combattere, i poliziotti hanno una preparazione che non corrisponde a quello che incontreranno quotidianamente in strada, che sono, in gran parte, conflitti interpersonali. Manca una formazione più umanistica nelle accademie di polizia, sia in quelle militari che in quelle civili, su come affrontare problemi interpersonali e con il cittadino, come proteggerne realmente i diritti e non preoccuparsi solo di mantenere l'ordine", ha detto Hanashiro. "Dobbiamo pensare anche a tutta un'atra serie di questioni legate alla smilitarizzazione, che è molto importante, ma la questione è molto più ampia" ha concluso.

 

Circa la relazione tra guerra alla droga e mortalità, Hanashiro ha sottolineato che il problema della droga deve uscire dalla sfera della sicurezza pubblica e passare a quella della salute pubblica. Cerqueira ha affermato che "l'unico cammino (per risolvere la violenza legata al traffico) è legalizzare tutte le droghe", dal momento che la guerra alla droga "non ha mai avuto alcuna efficacia" e che "i rapporti hanno già mostrato che il 90% della violenza ha a che fare con la violenza sistemica".

 

Secondo il ricercatore, esistono tre canali che associano le droghe illecite alla violenza: quello psicofarmacologico, quello da compulsione economica e il canale sistemico. "Psicofarmacologico è quello in cui l'individuo è squilibrato e assume un comportamento violento; quello da compulsione economica si ha quando l'individuo  finisce i soldi ed è disposto a rubare o uccidere pur di riuscire a procurarsi la droga. Quello sistemico è il fatto che, essendo le droghe illegali, i conflitti che coinvolgono gli interessi non possono essere risolti in tribunale, ma solo con la violenza".

"Considerando le esperienze internazionali sulle droghe, il percorso della guerra alle droghe non ha mai portato a nessun risultato. L'unico cammino è, quindi, la legalizzazione di tutte le droghe".

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