25.05.15
Il Brasile è per pochi
di Luiz Ruffato*, pubblicato su El Pais il 20.05.15
Nel 1974, l'economista Edmar Bacha coniò un termine, Belíndia, che cercava di sintetizzare le contraddizioni del Brasile: secondo lui, avevamo un Belgio incrostato in un'India. La parola, popolare negli anni '80, il nostro decennio perduto, è caduta in disgrazia, anche perché non ha molto senso - l'India, un paese di 1,3 miliardi di persone, ha un sistema millenario di caste sociali giustificate da principi religiosi, che genera Maharajas e miserabili. Ma se il concetto non ha fondamento, non è perché è cambiato lo scenario: continuiamo ad avere una delle più grandi concentrazioni di rendita del pianeta - il 10% della popolazione detiene il 42% del totale delle ricchezze del paese.
Secondo la Costituzione del 1988, il salario minimo deve coprire i bisogni primari (cibo, alloggio, istruzione, sanità, tempo libero, abbigliamento, igiene, trasporti e previdenza sociale) del lavoratore e della sua famiglia. Attualmente, questo importo equivale a 788 reais al mese (circa 260 dollari). Secondo un sondaggio della Banca Centrale, il 28% dei lavoratori ricevono un salario minimo mensile, il 54% da uno a tre (cioè fino a 2.364 reais o 790 dollari). Meno dell'1% della popolazione guadagna più di 20 salari minimi (cioè fino a 15.760 reais o 5.300 dollari). Le donne bianche in ogni strato sociale, guadagnano in media il 30% in meno rispetto agli uomini per svolgere le stesse funzioni. Un uomo di pelle nera riceve il 57% della media pagata a una donna di pelle bianca e una donna dalla pelle nera, meno della metà.
Siamo in testa alla classifica della chirurgia plastica per ragioni estetiche: 1,5 milioni di interventi nel 2013, pari al 12% del totale mondiale. Inoltre, alcuni dei nostri ospedali spiccano come punti di riferimento in specialità come la cardiochirurgia, trapianti, trattamenti contro il cancro e l'AIDS, per esempio. Tuttavia, il sistema sanitario pubblico è caotico: ci vogliono mesi per fissare una visita, altrettanti per fare degli esami di laboratorio, più alcuni altri per fissare un'operazione. Moriamo o per problemi tipici dei paesi ricchi - malattie circolatorie e respiratorie, cancro, diabete - o per quelli dei miserabili - aids, colera, lebbra, epatite, morbillo, malaria. La tubercolosi, malattia sociale per eccellenza, che colpisce soprattutto i poveri, registra 70.000 nuovi casi l'anno e 5.000 morti. E nel 2015 sono stati registrati 750.000 casi di dengue nel paese, 229 mortali, dei quali 169 nel solo stato di São Paulo, il più ricco del Brasile.
L'USP (L'Università di San Paolo), classificata tra i 100 migliori istituti di istruzione superiore in tutto il mondo, è un'università pubblica e gratuita, cioè, mantenuto da imposte pagate dai ricchi e dai poveri. Ma in essa, fino ad oggi, non si applica un sistema di quote, ma un programma alternativo, e restrittivo, di inclusione sociale e razziale, attraverso dei bonus. L'ingresso in quell'università avviene attraverso un esame d'accesso tra quelli di maggior affluenza in Brasile e l'ingresso alla maggior parte dei corsi è ristretto a studenti che hanno studiato nelle migliori scuole private. L'USP rimane appannaggio esclusivo delle élite di São Paulo. Nel frattempo, secondo la Universitas 21, il Brasile occupa il 38° posto nella classifica che valuta la qualità dell'istruzione superiore in 50 paesi. La spesa per ogni studente brasiliano è di 3.000 dollari l'anno - contro una media mondiale di 9.500 dollari e molto lontana dai primi posti, Svizzera (16.000 dollari) e Stati Uniti (15.000 dollari).
Anche se non ci sono dati precisi, si stima che solo 46.000 persone siano proprietarie di metà delle proprietà rurali del paese. Nel frattempo, secondo i dati dell'Incra (Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária), 4,8 milioni di famiglie continuano a non avere una terra da lavorare. Di 400 milioni di ettari titolati, solo 60 milioni (15% del totale) vengono utilizzati, e, secondo l'IBGE (Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica), i piccoli agricoltori, proprietari di aree di meno di 100 ettari, rappresentano l'80% della produzione alimentare e l'80% della contrattazione di manodopera. Novantamila famiglie vivono accampate in condizioni precarie lungo le autostrade e il Brasile guida la classifica della violenza rurale: secondo la Ong Global Witness nel 2014 sono stati uccisi 29 militanti per la riforma agraria, quattro di loro leader indigeni.
A seconda di dove ci collochiamo nella scala sociale, potremo usufruire di ciò che il Brasile offre di migliore o di peggiore al mondo, perché qui, nello stesso spazio, coesistono tempi di civiltà completamente diversi. La complessità del nostro paese è tanto grande quanto l'estensione delle sue terre.
Si attribuisce al grande compositore e musicista Tom Jobim la frase che forse meglio riassume la difficoltà di comprenderlo (o del nostro comprenderlo al suo interno): il Brasile non è per principianti. Non lo è davvero, perché, contrariamente al recente motto proclamato dal governo (ndt. Brasil, pais de todos - Brasile un paese di tutti), il Brasile non è di tutti, è di pochi.
Luiz Ruffato* è nato nel 1961 a Cataguases, nello stato di Minas Gerais, Brasile. Prima di diventare uno scrittore, ha venduto pop-corn, ha fatto il cameriere, il commesso, l'operaio in un'industria tessile, il tornitore metallurgico, il giornalista, il libraio e il ristoratore. Oggi è unanimemente considerato il romanziere più interessante e originale della letteratura brasiliana contemporanea. Tradotto, pubblicato e pluripremiato in diversi paesi, Ruffato è riuscito nel giro di pochi anni a imporsi nel panorama letterario internazionale, raccontando un Brasile diverso, lontano dagli stereotipi e ancora tutto da scoprire per i lettori italiani.