24.03.16
La visita della relatrice speciale dell'ONU per i diritti delle popolazioni indigene, Victoria Tauli-Corpuz
L'ONU allerta il Brasile sui preoccupanti passi indietro in relazione alla difesa dei diritti delle popolazioni indigene
di Andreia Verdélio - Agência Brasil - 19/03/2016
traduzione di Annalisa Marchini per il Resto del Carlinho Utopia
La relatrice speciale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) per i diritti delle popolazioni indigene, Victoria Tauli-Corpuz, ha affermato che il Brasile "ha fatto passi indietro estremamente preoccupanti in relazione alla difesa dei diritti delle popolazioni indigene" negli ultimi otto anni. "Una tendenza che continuerà ad aggravarsi nel caso non siano prese misure decisive da parte del Governo per invertirne la rotta", ha scritto Victoria nella relazione che ha realizzato alla fine della sua missione in Brasile.
Tra le indicazioni preliminari sono presenti la protezione delle leadership indigene e le indagini su tutti gli omicidi degli indigeni, gli sforzi per superare gli ostacoli e concludere la demarcazione dei territori, la revisione dei tagli del bilancio e il consolidamento della FUNAI (Fondazione Nazionale degli Idigeni), oltre alla garanzia del diritto degli indigeni di essere consultati anticipatamente in relazione alle politiche, legislazione e progetti che abbiano impatto sui loro diritti.
Victoria ha concluso lo scorso giovedì (17 marzo) una visita di dieci giorni in Brasile, durante i quali ha incontrato, tra le altre autorità, rappresentanti dei governi degli stati e più di 50 popoli indigeni degli stati di Brasilia, Mato Grosso do Sul, Bahia e Parà.
L'obiettivo era quello di identificare i principali problemi affrontati dalle popolazioni indigene nel paese e verificare che gli impegni assunti nel 2008, al termine di una missione analoga compiuta dal suo predecessore James Anaya, fossero stati rispettati. La relazione della visita sarà presentata a settembre di quest'anno al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
"In generale, la mia prima impressione dopo questa visita è che il Brasile ha una serie di disposizioni costituzionali esemplari in relazione ai diritti delle popolazioni indigene", ha dichiarato. Malgrado ciò, secondo lei, i rischi affrontati dai popoli indigeni "non sono mai stati così presenti" fin dall'adozione della Costituzione del 1988.
Sfide
Secondo la relatrice dell'ONU, tra le sfide che dovranno affrontare gli indigeni c'è anche la proposta di modifica della Costituzione (PEC) 215, che trasferisce al Congresso Nazionale la decisione finale sulla demarcazione delle terre, e altre normative che "minano i diritti delle popolazioni indigene su terre, territori e risorse".
Victoria Tauli-Corpuz ha anche criticato la sospensione dei processi di demarcazione, tra cui 20 terre indigene in attesa di approvazione da parte della Presidenza della Repubblica, l'incapacità di proteggere le terre indigene da attività illegali, le espulsioni in corso e gli effetti negativi della costruzione di grandi infrastrutture in territori indigeni o nelle loro vicinanze, come la centrale idroelettrica di Belo Monte (leggi in proposito l'articolo di Eliane Brum in basso).
Altri punti citati sono la violenza, gli omicidi, le minacce e le intimidazioni contro le popolazioni indigene perpetuate a causa della loro impunità e dell'inadeguatezza dei servizi sociali, di sanità e istruzione, "così come evidenziato dai dati relativi ai suicidi di giovani, casi di adozioni illegali di bambini indigeni, mortalità infantile e alcolismo".
La relatrice ha sottolineato la sua preoccupazione per la rappresentazione distorta con cui i media ritraggono i popoli indigeni come proprietari di appezzamenti troppo grandi di terreni in relazione alla loro popolazione, "quando, in verità, è il settore agroalimentare a possedere una percentuale sproporzionata del territorio brasiliano".
Iniziative
"Anche quando le popolazioni indigene hanno terre assegnate nella regione Amazzonica, non possono avere un controllo effettivo sulle proprie risorse a causa delle crescenti invasioni e attività illegali, come l'estrazione mineraria e il disboscamento".
Nel suo bilancio iniziale, Victoria, ha elogiato alcune misure e iniziative del governo brasiliano, come il ruolo costruttivo e produttivo della FUNAI (Fondazione Nazionale dell'Indio) e del Ministero Pubblico Federale, "pur dovendo operare in condizioni difficili", l'opposizione del governo alla PEC 215 e gli sforzi tesi ad implementare servizi differenziati per le popolazioni indigene nei campi di sanità, educazione e assistenza sociale.
La relatrice ha evidenziato anche il ruolo delle organizzazioni della società civile e della lotta delle popolazioni indigene per la difesa dei propri diritti, attraverso strumenti come l'autodifesa e l'auto-demarcazione delle terre, stringendo alleanze con altre comunità come quelle fluviali (ribeirinhas) e quilombolas. (ndt. Quelle Quilombolas sono comunità formate da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in cui erano prigionieri nel Brasile all'epoca della schiavitù. Attualmente si contano oltre 1500 comunità presenti in varie aree del paese)
La dichiarazione completa della relatrice è disponibile nella pagina internet ONU Brasil.
29.07.15
BELO MONTE, imprese di costruzione e specchietti
Come il miscuglio esplosivo tra pubblico e privato, tra lo stato brasiliano e le grandi imprese di costruzione, ha eretto un monumento alla violenza, sulle rive dello Xingu, in Amazzonia.
di Eliane Brum, pubblicato su El Pais il 07.07.15 - titolo originale: "Belo Monte, empreiteiras e espelhinhos"
[Leggi qui l'introduzione di Eliane Brum a questo articolo]
Traduzione di Clelia Pinto e Carlinho Utopia
Il segno della corruzione nel Brasile attuale, come della relazione esplosiva tra stato e imprese, ha come simbolo l’ Operação Lava Jato e la Petrobras, su cui tutti gli occhi sono puntati.
(ndt. "Operazione Autolavaggio". Inchiesta ancora in corso della magistratura brasiliana, una sorta di "tangentopoli" brasiliana, che ha portato alla luce un sistema generalizzato di tangenti versate da almeno un decennio dalle principali imprese edilizie del paese a responsabili della Petrobras, il colosso petrolifero nazionale a maggioranza statale)
Senza ignorare l’enorme importanza di quest’indagine, ci sono elementi per sospettare che il simbolo dei pericolosi legami tra pubblico e privato possa stare anche in un altro luogo: nella costruzione della controversa idroelettrica di Belo Monte, sul fiume Xingu, in Amazzonia.
Si tratta di un progetto a lungo accarezzato dalla dittatura ma realizzato dalla democrazia, con i governi Lula-Rousseff, che unisce i fili scoperti della storia recente del paese, espone la collezione di ferite sociali del Brasile e ci obbliga a intendere la corruzione anche come atto di sterminio.
Belo Monte rivela le viscere di un modo di operare che si è consolidato durante la dittatura, ha attraversato vari governi della democrazia e permane ancora oggi.
BELO MONTE, ANNUNCIO DI UNA GUERRA
Documentario indipendente interamente finanziato attraverso una raccolta fondi in rete. Regia: André Vilela D’Elia. Brasile, 2012
Traduzione, edizione e sottotitoli: Clelia Pinto e Carlinho Utopia
L’Amazzonia, tanto come creatrice di significati per il Brasile quanto come luogo concreto dove si svolge la disputa tra vari attori, non è la periferia del paese ma il centro. Quel che dobbiamo fare, forse, è spostare lo sguardo per poter mettere a fuoco meglio. Questo modo di operare, in cui pubblico e provato si mescolano, è la chiave per comprendere il “Dossiê Belo Monte: Não há condições para a Licença de Operação” ("Dossier Belo Monte: non ci sono le condizioni per la consentirne la realizzazione”), documento pubblicato dall’Istituto Socio-ambientale a fine giugno.
Sappiamo che il denaro sottratto attraverso la corruzione è quello chemanca per le infrastrutture igienico-sanitarie, per la sanità e per l'educazione, così come per altri investimenti prioritari. Ma rimane sempre un po’ astratto. A Belo Monte è possibile vedere e quantificare a cosa la relazione contaminata tra la concessionaria Norte Energia e il governo federale ha già causato negli ultimi anni, tra 2010 e 2015.
Il recente annuncio che il TCU -Tribunal de Contas da União (ndt. la Corte dei Conti) aprirà un'indagine sull’uso dei fondi pubblici nella costruzione della diga di Belo Monte è una buona notizia. Ma è ancora molto poco e arriva in ritardo. L’indagine del TCU risponde a una richiesta del Pubblico Ministero Federale: le imprese sotto inchiesta della Lava Jato per aver destinato fondi alla Petrobras sono le stesse che costruiscono Belo Monte e, pertanto, è necessario indagare la loro connessione con un’altra impresa, l’Eletrobras, questa del settore elettrico. Uno dei delatori dell’operazione Lava Jato, Dalton Avancini, ex presidente della società di costruzioni Camargo Corrêa, ha già affermato che l'impresa si era impegnata a pagare al PMDB (Partido do Movimento Democrático Brasileiro) una tangente di 20 milioni di reais per partecipare alla costruzione della diga.
Il costo della diga, secondo il TCU, è stimato oggi in 33 miliardi di reais. All’epoca dellla gara d'appalto era stimato intorno ai 19, un aumento, quindi, più che considerevole. La maggior parte di questi fondi proviene dal BNDES (Banca Nazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale).
"Nella realizzazione di Belo Monte
c'è tutto il campionario di come
pubblico e privatosi articolano
nella storia recente del paese"
Nella realizzazione di Belo Monte c'è tutto il campionario di come pubblico e privato si articolano nella storia recente del paese. (ndt. Nel testo originale, Eliane Brum gioca con le parole "mostruario", l'equivalente in italiano di catalogo, campionario... e "monstruario", una sorta di espositore di "monstros", cioè di mostri). Ma siccome colpisce direttamente popolazioni già discriminate, il cui modo di vivere e la cui conoscenza sono stati squalificati per secoli, come nel caso delle popolazioni indigene e fluviali, siccome è una regione lontana dal centro politico ed economico del paese, le loro violazioni sono state tollerate mentre la diga diventava fatto compiuto sulla riva di uno dei fiumi più importanti dell’Amazzonia.
In questo articolo presento la più recente radiografia sull’eredità che la diga ha già lasciato al Brasile, ancor prima di iniziare a funzionare, ma cerco anche di capire perché immaginari e cammini storici permettono che qualcosa del genere succeda nel ventunesimo secolo e in una democrazia. Questo è un momento cruciale, visto che Belo Monte è in attesa che l’Ibama (Istituto per l’ambiente e per le risorse naturali rinnovabili) dia la Licença de Operação (ndt. l’autorizzazione in relazione alle valutazioni d'impatto ambientale).
1. Architettura della distruzione
È necessario osservare con attenzione la traiettoria di Belo Monte per comprendere la relazione tra governi e imprese. Nel 2010, ancora durante il secondo mandato di Lula, poco prima della gara d’appalto per la diga, due giganti delle costruzioni, Odebrecht e Camargo Corrêa, annunciarono d’essersi ritirate per “mancanza di condizioni economico-finanziarie che permettessero la loro partecipazione”. In altre parole: il profitto non era garantito.
In tutta fretta, il governo formò il Consorzio Norte Energia, per assicurarsi la vittoria, poiché c’era soltanto un altro consorzio candidato, il Belo Monte Energia di cui facevano parte la Andrade Gutierrez, Vale, Eletrosul, Furnas, Companhia Brasileira de Alumínio e Neoenergia.
Il consorzio creato dal governo vinse. Era composto da una succursale dalla Eletrobrás (la più grande società elettrica brasiliana, nonché la più grande dell'America latina, di cui il governo brasiliano ha la maggioranza azionaria), la Chefs (Compagnia Idroelettrica São Francisco) e da alcune imprese di minore portata. Fu rinominato dalla stampa “consorzio delle sconosciute”. In quell’occasione, l’allora presidente del consorzio e direttore della Chefs, José Ailton de Lima, affermò, con tutte le ragioni, che le condizioni di finanziamento offerte dal BNDES per la costruzione di Belo Monte "erano tra le migliori del mondo".
La cosa più interessante viene ora: le imprese di costruzione che partecipavano al consorzio vincitore preferirono lasciarlo dopo essersi aggiudicate la gara d'appalto. Oggi, la Norte Energia è formata principalmente da imprese statali del settore, come Elettrobras e la stessa Chefs, e da fondi pensionistici (Petros e Funcef). In sintesi: è per la maggior parte pubblica. Circa il 50% della composizione azionaria riguarda imprese controllate direttamente o indirettamente dallo stato.
Per costruire l’idroelettrica, la Norte Energia ha incaricato il terzo elemento nell'architettura politica e economica della diga: il Consórcio Construtor Belo Monte (Consorzio Costruttore di Belo Monte). E indovinate chi ne fa parte? Si, proprio loro, i giganti delle costruzioni, Odebrecht e Camargo Corrêa, che avevano rinunciato a partecipare alla gara d’appalto per “mancanza di condizioni economico-finanziarie”; l’altro gigante, l'Andrade Gutierrez, che faceva parte del consorzio uscito sconfitto dalla gara; e le imprese che facevano parte del consorzio vincitore, ma che lo avevano abbandonato dopo aver vinto l’asta.
Possiamo concludere che costruire Belo Monte, una volta incaricati dalla Norte Energia, si è rivelato un affare di gran lunga migliore per le imprese.
"C’è qualcosa di osceno
nell’architettura
politica ed economica
di Belo monte"
Ci sono ancora due punti importanti per capire meglio il seguito.
A causa delle violazioni dei diritti e della serie di impegni non rispettati dalla Norte Energia, il MPF (Ministero Pubblico Federale) ha avviato oltre venti azioni disciplinari contro l’impresa. In alcune di queste azioni, quando l'MPF ottenne la sospensione dei lavori della diga finché i vingoli (condizionanti) stabiliti per la costruzione non venissero rispettati, l’Advocacia-Geral da União (L'avvocatura generale dello stato) ha utilizzato uno strumento autoritario: “la sospensione di sicurezza”.
Questo strumento è concesso dalla presidenza di un tribunale, che non analizza il merito della questione, ma si limita solo a citare ragioni come “ordine, salute, sicurezza e economia pubblica”. In questo caso si aggiungeva che era necessario rispettare i tempi previsti dell’opera e, quindi, non poteva essere paralizzata da una decisione giudiziaria provvisoria. L’uso della sospensione di sicurezza ha garantito che, quando il merito dell’azione sarà giudicato in ultima istanza, il che richiederà anni, Belo Monte sarà già un fatto compiuto, come siamo abituati da sempre a veder accadere.
Un altro punto che richiede attenzione è il modo in cui sono state affrontate le proteste contro le arbitrarietà di Belo Monte, così come i vari fermi dei lavori. Il governo ha usato la Forza Nazionale dell'esercito per reprimere tanto le manifestazioni di indigeni, popolazioni fluviali, agricoltori e abitanti urbani colpiti dalla costruzione della diga, quanto gli scioperi dei lavoratori nei cantieri. Una scelta sorprendente per un governo democratico.
La domanda ovvia è: dove finisce il pubblico e dove inizia il privato? Belo Monte è, allo stesso tempo, un’opera controllata in parte dallo stato, finanziata in gran parte da una banca pubblica e le cui posizioni di impresa sono difese dall’Advocacia Geral da Uniao. Allo stesso tempo anche il governo è responsabile, attraverso organi come l'Ibama e la Funai (Fondazione Nazionale dell’Indio) di controllare il rispetto degli accordi e dei diritti delle popolazioni.
È abbastanza evidente che c’è qualcosa di osceno in quest’architettura.
Nel dossier su Belo Monte, la seguente osservazione esplicita l’oscenità: “forse la maggior sfida di Belo Monte consiste nel superare il conflitto d’interessi e le contraddizioni inerenti al fatto che si tratti di un’opera che riguarda il governo federale, allo stesso tempo eseguita, finanziata e controllata dallo stesso". Il dossier mostra anche che il grosso delle informazioni sulle azioni e l’impatto della costruzione di Belo Monte viene dalle relazioni svolte e inviate periodicamente dalla Norte Energia. In sintesi: l’Ibama controlla in base a ciò che viene detto dall’oggetto del suo controllo.
Così, durante il processo di avviamento di Belo Monte, sono stati aperti vari processi amministrativi contro la Norte Energia, culminati in multe per un valore totale di 15 milioni di reais. Secondo il dossier, nessuna è stata pagata fino a oggi.
È difficile immaginare un mondo più amorevole per la Norte Energia e per il Consorzio Costruttore Belo Monte di quello che i governi Lula-Dilma hanno creato. È anche difficile immaginare un mondo più perverso per le popolazioni colpite e per l’ambiente di quello che questi stessi governi hanno creato. Ma quel che dobbiamo capire è che la popolazione colpita è anche tutta quella brasiliana, e in vari modi.
Questa spaventosa architettura è denunciata da anni da organizzazioni socioambientali, leader del movimento sociale Xingu e da specialisti del settore. Nel 2011, Célio Bermann, ricercatore dell’area energetica e professore dell’università di São Paulo, fece un’analisi profonda su quelle che affermò essere le ragioni reali per cui si scavalcava la legge per costruire Belo Monte. (leggi qui)
"I governi Lula - Dilma
hanno creato
il più “friendly” dei mondi possibili per la Norte Energia
e per il Consorzio Costruttore
di Belo Monte."
Più tardi, Dom Erwin Kräutler, vescovo dello Xingu, costretto da dieci anni ad avere una scorta armata perché minacciato di morte a causa della sua difesa dei popoli della foresta, diede una testimonianza importante su come i movimenti sociali sono stati contrastati (leggi qui). Dom Erwin ha aiutato il papa nella sua recente enciclica sul cambiamento climatico, occupandosi dell’Amazzonia. Il procuratore della repubblica dello stato del Pará, Felício Pontes, è stato uno dei membri del Ministero Pubblico Federale che hanno richiamato ripetutamente l’attenzione verso la tragedia annunciata, nella speranza di evitarla.
La domanda è: perché non sono stati ascoltati?
2. Gli specchietti del ventunesimo secolo
Se l’Ibama darà la licenza di costruzione a Belo Monte, ci sono pochi dubbi che, nel momento in cui inizierà il riempimento della riserva della diga, tutto ciò che è stato violato e disatteso dalla Norte Energia e dall’attuale governo sarà ormai un fatto compiuto - e impunito - quanto la gigantesca diga. Questa volta, non si potrà tentare di spingere verso il compimento di ciò che non è stato compiuto verso la prossima tappa, perché non ci sarà una prossima tappa.
Si è trasformata in allegoria della “scoperta” del Brasile lo scambio con gli indios di beni di valore, per gli europei, con specchietti, oggetti che la popolazione originaria non aveva mai visto. A Belo Monte, questa pratica è stata adattata all'attuale momento storico, trasformandosi in lista di merci e rieditata, consumando un processo di sterminio culturale e creando una situazione di insicurezza alimentare in villaggi colpiti dalla costruzione della diga. Per avere un quadro più ampio di quest’uovo di serpente, leggi “Anatomia di un etnocidio”, in cui Thai Santi, procuratore della Repubblica a Altamira, mette in relazione concetti della filosofa Hannah Arendt e Belo Monte, enfatizzando l'eliminazione della cultura dei popoli indigeni nel raggio d’azione della maggior opera in costruzione nel paese.
"I villaggi colpiti dalla costruzione
della diga, hanno guadagnato per due anni un contributo mensile di 30.000 reais, sotto forma di merci varie, cosa che ha causato malnutrizione infantile
e sterminio culturale."
Il dossier dell’Istituto Socioambientale mostra che, in due anni, la Norte Energia ha dato una specie di stipendio ai villaggi coinvolti, per un valore di 30.000 reais. Funzionava così: i capi villaggio inviavano la lista di merci e l’impresa le consegnava. Secondo la Norte Energia, 212 milioni di reais sono stati spesi per i popoli indigeni.
Ma, invece di spendere il denaro per la riduzione e la compensazione dell’impatto ambientale, lo si è speso per l’acquisto degli specchietti di questo millennio: barche e motori per barche, milioni di litri di benzina, camioncini (anche in villaggi dove non c’erano strade), letti e materassi, tv al plasma, zucchero, bibite, caramelle e salatini e così via.
Questa operazione ha fatto esplodere, secondo tecnici che l'hanno seguita, “uno dei processi più perversi di cooptazione dei capi indigeni e destrutturazione sociale promossi da Belo Monte”. In un documento, il Distretto Sanitario Speciale Indigeno di Altamira (DSEI), subordinato al ministero della Salute, così si esprime:
"A partire da settembre 2010, con la costruzione della diga idroelettrica di Belo Monte, gli indios hanno iniziato a ricevere ceste alimentari, composte da alimenti non deperibili e industriali. Per questo gli indios hanno smesso di coltivare i loro campi, di piantare e produrre i loro alimenti. Però, a settembre del 2012, questo “beneficio” è stato tagliato, gli indios hanno perso il rifornimento di cibo e non avevano più campi per la raccolta, il che ha portato all'aumento del numero di casi di denutrizione infantile, arrivando a 97 casi o 14%."
In un altro punto del documento, il DSEI di Altamira relaziona l’aumento dei casi di diarrea acuta nel 2010 all’azione della Norte Energia nei villaggi:
"Nel 2010 abbiamo registrato un aumento considerevole, visto che in una popolazione di 557 bambini con meno di 5 anni, si sono verificati 878 casi, l’equivalente del 157% di questa popolazione o di 1.576,3 bambini ogni 1000 [...] Cambiamenti nelle abitudini alimentari con l’introduzione di alimenti industriali provenienti dalle risorse finanziarie delle condizionanti per la costruzione della diga di Belo monte è un altro fattore che contribuisce all’alto indice esistente."
La denutrizione infantile nei villaggi della regione, secondo i dati del dossier, è aumentata del 127% tra il 2010 e il 2012. Un quarto dei bambini è denutrito. Nello stesso periodo, sempre secondo il dossier, gli interventi d'assistenza sanitaria agli indios è aumentata del 2000% (duemila per cento) nelle città che rientrano nel raggio di Belo Monte. La situazione è così spaventosa che, nel 2014, tecnici della Funai hanno raccomandato l’acquisizione di ceste alimentari per affrontare la vulnerabilità alimentare delle comunità. In altre parole: ceste alimentari per impedire che gli indios, che prima di Belo Monte avevano un’autonomia alimentare, oggi possano morire di fame o di malattie causate dal consumo improvviso e indiscriminato di prodotti industriali, così come dall’interruzione delle semine, della pesca e della raccolta di alimenti, causata dall’ingresso degli stessi prodotti.
Il dossier mostra anche che la diga ha già lasciato un “livello di degrado ambientale e sociale difficilmente reversibile”. Secondo tecnici dell’Ibama ascoltati per l’elaborazione del documento, Belo Monte si è trasformato in un "pozzo senza fondo per il legname". Buona parte della legna risultante dall’opera è marcita. I tronchi non sono state neanche riutilizzati nella costruzione della diga, come era stabilito. Al tempo stesso, la Norte Energia ha comprato enormi quantità di legna - 17.000 metri cubi solo fino a dicembre 2012 - da fornitori esterni. Questa domanda repentina è proprio quel che i programmi ambientali vogliono combattere, visto che la legna commercializzata nella regione è quasi tutta frutto dell'illegalità.
"Da una sola terra indigena
è uscita, nel 2014,
l’equivalente di 13.000 camion
carichi di legna illegale"
Gli indici di sfruttamento illegale della legna sono schizzati verso l'alto nell’area di influenza dell’opera. Nella terra indigena Cachoeira Seca, una di quelle coinvolte dalla diga, sono stati estratti 200.000 metri cubi di legna solo nel 2014. Questa quantità è sufficiente per riempire più di 13.000 camion. Nel 2013 la terra indigena Cachoeira Seca è stata la più disboscata del Brasile.
Qual è lo scambio, di fatto, tra la Norte Energia a e i popoli indigeni?
la risposta forse sta nella conclusione di un’indigena Araweté, che, osservando l'ingresso delle merci nel suo villaggio, disse all’antropologo Guilherme Heurich: “Le merci sono la contropartita della nostra morte futura”
3. Di chi siamo figli?
Oltre a cio' che concretamente ha generato un’operazione politica e economica come quella di Belo Monte, bisogna capire come la popolazione brasiliana è stata allertata di quel che sarebbe successo, anche se meno di quanto dovuto, e anche così l’indignazione è rimasta circoscritta a settori della società, senza raggiungere l’insieme dei brasiliani. Belo Monte è uno scandalo che non è stato decodificato dal senso comune come uno scandalo. In parte, perché una quota significativa della stampa non lo ha trattato così. Ma, se noi non comprendiamo la storia, ci sono poche possibilità che questa storia, quella di Belo Monte, non torni a ripetersi in altre regioni amazzoniche.
"La dittatura ha fatto dell’Amazzonia un’immagine
per il consumo di massa che persiste nella democrazia."
L’idea che il senso comune ha ancora oggi dell’Amazzonia è quella di una propaganda, quella della dittatura militare. Una propaganda molto efficace e che, unita all’ignoranza della maggior parte della popolazione rispetto alla regione, persiste fino a o oggi. È durante la dittatura che l’Amazzonia si trasforma in immagine per il consumo di massa.
Fino ad allora, le notizie arrivano alla popolazione come informazioni provenienti da una geografia nebulosa, tanto affascinante quanto spaventosa, in cui si mescolavano eldorado, avventura e pericolo. Soldati della gomma, Ferrovia Madeira-Mamoré, Marcia verso l’Ovest, così come i nomi del Maresciallo Cândido Rondon e dei fratelli Villas- Bôas, erano, tra gli altri, capitoli di una storia frammentata per la maggior parte dei brasiliani.
La dittatura dà un’immagine coesa dell’Amazzonia. E la dà come propaganda. L’Amazzonia diventa quindi “deserto verde” o il “deserto umano”. Diventa anche “la terra senza uomini per uomini senza terra”. L’imperativo di “integrare per non consegnare” è uno slogan pubblicitario, che invoca una minaccia esterna riproposta fino a oggi, ogni volta che conviene, per garantire l’adesione della popolazione. Com’è già provato, la maggioranza adora un nazionalismo di occasione, anche se falso. Così, l’Amazzonia diventa espressione di un vuoto di persone e di una ricchezza incalcolabile che va presa, garantita e sfruttata. Prima la terra, poi il sottosuolo. E, trattandosi di un regime d’eccezione, le voci di resistenza in conflitto con questa narrativa sono nascoste o messe a tacere.
In questa propaganda ci sono falsificazioni molto attuali, nonostante tutti i progressi raggiunti nella re-democratizzazione e nonostante la garanzia di diritti per i popoli indigeni e per le comunità tradizionali nella Costituzione del 1988. La prima idea è che non ci sia gente in Amazzonia. È necessario quindi portarne, per occupare il territorio, garantire la sovranità nazionale e generare ricchezza. E come? Aprendo strade come la Transamazzonica, creando progetti di colonizzazione con contadini del sud e del nordest, aumentando la presenza dell’esercito alle frontiere.
Nella propaganda della dittatura, i popoli indigeni e le popolazioni fluviali non sono persone, o, per lo meno, non sono “persone giuste”. Quando l’ammissione della loro esistenza è obbligatoria, sono persone primitive che devono essere assimilate e salvate dal progresso. Poiché, se non fossero considerate come tali, l’Amazzonia non potrebbe essere venduta come un vuoto o un deserto umano. Né potrebbe essere occupata. Quel che la dittatura ha fatto con i popoli della foresta, specialmente con gli indigeni, è una storia che ha ancora bisogno di essere raccontata meglio. La Commissione per la Verità che ha appurato i crimini della dittatura stima che più di ottomila indigeni furono assassinati in quel periodo. È negli anni del regime d’eccezione che l’immagine degli indios come ostacoli al progresso viene incisa nel senso comune.
La Realidade (la Realtà), la rivista brasiliana di grandi reportage più celebrata, fece, nel 1971, un’edizione antologica, tutta dedicata all’Amazzonia. Se i reportage realizzati da alcuni dei maggiori reporter e fotografi brasiliani del ventesimo secolo continuano a essere impressionanti, ci sono altre due parti di questa rivista che sono diventate un documento di grande importanza: quella delle opinioni, con le dichiarazioni di ministri, generali e colonnelli della dittatura, e la parte degli annunci pubblicitari, preziosa per capire l’immaginario dell’epoca e, quindi, capire da dove veniamo noi, che urliamo che “l’Amazzonia è nostra!” ma che nemmeno per questo ci assumiamo responsabilità verso di essa.
Come ho già osservato in questo articolo, c’è uno tra i tanti discorsi sulla pagina delle opinioni della Realidade Amazônia che illustra con totale chiarezza la mentalità vigente. È quella del gaucho Carlos Aloysio Weber, allora colonnello e ex comandante del quinto battaglione di Ingegneria e Costruzione, uno dei primi a istallarsi in Amazzonia durante la dittatura civile-militare. Ancora oggi, tra gli altri omaggi pubblici, dà il nome a diverse scuole dello stato di Rondônia . Il colonnello è presentato come “leggendario” in quello stato, affermazione che fa rabbrividire.
La domanda del giornalista è questa: "Com’è possibile fare qualcosa in Amazzonia e trasformare la regione?”
Il colonnello ha risposto: "Quando si vuole fare una cosa in Amazzonia, non si deve chiedere il permesso: si fa."
E continua:
"Come pensa che abbiamo costruito 800 km di strada? Chiedendo il permesso? Abbiamo usato la stessa tattica dei portoghesi, che non chiedevano il permesso agli spagnoli per superare la linea di Tordesilhas. Se tutto quel che abbiamo fatto non fosse andato bene, starei in galera, vecchio mio."
Infatti. Se i crimini della dittatura fossero stati appurati e puniti, è possibile che militari come questo sarebbero stati messi in galera.
Se parole come quelle del colonello oggi possono sembrare assurde, osservando la costruzione di grandi opere come la diga di Belo Monte è possibile capire che questa idea è ancora ben presente. È ancora molto attuale, solo con qualche trucco, visto che siamo in un periodo democratico. In questo momento, i diritti dei popoli indigeni garantiti dalla costituzione del 1988 sono sotto l'attacco dell’attuale Congresso, grazie alle dimensioni e al potere della "bancada ruralista" , alleata con le "bancadas da bala e da bíblia".
"C’è un tentativo ricorrente
di sottrarre agli indios l’identità per offrire le loro terre allo sfruttamento privato"
(ndt. Il termine "Bancadas", letteralmente, indica i "Banchi del Parlamento". Al'interno del Congresso Nazionale brasiliano esistono tre fortissimi gruppi di potere trasversali ai partiti, legati ad interessi specifici: la "Bancada ruralista", legata ai grandi latifondisti e all'agribusiness; la "Bancada da Bala", letteralmente "della pallottola", formata da politici legati alle industrie di armi, da molti ex poliziotti e militari; la "Bancada da Biblia", il fronte religioso evangelico)
Ci sono vari progetti di emendamenti costituzionali che provano ad annullare i diritti dei popoli della foresta, come la PEC-215 [Su questo argomento leggi l'articolo di Eliane Brum "Gli indios ed il golpe alla Costituzione"]. Poiché non è più possibile trattare gli indios come “non persone” ora si dice di loro che “hanno troppa terra” o che “non sono veri indios”. Siccome gli indios sono diventati quello che si definisce "soggetti di diritto", è necessario togliere loro tanto il "soggetto" - la ragione della frase "non sono veri indios" - quanto il "diritto" - “hanno troppa terra”.
L’indigeno trova spazio come allegoria nell’immaginario nazionale, come un componente di formazione cristallizzato nel passato, quasi un’incisione. Ma la sua esistenza concreta, la sua storia in movimento, e principalmente, la sua resistenza come protagonista storico, lo trasforma in fastidioso. L’idea dei popoli indigeni come “ostacoli” ora non più al progresso ma allo “sviluppo”, persiste nel sentire comune. E gli “ostacoli” devono essere “rimossi”. Sia attraverso lo sterminio diretto, il che non è più possibile in una democrazia, sia attraverso lo sterminio culturale, come quello messo in atto dalla Norte Energia e dal governo federale a Belo Monte.
"La scommessa di
settori della società legati all'agribusiness e al settore minerario, è nella conversione
dell’indio in povero"
La scommessa di settori della società legati all'agribusiness e al settore minerario, ancora oggi, come è solito affermare l’antrpologo Eduardo Viveiros de castro (leggi qui), è nella “conversione dell’indio in povero”, dalla foresta alla favela. Debitamente trasferiti nelle periferie urbane, si apre il cammino per lo sfruttamento privato delle loro terre ancestrali.
L’immaginario sull’Amazzonia e i popoli della foresta è stato costruito nell’arco di decenni. Questa è una delle spiegazioni possibili per il fatto evidente che una parte considerevole di brasiliani consideri lo sterminio culturale degli indios di Belo Monte un piccolo o, addirittura, nessuno scandalo.
Siamo tanto eredi quanto riproduttori di questa propaganda e la maggioranza continua ancora oggi a prenderla per verità. Tanto rispetto all’Amazzonia quanto ad altre 2 truffe: quella che l'idroelettrica nella foresta sia “energia pulita” e quella che, se Belo Monte non fosse stata costruita , così come le altre dighe in Amazzonia, non avremmo più avuto elettricità per assistere alle telenovelas. Questa semplificazione della complessa questione delle fonti e del consumo d’energia, in un pianeta sconvolto dal cambiamento climatico, è al servizio di potenti interessi che hanno poco a che vedere con le necessità concrete della popolazione.
L’ignoranza, però, non ci assolve in alcun modo. In questo momento, questo ci rende complici di etnocidio. Oggi, né la stampa né nessun brasiliano può usare la scusa di essere imbavagliato dalla censura di un regime d’eccezione.
4. Imprese e stato, una lunga luna di miele alla brasiliana
Un’altra falsificazione della propaganda della dittatura sull’Amazzonia che persiste fino a oggi è quella dell’Amazzonia come un corpo da occupare e violare. Questo corpo viene svuotato dal soggetto e, così convertito, diventa un oggetto. E, in quanto oggetto, è oggetto di sfruttamento.
In questo senso, forse l’immagine più emblematica è quella del generale Emílio Garrastazu Médici, presidente durante il periodo più sanguinario della dittatura, tra il ’69 e il ’74. Nell’intervista già citata, Dom Erwin Krautler, racconta del giorno in cui vide il generale celebrare la Transamazzonica, all’inizio degli anni ’70. L’atto simbolico di Médici, per segnare il potere dell’uomo sulla natura, tanto tipico della modernità, fu l’abbattimento di un gigantesco albero di castagno. Possiamo pensare che questo gesto alluda al potere del regime sui corpi torturati nelle segrete della dittatura fino a essere svuotati anche loro stessi del soggetto.
"Médici diede inizio all’opera. Tutta la gente sulle tribune era in delirio... deliravano davero! Applaudivano! Rendetevi conto, stavano abbattendo un albero del genere! E dicevano che era il progresso che stava arrivando. Mi ha spezzato il cuore… come si può? Applaudire mentre il re degli alberi del Parà o dell’Amazzonia cade e con un tonfo tremendo. Com’è possibile? Sulla targa che posero c'era scritto: “Il presidente della repubblica dà inizio alla conquista del gigantesco mondo verde”.
La conquista dell’Amazzonia era quindi rappresentata dell’abbattimento del castagno, l’albero torturato fino alla morte per ordine del generale. Il luogo che ricorda quest’evento a Altamira è conosciuto come “Pau do Presidente” (ndt. letteralmente il "palo o bastone del presidente". È evidente il doppio senso del termine). Il che è molto significativo. Il presidente fallico, potente, da una parte. Ma dall’altra, di chi è il bastone che ha tagliato?
Questa idea, quella dell’Amazzonia come corpo da sfruttare, corpo senza soggetto, da dominare, sottomettere e violare, che guadagna una forma nella dittatura e simboli come questo, continua e essere abbastanza egemonica nel sentire comune.
"Il "Palo del Presidente" è il simbolo fallico della conquista dell’Amazzonia che espone la mentalità di un’epoca, ancora attuale a Belo Monte."
È questa visione che prevale oggi nella politica delle grandi dighe in Amazzonia dei governi Lula - Dilma. Cos’è l’immagine della diga di Belo Monte, quella mostruosità umana imposta sulla foresta in mezzo allo Xingu? Non è essa stessa una specie di fallo, ma ora dislocato, visto che i tempi sono altri? Che significa un’opera come questa in un momento in cui il mondo teme il mutamento climatico causato dall'uomo?
Le imprese della Transamazonica e delle grandi opere della dittatura sono in gran parte le stesse che hanno costruito Belo Monte durante la democrazia. Oggi alcune di queste hanno direttori e padroni in galera. La dittatura è stata la luna di miele delle imprese con il potere e, da allora, il Planalto (ndt. Il congresso nazionale brasiliano) e le imprese sono intimi. I governi Lula-Dilma segnano un momento di grande sintonia in questa relazione, ma sono lontani dall’essere gli unici. La “conquista” dell’Amazzonia è un progetto dello stato brasiliano con le grandi imprese che attraversa i governi della dittatura e quelli della democrazia. È qualcosa, quindi, che è necessario capire in un contesto ampio su come il pubblico e il privato si sono intrecciati nella storia brasiliana.
"Le imprese hanno
costruito Brasilia e
mai più ne sono uscite"
Lo storico Pedro Henrique Pedreira Campos evidenzia questa relazione in una tesi di dottorato discussa all’Università Federale Fluminense. La tesi è diventata il libro “Strane cattedrali: le imprese brasiliana e la dittatura civile-militare”, pubblicato nel 2014 dalla UFF. Le grandi imprese vennero nazionalizzate proprio negli anni di JK (governo di Juscelino Kubitschek, 1955-1960), con la costruzione di Brasilia. Prima, le imprese erano regionali. Le imprese hanno costruito concretamente Brasilia, e simbolicamente e materialmente, non ne sono mai più uscite.
Alcuni esempi: il ponte Rio - Niteroi è stato realizzato da un consorzio che coinvolgeva Camargo Corrêa e Mendes Júnior. Itaipu è stata fatta dalla Camargo Corrêa, Andrade Gutierrez e Mendes Júnior. La Transamazzonica coinvolse Mendes Júnior e Camargo Corrêa. Belo Monte è costruita da un consorzio di varie imprese, tra cui l'Andrade Gutierrez e la Camargo Corrêa.
Le imprese, quindi, sono le stesse prima e durante la dittatura e poi nel ritorno alla democrazia. Il paese ha cambiato regime, ha ottenuto una nuova costituzione, ma le imprese continuano a essere le stesse. C’è una frase su questa relazione, nel libro di memorie di Samuel Wainer, giornalista polemico: “in quel momento, ho conosciuto la figura indispensabile alla decifrazione dei segreti del gioco del potere in Brasile: l'impresario costruttore”. Niente di più attuale.
Una storia interessante di relazione tra imprese, stato e Amazzonia può essere raccontata attraverso la figura di Cecílio do Rego Almeida, morto nel 2008, che era al contempo padrone dell’impresa di costruzione CR Almeida e Il più grande "grileiro" del mondo (ndt. “grileiro” è chi si appropria illegalmente e con la violenza di grandi territori) . Aveva occupato un’area di sei milioni di ettari, composta da terre indigene, terre pubbliche e insediamenti dell’Incra, che è rimasta conosciuta come “Ceciliolandia”.
L’area di cui si appropriò illegalmente era equivalente alla somma dei territori di Belgio e Olanda, in piena Terra di Mezzo, nel Parà. L’imprenditore divenne conosciuto come Don Ciccillo durante la dittatura , quando la CR Almeida si aggiudicò 37 grandi opere federali e divenne una potenza. Fino alla morte era solito riferirsi al regime come “la più leggera della dittature”.
Quando Marina Silva era ministra dell’ambiente, Don Ciccillo la chiamava “quella piccola india totalmente pazza e analfabeta”. A Olívio Dutra, ex governatore del Rio Grande do Sul e ex ministro di Lula, toccò l’epiteto di “frocio”. Riferendosi a Chico Mendez usava i seguenti termini “quel seringueiro (ndt. estrattore di caucciù) che si è fottuto”. Questa era la persona. E il personaggio. Per conoscerlo meglio, suggerisco un reportage della rivista Caros Amigos, realizzato dal giornalista João de Barros, nel 2005.
La cosa più curiosa, però, è successa due anni dopo, nel 2013. In quell’anno, l’allora deputato federale André Vargas è riuscito a approvare alla Commissione della Costituzione, Giustizia e Cittadinanza della Camera dei Deputati un progetto d’omaggio a Cecílio do Rego Almeida.
Vargas pretendeva di dare il nome dell’imprenditore a un tratto dell'autostrada BR-277, tra Paranaguá e Curitiba, uno dei principali del paese.
Nel 2014,come si sa, Vargas è stato espulso dal PT e dalla Camera. Nel 2015, è stato arrestato nell’operazione Lava Jato.
Due anni fa, però, era ancora vicepresidente della Camera, abbastanza influente nel Pt e al Congresso. Il progetto di legge era del 2009 e nel testo di motivazione il deputato diceva: “il lavoro di Cecílio do Rego Almeida, è stato perseverante nel suo obiettivo e ora, dopo la sua morte, questo benemerito cittadino potrà ricevere il meritato omaggio”. “Perseverante" è dir poco per definire la vita pubblica di Don Ciccillo, omaggiato dopo la morte da un deputato del Partito dei Lavoratori. Nel 2015, con l’autore in prigione, il progetto è stato archiviato dal Senato.
"L’omaggio all’imprenditore e “maggior grileiro” del mondo da parte di un deputato del Pt oggi in prigione è emblema del momento storico"
La relazione tra i governi Lula-Dilma, Norte Energia e il consorzio di imprese di costruzioni nell’opera di Belo Monte va smascherato a partire da questo contesto più ampio. Se ha le sue specificità - e di fatto le ha- non può però essere scollegata da un modo di operare che oltrepassa questo o quel governo e che è profondamente infiltrato nello stato brasiliano. La “conquista” dell’Amazzonia e tutto lo strascico di violenze lasciato da questa esperienza non potrebbero essere stati consumati nel corso della storia del Brasile senza questo tipo di “conquistador”.
Ai nostri giorni, si è guadagnato il titolo di “imprenditore”.
6. Altamira, l’inferno senza verde
Il dossier Belo Monte, lanciato dall’Istituto Socioambientale, con la collaborazione di tecnici che testimoniano nel quotidiano l’impatto della diga, mostra quel che è successo a Altamira e nella regione coinvolta dai lavori. Tra il 2011 e il 2014, il numero di omicidi per anno è salito da 48 a 86, un aumento dell’80%. Il tasso è fino a oggi di 57 ogni 100.000 abitanti, cinque volte superiore all’indice di omicidi considerati dall’OMS come “non epidemico”.
Il numero di incidenti stradali negli ultimi quattro anni è passato da 456 annui a 1.169: un aumento del 144%. Solo nel 2014, il numero di pazienti vittime di incidenti stradali registrati all’ospedale regionale di Altamira è aumentato del 213% in rapporto al 2013.
La situazione delle strutture igienico-sanitarie è terrificante. Sono stati costruiti 220 km di rete fognaria e 170 km di rete per l’approvvigionamento dell’acqua ma nessuna casa è stata allacciata al sistema. Dopo oltre un anno di discussione su chi sia il responsabile, la prefettura di Altamira ha annunciato a fine giugno l'intenzione di creare una impresa municipale che gestisca le infrastrutture di base e realizzi gli allacci.
La Norte Energia pagherà il costo di queste opere. L’iniziativa, però, dipende dall’approvazione del progetto da parte degli assessorati.
I tassi do bocciature scolastiche nei cinque municipi interessati direttamente dalle opere di Belo Monte sono saliti del 40, 5% alle scuole elementari, tra il 2011 e il 2013, e 73, 5% alle scuole medie, tra il 2010 e il 2013.
A Altamira, l’abbandono scolastico nella scuola dell'obbligo è aumentato del 57% tra il 2011 e il 2013. Professori della scuola pubblica riferiscono che un grande numero di allievi ha lasciato la scuola per lavorare nei cantieri della diga.
Vale la pena fare luce su quel che si chiama “rimozione”. Parola “tecnica” per quel che in pratica significa espulsione, il termine è diventato popolare durante i lavori per i Mondiali del 2014. È curiosa la facilità con cui accettiamo le parole e passiamo a riprodurle. Qui “rimozione” sarà usato sempre tra virgolette, per mantenere l’estraniamento che la parola dovrebbe provocarci. Questo nel caso in cui fossi io o chi legge questo testo a essere “rimosso” da casa sua in nome dello “sviluppo”.
"In migliaia sono stati sradicati dalle loro case e
dal loro modo di vivere,
in parte analfabeti,
senza alcuna protezione
o sostegno legale."
Nel caso di Belo Monte, più di 8.000 famiglie - circa 40.000 persone- sono state sradicate - o lo saranno - dal luogo in cui vivono, lavorano, hanno legami familiari e di vicinanza, memoria e quotidianità.
Ma, se la parola “rimuovere” è il primo estraniamento, la brutalità maggiore sta nella forma in cui questo si è svolto. La popolazione colpita, in parte analfabeta, ha ricevuto assistenza legale dallo stato solo all’inizio del 2015, quando la diga già si preparava a chiedere all’Ibama la licenza per l’operazione.
In tutti gli anni dell’opera, è rimasta alla mercé della Norte Energia e della sua equipe composta da decine di avvocati. Dopo un’udienza promossa dal Ministero Pubblico Federale nel novembre 2014, la Defensoria Pública da União (Avvocatura Pubblica dello Stato) ha fatto un enorme sforzo, visto che mancano difensori pubblici in tutto il Brasile senza che il governo si sforzi di compensare questa mancanza, e ha formato una task force.
Il governo federale non si è mosso per garantire accesso alla giustizia in una delle maggiori opere del Programma di Accelerazione della crescita (PAC). Al contrario, ha abbandonato la popolazione. Anche chi abita in città e ha un titolo di scuola superiore sa quanto la giustizia e il suo linguaggio siano capaci di rendere analfabeta anche un laureato. È facile immaginare l’impatto di questa realtà su contadini e pescatori, così come la popolazione urbana e povera dei bassifondi di Altamira, di fronte al potere dell’impresa concessionaria.
L’ “imprenditore”, il vestito nuovo, molto più gradevole, del conquistatore o colonizzatore, riproduce la logica del dominio: per conquistare o per colonizzare serve imporre la propria visione del mondo. Per conquistare e colonizzare - o per “imprendere” - è necessario partire dal principio che l’altro, che sta là, non abbia alcuna conoscenza. L’ “imprenditore” è il soggetto del corpo che domina. Prima per svuotarlo: nel passato, dell’umanità; nel presente, dell’identità. Poi, c’è il dominio concreto, facendo diventare questo corpo ciò che lui ne fa. Altamira vive questa realtà.
Le storie delle “rimozioni” riempiono pagine e pagine con cronache di violenza. C’è stato chi è uscito e rientrando a casa non ha trovato nulla. C’è chi ha firmato col dito una lettera che non sapeva leggere. Quello che ha attraversato il processo, oltre alla completa omissione del governo e dell’abuso di potere dell’Elettro Norte, è stato il totale disinteresse nel comprendere quale fosse il modo di vivere delle famiglie che sradicavano da quei posti. Capire, per iniziare, cos’era una casa per loro. Per chi si è registrato, l’idea di casa e di quotidiano era quella che portavano con loro dai loro luoghi d’origine, tanto geografici quanto di classe. È possibile capire in vari testi e discorsi, incluso quelli della stampa, il disprezzo per quel che si chiama “tuguri“ o anche “palafitte”.
In un reportage che ho pubblicato in questo spazio, chiamato “Il pescatore senza fiume e senza lettere”, ho raccontato una di queste storie in cui un Brasile spegne un altro Brasile, quello più fragile e indifeso. Ascoltando la storia di Otávio das Chagas e della sua famiglia, è chiara l'importanza vitale di tutto quello che gli è stato strappato, quando tutta la vita che conoscevano, così come i segni che provano questa vita, divennero letteralmente acqua. Raccontandomi la loro storia, senza nulla come prova della loro esistenza su un’isola che non esiste più, mi indicavano disperati le cicatrici nell’unica geografia che era rimasta loro: il loro corpo.
Grazie allo sforzo della Defensoria Pública da União, Otávio das Chagas è riuscito a ottenere una casa in uno dei quartieri costruiti dalla Norte Energia. Questo lo ha reso un privilegiato tra le vittime di Belo Monte. Solo il 4% dei “rimossi”, secondo il dossier, hanno ricevuto una casa, per totale mancanza di informazioni e orientamento nella registrazione e nella negoziazione simulata che ha caratterizzato il processo. Un altro 75% ha ricevuto un indennizzo che non gli consente di comprare una casa, visto che i prezzi a Altamira sono esplosi dall’inizio dell’opera. E un altro 21% ha ottenuto un indennizzo in forma di carta di credito.
"Belo Monte ha creato
una generazione
di pescatori
senza fiume e senza pesce
in piena Amazzonia"
Quelli che sono stati “ricollocati” o “re-insediati” sono distanti dal loro modo di vivere, dal loro lavoro, dai loro legami d’affetto e solidarietà, dall’unica vita che conoscevano. Molti di loro sono, come Otávio das Chagas, pescatori senza fiume e senza pesce, strappati dalle loro isole e gettati in un complesso abitativo distante da tutto e in cui non si riconoscono. L’immagine di Otávio das Chagas e della sua famiglia di fronte a questa casa, dislocati dal loro mondo e anche da se stessi, mostra che il suo finale è stato soltanto meno infelice.
Qui, c’è la conversione da contadini e pescatori a poveri. Dice Otávio das Chagas, il trapiantato di radici amputate e sommerse:
"Io so vivere solo sulla riva del fiume. Anche i miei bambini conoscono solo il lavoro del fiume. È così triste."
In un’intervista alla giornalista Letícia Leite, dell’Istituto Socioambientale, la consigliera tutelare di Altamira, Edizângela Barros, ha raccontato che la “rimozione” da casa sua ha causato la prima separazione dei suoi figli. Persino quando dovette trascorrere una notte nelle strade di Altamira, Edizângela era riuscita a tenere i suoi figli con sé. Con la “rimozione”, lontano da tutto e senza trasporto pubblico, non è più stato possibile. Il taglio simbolico tra ciò che c’è di più viscerale, la relazione tra una madre e i suoi figli piccoli, sintetizza la scure di Belo Monte su decine di migliaia di vite umane.
È in questo punto che sta la storia.
7. La guerriera Antonia Melo lascia la sua casa a schiena dritta
Sabato 4 luglio, c’è stata una festa di commiato dalla casa di Antonia Melo, annunciata come una celebrazione delle “storie di vita e di identità amazzonica”, così come la “riaffermazione della resistenza ai grandi progetti del governo, come Belo monte”.
Coordinatrice del movimento Xingu Vivo, a 65 anni Antonia Melo è il simbolo della lotta contro Belo Monte e una delle più importanti leader della storia dello Xingu. Nella difesa dei popoli della foresta, degli agricoltori, donne e bambini, Antonia ha visto compagni cadere uccisi da colpi di pistola. Ha anche frequentato liste di persone minacciate di morte. Durante la battaglia contro la diga, ha lasciato il Pt diventando critica verso Lula e Dilma Rousseff. Quando racconta delle umiliazioni negli incontri con questo o quello al Planalto per discutere di Belo Monte, i suoi occhi si fanno umidi.
Nel 2014, il suo cuore, ferito in tanti modi simbolici, ha quasi ceduto. Soltanto quasi. Antonia ha subito un intervento e ha recuperato per tornare a denunciare le violenze inflitte da quella che lei chiama “Belo Monstro” (ndt. "Bel Mostro"). Anche lei, che vive tra gli sgomberi dei vicini, sarà obbligata a lasciare la casa nella zona urbana di Altamira, in cui vive da trent’anni, nelle prossime settimane.
Ho chiesto a Antonia Melo se si sente sconfitta. Lei mi ha risposto:
"No. Non mi sono mai piegata. Non è ancora la fine."
Eliane Brum* è scrittrice, reporter e documentarista. Tra le sue opere:
Coluna Prestes - o Avesso da Lenda, A Vida Que Ninguém vê, O Olho da Rua,
A Menina Quebrada, Meus Desacontecimentos e il romanzo Uma Duas.
Sito: desacontecimentos.com
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