30.10.14
La banalità dello sterminio
È difficile comprendere come i tedeschi convivessero con la violenza negli anni '30, ma noi siamo sulla stessa strada. Conviviamo con una tragedia di proporzioni indescrivibili con una normalità che la storia non ci perdonerà. E perché? Non inganniamoci. Quelli che muoiono sono per la stragrande maggioranza neri, sono poveri, sono invisibili.
di Atila Roque, direttore esecutivo di Amnesty International Brasil e Pedro Abramovay, direttore per l'America Latina dell'Open Society Foundation
articolo pubblicato il 30.10.14 su O Globo
traduzione di Carlinho Utopia
Sei giovani. Due di 12 anni, uno di 14, uno di 15 e due di 18. Sono stati vittime di un massacro a nel quartiere di Duque de Caxias (Rio de Janeiro). Solo uno dei bambini di 12 anni è sopravvissuto. Questa notizia non è stata la copertina di nessun giornale o telegiornale nazionale. E non ha neppure meritato una dichiarazione di qualche autorità pubblica. È ragionevole che ci sembri un fatto normale l'esecuzione di adolescenti? Qui non si tratta di puntare il dito contro i media. Puntiamolo verso tutti noi. Conviviamo con questi fatti come fossero la normalità.
Conviviamo con la morte di 1 milione di brasiliani in poco più di due decenni come fosse la normalità. È la più grande tragedia della nostra storia fin dai tempi della schiavitù. Alcuni pensano: "Il mondo è davvero un posto violento." No. Violento davvero è il Brasile. 56 000 omicidi all'anno. Siamo responsabili di oltre il 10% degli omicidi nel mondo. Di questi, 30.000 sono stati giovani di età compresa tra i 15 ei 29 anni. L'omicidio è stato anche la principale causa di morte di adolescenti tra i 12 ei 18 anni (45,2%) in città con più di centomila abitanti. Conosciamo questi dati, ma naturalizziamo l'orrore. Come se queste morti fossero state destino. Non lo sono state. Si tratta di una scelta, il risultato di scelte che abbiamo o non abbiamo fatto.
Una delle sfide dei grandi pensatori del XX secolo fu quella di cercare capire come tanti tedeschi si rapportassero con normalità di fronte alla brutalità della tragedia che si consumava durante l'Olocausto. Come poteva la gente andare a lavorare, comprare il pane, pensare a cose banali mentre i corpi si accumulavano? Una di questi intellettuali, Hannah Arendt, ha descritto questo fenomeno come la banalizzazione del male. Le persone perdevano la capacità di percepire la mostruosità dei fatti. L'idea contemporanea dei diritti umani nasce da lì. La società, lo Stato, tutti noi dobbiamo indignarci, sensibilizzarci, scioccarci, quando i diritti vengono violati, quando si producono tragedie. Trovare tutto questo normale non è umano.
È molto difficile per noi, nel ventunesimo secolo, guardare alla Germania degli anni 30 e capire come convivessero con tutto quello. Guardare ai nostri antenati e capire come convivessero con la schiavitù. Tuttavia noi stiamo andando sulla stessa strada. Conviviamo con una tragedia di proporzioni indescrivibili con una normalità che la storia non ci perdonerà. E perché? Non inganniamoci. Quelli che muoiono sono per la stragrande maggioranza neri, sono poveri, sono invisibili.
Non pensiamo che dietro al numero di un milione di morti, ci sono un milione di madri, di familiari, di vite rubate, storie spezzate. Rendiamo tutto questo invisibile. Non si risolve il problema degli omicidi con un tocco di bacchetta magica. Sono necessarie politiche pubbliche complesse. Ma il primo passo è quello di rendersi conto che la tragedia non è banale, che non è solo una notizia di cronaca, è richiamare l'attenzione sul fatto che non vogliamo passare alla storia come un'altra generazione che ha tollerato la morte di massa dei giovani. Non dobbiamo volere che i nostri nipoti si vergognino di noi.
Comunicato del 15 ottobre 2014
Amnesty International condanna la violenza mortale contro i giovani in Brasile
Di fronte alla morte di cinque adolescenti la scorsa notte (13/10), a Duque de Caxias, nella Baixada Fluminense a Rio de Janeiro, Amnesty International manifesta il suo rifiuto della violenza indiscriminata che colpisce i giovani brasiliani, soprattutto abitanti delle favelas e delle periferie.
Il gruppo è stato colpito dagli spari di uomini incappucciati a bordo di un auto. Le vittime avevano tra i 12 ei 18 anni. Tre sono morti sul posto, due in ospedale e solo un dodicenne è sopravvissuto ed è ricoverato in ospedale. Questa è una tragedia che si ripete, così come è ricorrente il silenzio delle autorità locali e nazionali su queste morti.
Il Brasile è tra i paesi con il tasso di omicidi più alto del mondo. Sono stati 56.000 nel 2012, con 30.000 morti tra i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni. L'omicidio è stata anche la principale causa di morte tra gli adolescenti di età compresa tra i 12 ed i 18 anni (45,2%) nelle città con più di centomila abitanti. Sono migliaia di giovani assassinati che hanno avuto le loro vite spezzate e famiglie, vicini e amici che convivono con il dolore della loro perdita.
È ora che il paese si indigni per la morte dei suoi giovani e rompa il muro di indifferenza e impunità che permea questi crimini, soprattutto quando si verificano nelle favelas e nelle periferie.
Amnesty International chiede un'inchiesta rapida e indipendente degli omicidi avvenuti nella Baixada Fluminense e l'immediata attuazione di politiche pubbliche che possano mutare radicalmente questa triste realtà brasiliana.
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