12.10.15
Nel dramma politico brasiliano, tutti gli attori sono “cattivi”
di Eliane Brum*
articolo pubblicato sul The Guardian il 09.10.15
traduzione di Michaela Uccelli per il Resto del Carlinho Utopia
Dilma Rousseff, il presidente del Brasile che non governa più realmente il paese, diventa sempre più, ogni giorno che passa, una figura tragica. Ma la vera tragedia è quella della nazione brasiliana.
È troppo presto per definire l’impeachment della prima donna presidente della nazione una certezza. Sebbene questa evenienza sia diventata più probabile dopo il rifiuto da parte della corte federale delle relazioni sui rapporti finanziari per l’anno 2014, alla fine del suo primo mandato, per molti non è un motivo sufficiente a cacciare un presidente democraticamente eletto.
Il dramma maggiore, tuttavia, è quello che non si concluderà se la Rousseff rimarrà in carica o meno. È quello di una nazione che per così tante generazioni ha visto un futuro davanti a sé che non è mai arrivato, ma che ha finalmente creduto di avere a portata di mano con l’elezione di Luiz Inácio Lula da Silva alle presidenziali del 2003, e la conseguente mobilitazione di milioni di brasiliani, e che adesso si trova nuovamente impantanata nel passato.
Ci sono poche virtù in mostra nell’attuale dramma del Brasile ed ancora meno protagonisti virtuosi. Per provare a rimanere alla presidenza mantenendo la coalizione intatta, la Rousseff deve “fare le moine” al presidente del Senato, Renan Calheiros, una grigia figura che qualche anno fa dovette dimettersi per evitare di essere esautorato per accuse di corruzione.
La sua nemesi più grande è Eduardo Cunha, il presidente della Camera dei Deputati, che attualmente è sotto inchiesta da parte della polizia federale come parte della cosiddetta "Operazione Autolavaggio", ed i cui conti bancari svizzeri sono già stati scoperti. Questa operazione sta investigando un sistema su larga scala di riciclaggio di denaro che coinvolge la compagnia petrolifera di stato, Petrobras, importanti imprenditori e politici brasiliani.
La presidente che, almeno finora, non è mai stata sospettata di avere utilizzato soldi pubblici per guadagni personali, è sotto la minaccia di politici che hanno fatto un’abitudine del collezionare accuse di corruzione, senza che questo sembri provocare nella nazione il senso di shock che invece dovrebbe. Sia il suo alleato occasionale Calheiros, che naturalmente può cambiare posizione in ogni momento, che il suo nemico Cunha, che sventola la bandiera dell’impeachment ogni qualvolta gli aggrada, appartengono allo stesso partito, il PMDB (il Partito Democratico), così come il suo vice presidente, Michael Temer. Questa “coincidenza” potrebbe essere respinta come ridicola, se le azioni del PMDB non fossero una calcolata strategia per mantenere il potere durante tutto il processo di ri-democratizzazione del Brasile.
Cunha, che avrebbe già dovuto essere rimosso dalla presidenza della Camera dei Deputati se l’etica fosse un interesse reale del parlamento, sente di avere ancora l’appoggio dei suo compagni per puntare il dito contro il presidente. E così la Rousseff viene smentita ogni volta che pensa di avere trovato una via d’uscita – o almeno una maniera per rimanere in carica fino al 2018, anche senza più potere reale.
La vera tragedia è che in questo dramma politico quelli coinvolti sono quasi tutti “cattivi”. All’interno del PSDB (il Partito Socialdemocratico), che ha perso per un pelo le elezioni col PT (il Partito dei Lavoratori) nel 2014, ogni politico promettente è in cerca di una strategia che garantisca un posto nel governo, mettendo le proprie ambizioni personali davanti agli interessi del paese.
Non c’è scarsità di piani per ottenere il potere neanche tra l’opposizione del PT, ma piani concreti per il paese sono più inconsistenti di quei pupazzi gonfiabili giganti di Dilma o Lula, vestiti da galeotti, che si vedono spesso nelle dimostrazioni in strada.
Neanche quei manifestanti che recentemente hanno occupato i luoghi pubblici per chiedere l’impeachment del presidente rappresentano un’efficace forza di cambiamento, come avvenuto durante le proteste del giugno 2013. I manifestanti del 2015 hanno fatto di Cunha il loro principale alleato, il che rende ogni argomento anti-corruzione una farsa.
Tra loro c’è anche una minoranza che invoca il ritorno ad una dittatura militare, alzando le loro insegne in approvazione del regime che ha torturato ed ucciso i brasiliani solo pochi decenni fa. Fare autoscatti con una forza di polizia che ha il più alto tasso di uccisioni di cittadini nel mondo è diventata una triste tradizione nelle recenti dimostrazioni per l’impeachment. Questi sono gli stessi manifestanti che vorrebbero “moralizzare” il paese.
Il dramma della nazione riguarda anche la mediocrità, visto che la qualità dello spettacolo dipende dalla qualità degli attori. Il livello del dibattito politico è tanto sofisticato quanto una conversazione casuale ascoltata per caso su un autobus. In assenza di alternative degne di nota, il disincanto genera cinismo, un termine ancora più pericoloso.
Credere che il maggiore problema del Brasile oggi sia l’impeachment di Dilma Rousseff o la sua battaglia per mantenere il potere sarebbe naif. In ballo c’è anche l’inesauribile capacità delle elites del paese a fingere indignazione per creare più spazio per ristabilire i loro interessi e mantenere intatti i propri privilegi.
Il problema del Brasile, quindi, non è questo conflitto in particolare, ma piuttosto il fallimento nell’affrontare i veri conflitti. Ciò comprende l’incompleto processo di abolizione della schiavitù, delle abissali ineguaglianze economiche e dell’apartheid sociale e razziale, che sono questioni inesistenti. Sia i governi di Lula che di Dilma hanno scelto di smorzare questi storici temi, piuttosto che affrontarli di petto.
Il dramma più grande che sta affrontando il Brasile non è la crisi economica o l’incompetenza di Dilma Rouseeff, o anche la corruzione all’interno del PT. Il dramma del Brasile è l’oscenità.
Eliane Brum
è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.
Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.
Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).
Site: elianebrum.com | Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum
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