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A São Paulo, la Polizia Militare che uccide i giovani neri delle favelas adempie ad una politica di Stato.

di Claudia Belfort — pubblicato sul sito Ponte.org il 02/06/15

È lampante la differenza tra come il governo dello Stato di San Paolo tratta la morte di un giovane bianco di classe media e quella di un giovane nero delle favelas. Nel primo caso, il governatore stesso, Alckmin, è andato al Congresso Nazionale. Nel secondo, silenzio assoluto.

 

Quando il  giovane nero Freddie Gray, 25 anni, venne ucciso dalla polizia di Baltimora, USA, nel 2014, innescando una serie di violente proteste in città, il capo del Dipartimento di Polizia e il sindaco della città si pronunciarono e lo stesso presidente Barack Obama parlò della tragedia e si espresse sull'ondata di manifestazioni che seguirono.

 

Mercoledì della scorsa settimana (27/05) un giovane nero, Lucas Custodio, 16 anni, è stato ucciso dalla polizia a San Paolo, nella favela Sucupira, Grajaú, estremo sud della città di São Paulo. La polizia militare non si è pronunciata, la Segreteria di Sicurezza Pubblica non si è pronunciata e il governatore Geraldo Alckmin è rimasto in silenzio.

 

Io e il mio collega Luis Adorno, seguendo il caso, abbiamo inviato cinque richieste di risposta, chiarimento e di intervista alla Polizia Militare e alla Segreteria di Sicurezza Pubblica. Abbiamo ricevuto risposta solo ad una delle nostre richieste, e proprio quella che non ci aspettavamo. Inviata all'alba del 28/05, sarebbe stato comprensibile che richiedesse un po' di tempo per essere soddisfatta ma, quella stessa mattina, un messaggio ci informava educatamente che "in nome della trasparenza che li contraddistingue" avrebbero risposto "in tempi ragionevoli" non appena avessero disposto di informazioni. Sono già trascorsi cinque giorni. Durante questo periodo, abbiamo inviato altri quattro messaggi. Silenzio.

 

È lampante la differenza tra come il governo dello Stato di San Paolo ha trattato la morte di questo giovane nero delle favelas e come trattò quella di un giovane bianco di classe media due anni fa.

 

Nel 2013, di fronte alla tragica morte di un universitario di 19 anni, studente della Cásper Libero, bianco, vittima di una rapina commessa da un adolescente di 17 anni, il governatore Alckmin non solo si pronunciò, ma andò oltre: annunciò che avrebbe trasmesso al Congresso nazionale un progetto di legge per rendere l'ECA (Statuto dei Bambini e Adolescenti) più rigido nei casi di violenza commessi da minori di 18 anni.

 

Meno di 10 giorni più tardi, mantenne la promessa. Andò a Brasilia, a 1000 chilometri dal Palazzo Bandeirantes (ndt. il palazzo del governo paulista), a consegnare personalmente la sua proposta. Non ha ancora messo piede a Grajaú. Il percorso è di 26 chilometri. Nessuna parola di conforto alla famiglia, nessuna dichiarazione di scuse per aver disatteso le sue promesse elettorali.

 

È importante ricordare che nella propaganda televisiva per la sua rielezione, il governatore Alckmin affermava che avrebbe messo "la protezione della vita come priorità numero 1 della sicurezza pubblica". A quanto pare ha omesso di dire che non si trattava della protezione della vita di qualunque persona.

 

Se così fosse, la morte di un giovane nero delle favelas dovrebbe motivare la stessa indignazione del potere esecutivo che la morte di un giovane bianco di classe media. Ancora più profonda, perché è stato il braccio armato dello Stato di São Paulo, la cui sicurezza ha come "priorità la protezione della vita" che ha ucciso il ragazzo, in una farsa grottesca messa in scena dalla Polizia Militare che neppure la Polizia Civile ha mandato giù.

 

Finora nessuno da parte del governo si è degnato di cercare di dare una spiegazione alla famiglia. E non lo farà. Il punto è che essa non è pubblicabile, è indicibile: la morte dei neri per mano della polizia a San Paolo è politica di Stato.

 

Da uno studio dell'Università Federale di São Carlos (UFSCar), coordinato dalla sociologa Jacqueline Sinhoretto, emerge che tra il 2010 e il 2011, il 61% delle vittime di omicidi della polizia son state nere, 97% uomini e 77% tra i 15 ei 29 anni. I poliziotti coinvolti sono in maggioranza bianchi (79%), e, per il 96%, appartengono alla polizia militare.

 

Uno dei poliziotti coinvolti nella morte di Lucas, Aparecido Domingues Vieira, della Forza Tattica del 27° BPM (Battaglione della Polizia Militare) ha al suo attivo altri quattro casi di partecipazione in omicidi in presunti conflitti a fuoco dal 2003. Per lo stupore dello stesso ouvidor delle polizie di San Paolo, Julio Cesar Neves, ha continuato a prestare servizio per le strade. (ndt. L'ouvidor è un magistrato che, in questo caso, ha competenza nel settore della pubblica sicurezza).

 

Se i numeri mostrano il genocidio contro la gioventù nera, se i suoi assassini rimangono per le strade a commettere gli stessi crimini e se il governo tace, è perché tutto sta dentro la conformità. A São Paulo, la Polizia Militare che uccide i giovani neri delle favelas adempie ad una politica di Stato.

La Favela do Sucupira, dove abitava Lucas (Foto: Rafael Bonifácio/Ponte Jornalismo)
Lucas Custodio

Agenti della polizia militare di San Paolo hanno ucciso il giovane Lucas Custódio dos Santos, nero, 16 anni, intorno alle 14h di mercoledì 27 maggio in un terreno abbandonato della Favela Sucupira, regione di Grajaú, a sud della capitale. 

Lucas è stato colpito da due colpi di calibro 40, uno all'addome ed uno al petto.

 

Secondo la polizia, l'adolescente sarebbe stato fermato e, dopo essere scappato, avrebbe sparato verso gli agenti, che avrebbero risposto al fuoco ferendolo. La polizia militare afferma che Lucas è stato soccorso e portato all'ospedale Maria Antonieta, ma un video, ottenuto in esclusiva da Ponte Jornalismo, mostra che il corpo del giovane è stato avvolto con una coperta termica e, secondo gli abitanti, ha lasciato il luogo dell'avvenuto già cadavere.

 

In protesta per la morte di Lucas, gli abitanti della favela hanno manifestato fino al tardo pomeriggio. Secondo la polizia militare, cinque autobus ed un camion sarebbero stati danneggiati ed i manifestanti avrebbero tentato di bloccare l' Avenida Dona Belmira Marin dando alle fiamme dei cumuli di spazzatura. La polizia militare, presente anche con i battaglioni speciali della ROTA,  intervenuta per interrompere eventuali atti di vandalismo contro i veicoli, ha seminato il panico tra i manifestanti. La polizia ha fatto uso di proiettili di gomma e di gas lacrimogeni. Si sono registrati diversi feriti ed alcuni manifestanti, tra cui un giovane ventenne, sono stati aggrediti e malmenati dai poliziotti.

 

La polizia militare ha impiegato oltre 5 ore per comunicare i fatti alle autorità competenti (la polizia civile), che hanno fatto sapere che il ritardo ha reso molto difficile il lavoro di perizia sul luogo del delitto. La polizia militare non ha riferito sui motivi della lentezza nella comunicazione. Il rapporto prodotto dalla polizia militare parla, come sempre in questi casi, di morte avvenuta in seguito a conflitto a fuoco. Gli agenti coinvolti sostengono che il giovane, dopo averli visti, sarebbe fuggito in direzione del terreno abbandonato, dal quale avrebbe sparato contro di loro. Rispondendo al fuoco, gli agenti lo avrebbero colpito a morte.

 

Tutti i testimoni concordano nel dire che il ragazzo, che tornava da una partitella di calcio, non era armato.

 

Due ragazzi che giocavano a calcio con Lucas pochi minuti prima dell'assassinio contestano la versione della polizia. I due, che hanno chiesto di rimanere anonimi per paura di ritorsioni, hanno riferito ai giornalisti di aver assistito al fermo del ragazzo che, già ammanettato, è stato portato sul terreno abbandonato dietro alla favela e lì giustiziato con due colpi. I ragazzi riferiscono [video] che il giovane, dopo essere  stato fatto inginocchiare per essere colpito a morte, avrebbe chiesto ai poliziotti di non ucciderlo. 

 

Quattro abitanti della favela Sucupira, tra loro una ragazza incinta ed un ragazzino di 13 anni, intervistati dai giornalisti di Ponte, hanno dichiarato di essere stati aggrediti e minacciati dai poliziotti dopo il delitto. La ragazza incinta racconta: "Stavamo urlando contro i poliziotti quando ne è arrivato uno che mi ha gridato di andare via. Gli ho risposto che non me ne sarei andata e lui mi ha detto 'Se non te ne vai via subito ti sparo nella pancia! Uccido te e tuo figlio!'

 

Testo ricavato dagli articoli pubblicati sul sito Ponte.org

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