20.03.15
"Una massa infuriata contro Dilma Rousseff"
di Bernardo Guittierréz per Eldiario.es
traduzione a cura di Giuseppe Orlandini
Alla fine del 2014, Kim Kataguiri, studente di 19 anni, rifletteva da una terrazza di San Paolo sull'ideologia del Movimiento Brasil Livre (MBL, Movimento Brasile Libero), che sta dirigendo le proteste contro la presidente Dilma Rousseff dalla sua rielezione: “mai lasceremo che il nostro paese stia sotto una dittatura totalitaria”.
Kim e la cupola del MBL compongono un immagine bizzarra: estetica hipster, neoliberali fino al midollo “in stile Tatcher e Regan”, favorevoli alla privatizzazione dei servizzi di base. Nel 2014 il recentemente formato MBL riuscì a riunire appena tra le 2000 e le 10000 persone nelle sue manifestazioni. Ma la macchina era in marcia.
La furia generalizzata contro il Partido dos Trabalhadores (PT) e contro Dilma era nell'aria dietro lo scandalo Lava Jato, il maggior caso di corruzione dell'impresa statale Petrobras. E l'indignazione che riempì le strade del Brasile nel giugno del 2013, dissolta ma esistente, era il brodo di coltura perfetto per questa banda di giovani cool che navigano sciolti tra il marketing e le strategie delle reti sociali.
Non è casuale che il Movimento Brasil Livre, il MBL, che si definisce apartitico, si confonde sonoramente con il Movimento Passe Livre, il MPL (Movimento Passaggio Libero), che infuocò le strade nel giugno 2013. Una lettera – una B al posto della P- che è un abisso: il MPL è un movimento autonomo di sinistra radicale. Però tutto vale nel calcolo del trucco-caccia-indignazione. La rabbia attraverso il “corruzionometro” crescente della Petrobras, si andava canalizzando verso la classe politica. E concretamente contro al governo.
Le manifestazioni di fine 2014 contro Dilma provocavano sorrisi e disprezzo tra gli attivisti, per il loro carattere di ultra destra: il rocker Lobão chiedendo impeachment su un camion, alcuni nottambuli sognando il golpe militare. Però la sottile macchina hipster del MBL era in marcia, sequestrando l'indignazione. Il MBL ha realizzato a fine gennaio una lezione pubblica con il tema del MPL (del trasporto urbano) in un luogo icona dei movimenti di sinistra: il Museo d'Arte di San Paolo. Non era una coincidenza. Il MBL andava tessendo il suo piano col movimento VemPraRua (che utilizzando il grido delle proteste del 2011, lottano per rovesciare il PT) e il gruppo Revoltados On Line (che arrivano a difendere il golpe militare). Il piano: la convocazione di una protesta nazionale il 15 marzo.
E il clima sociale si andava innervosendo con l'austerità di Dilma e il dollaro in salita. I camionisti fermavano il paese via WhatsApp. I professori dello stato del Paranà scendevano in strada contro gli aggiusti fiscali. Certo, il nemico era il loro governatore, Beto Richa, del conservatore PSDB di Aecio Neves. Però in Brasile tutti i sentieri indignati, attraverso i grandi media, portano a Dilma. Tuttavia, fino al giorno 8 passato, quando un cacerolazo (una manifestazione rumorosa con padelle) si è diffuso per il Brasile mentre Dilma pronunciava un discorso pieno di cliché, la convocazione del 15 marzo sembrava irrilevante. Il cacerolazo – cotto tra WhatsApp, la rete e l'aiuto automatico dell'altoparlante dei grandi media – rovesciò la situazione. Lo studio dello stesso governo che rivelava il crollo della popolarità della presidente ad un 7% è stata la goccia che ha traboccato i nervi del PT. Il PSDB ha appoggiato ufficialmente la convocazione del #VemPraRua15Março. Ed è scoppiato.
DIVORZIO CON LA SINISTRA
Parallelamente all'indignazione della destra, la classe media e gli hipster neocon, un altra placca tettonica si muoveva sotto il suolo del PT: la perdita dell'appoggio della sua base, della sinistra e di molti dei giovani e meno giovani che scesero in strada nel giugno 2013. La chiara virata a destra del nuovo gabinetto di Dilma si è unita alle nuove misure di austerità, ai ritardi nei pagamenti nelle università pubbliche, ai tagli dei diritti dei lavoratori e all'aumento delle imposte per la classe media senza toccare la alta.
Il governo Dilma ha optato per continuare con la peggiore delle strategie possibili, che l'ha portata ad un surreale vicolo cieco: scommettere nella convocazione di una marcia di appoggio al Governo il giorno 13 per contrastare il clamore del #VemPraRua15março. La posta, come nelle elezioni del 2014, era forzare la polarizzazione della sinistra contro la destra, tra il supposto Governo popolare e i neoliberali, del popolo contro le élite.
Ma si può chiedere aiuto alla sinistra e ai movimenti sociali dopo aver disegnato il governo più conservatore e neoliberale dell'era PT? Dopo aver autorizzato un rullo repressivo nelle strade e nelle reti che ha portato a cento attivisti in galera? Dopo de aver massacrato le popolazioni indigene dell'Amazzonia con faraoniche opere neosviluppiste?
Pablo Ortellado, professore di politica della Università di San Paolo, riassume così il contraddittorio vicolo cieco del PT: “(il Governo) fa politiche allineate alla destra che non l'appoggia (in verità lavora per la sua caduta) e contrasta qualunque appoggio della sinistra, col cui aiuto è stato rieletto. Così si isola politicamente e va camminando per un abisso”.
Voltarsi a destra per accontentare gli alleati politici e l'élite è un errore del pacchetto Dilma&Lula (ancora attivo all'ombra): per l'estabilishment politico, i media e la massa infuriata il PT sempre sarà “bolivariano”, “comunista” o “stalinista”.
La manifestazione di venerdì scorso, nonostante l'esercito digitale petista dell'hashtag #Dia13DiadeLuta, è stato un fallimento: 41mila persone nella migliore delle ipotesi nell'Avenida Paulista di San Paolo. Molte bandiere rosse, manifestanti in età avanzata, fedeli alleati alla Central Unica de Trabalhadores (il sindacato CUT). E poco più. Se il PT avesse mantenuto l'essenza popolare e di sinistra che ha venduto come brand alle elezioni, la situazione sarebbe ben diversa.
LA MASSA ENTRA IN AZIONE
E la massa ha sostituito la moltitudine plurale e piena di pieghe soggettive che definiscono Michael Hardt e Antonio Negri. O quasi.
Se nel giugno 2013, una moltitudine eterogenea si è mischiata nelle strade del paese con grida plurali in una rivolta molteplice, il 15 marzo ha preso la strada una massa inferocita senza alcuna proposta. Senza proposte né rivendicazioni concrete. Con più odio e anti-petismo che idee costruttive. Sia il giorno 13 con il corteo pro Governo che il giorno 15, la strada è stata presa da una massa più omogenea e manipolabile che la moltitudine di giugno 2013. I grandi media, specialmente la Rete Globo, hanno messo tutto il loro impulso nella convocazione contro il Governo di Dilma. E la Polizia Militare (PM) pure ha fatto la sua parte: non ha usato la sua abituale violenza ed è stata generosa nei conteggi: un milione di manifestanti solo a San Paolo, due milioni i tutto il Brasile. Il Foglio di San Paolo è stato più prudente, parlando di un milione di manifestanti in tutto il Brasile (240.000 a San Paolo).
Quel che è certo è che il #VemPraRua15M ha superato tutte le previsioni. Spiagge vuote e lungomari occupati a Salvador, Recife, Maceio o Rio de Janeiro. La spianata dei ministeri di Brasilia occupata da migliaia di persone, maggiormente bianche, chiedendo l'impeachment della presidente. E c'è stato un lato più oscuro: l'ultradesta uscendo allo scoperto con grida e slogan di un'altra epoca. Due fantocci di Dilma e Lula appesi ad un ponte. Cartelloni difendendo il golpe militare o elogiando il femminicidio. E un cartello immenso nella spiaggia di Copacabana di Rio de Janeiro con una frase della “Marcia delle Famiglie” che anticipò la dittatura: “il Brasile non sarà una nuova Cuba”.
La rete reazionaria che il ricercatore Fabio Malini ha battezzato come il #15M brasiliano è composta da sentimenti anticomunisti, lotta alla corruzione e interventismo militare. Abbondano i principi patriottici, il militarismo e la “negazione del petismo”. Tuttavia non tutto è stato così dicotomico nel 15 marzo brasiliano. C'è stato qualcosa della moltitudine. Qualcosa non così di destra. Qualcosa più apartitico. Si è visto qualche cartello chiedendo “più Borsa Famiglia che borsa imprenditoriale” (incentivi). Hanno contestato il deputato federale Jair Bolsonaro, un icona dell'ultradestra, impedendogli di parlare al microfono, un dettaglio che conferma che la rivolta ha una disaffezione profonda con la classe politica in generale. E la maggioranza della massa infuriata ha dimostrato più indignazione contro il governo che concreti desideri di intervento militare. Di fatto, l'hipsterizzato MBL, usa uno slogan circolare: “senza bolivarismo né militarismo”.
Lo stesso Fabio Malini ha affermato in un'intervista prima della manifestazione che “i giorni13-15 rispecchiano una bipolarità vinta da giugno (del 2013)”. E ha comprovato con alcuni grafici che gli attori delle giornate di giugno 2013, delle rivolte del Movimento Passe Livre, il MPL legittimo, non stavano partecipando ne nelle conversazioni della timida protesta di venerdì 13 ne della massiccia manifestazione del 15 marzo. La maggioranza degli attivisti o attori di giugno usano l'humor per delegittimare entrambi. Alcuni dialogano con l'etichetta #Nem13Nem15. Approfittano per denunciare la repressione poliziesca dell'ultimo anno. E ridono di gusto del cosiddetto “governismo” e degli attivisti e movimenti cooptati dal PT per il vicolo cieco della Ex-Sinistra.
Cosa succederà in Brasile nei prossimi mesi? Col dollaro che sta toccando il tetto storico, gli aggiusti fiscali in marcia, l'operazione Lava Jato della Petrobras e i grandi media conservatori attizzando la massa inferocita, lo scenario per Dilma Yousseff è spaventoso. E il divorzio con gli attori delle giornate di giugno e di buona parte dei movimenti sociali colloca la presidente in una situazione ancora più delicata. A destra c'è l'abisso. Però se si gira a sinistra, come chiede la sempre fedele Revista Forum nel suo editoriale, questo amalgama di hipster neocon e di destra patriottica continueranno a incendiare le strade. E continueranno a sedure le masse. Continueranno nelle strade in qualsiasi modo. E guadagneranno la simpatia di molti giovani che si sono politicizzati per la prima volta pestando il suolo nel giugno del 2013. Il governo ha annunciato un pacchetto anticorruzione per i prossimi giorni. Qualcosa che può essere insufficiente per molti, che sempre considereranno il PT come una guerriglia bolivariana cubanizzata.
Tra la sinistra, gli attivisti e i militanti dei movimenti il clima è di panico. L'impeachment, che sembrava una finzione da settimane, comincia a spaventare. Le grida dell'Avenida Paulista chiedevano che il vicepresidente Michel Temer, del conservatore PMDB, assuma la presidenza. E avendo la presidenza chiudere il ciclo della tradizione al PT (suo tradizionale alleato) e manovrare per ottenere i 3/5 del Congresso per l'impeachment non è cosa così disperata. Se l'operazione Lava Jato rivelerà il finanziamento illegale della campagna del PT, potrebbe accadere la peggiore delle ipotesi per Dilma. Tuttavia, lo scenario più probabile, come sottolinea Antonio Lavareda, professore dell'Università del Pernambuco, è che Dilma dia più spazio al PMDB e e completi zoppicando un mandato sulla difensiva, senza riuscire a imporre quasi niente in agenda.
Da alcuni angoli della società brasiliana sorgono alcune iniziative per rompere la logica binaria che ha trasformato l'allora Tigre Tropicale della Crescita Economica in un paese in clima di guerra. Il filosofo e attivista Rodrigo Nunes suggerisce che la chiave per i movimenti e la cittadinanza sta nel recuperare l'immaginario delle strade di giugno del 2013 della “mobilitazione di affetti e desideri”, non del paradigma individualizzante.
Il Circolo di Cittadinanza, che sta forgiando un partito-movimento progressista ispirato a PODEMOS, ha lanciato un manifesto contro la falsa polarizzazione. Un manifesto a sinistra del PT, dalle reti e dalle strade, proponendo un nuovo cammino: “Dilma, PT, PSDB e tutta la casta non ci rappresentano! Non accetteremo la falsa polarizzazione tra due partiti della stessa casta. Non difenderemo un governo conservatore, corrotto e alla deriva. Nemmeno cadremo nella cantilena di un'opposizione reazionaria che vuole occupare il Palazzo del Planalto per soddisfare gli stessi privilegi di sempre. In questo scenario, non resta altro cammino che indignarsi e lottare contro un potere che ci opprime e sfrutta”.
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"...il governo di Dilma Rousseff ha adottato una politica molto reazionaria. Quello che loro chiamano "aggiustamento fiscale" altro non è che un piano di tagli alla spesa sociale, alle pensioni, ai salari, ai programmi sociali e di sostegno alla povertà, ecc. Ossia, le conquiste che le classi popolari hanno ottenuto finora si stanno erodendo ed il governo ha incaricato Joaquim Levy, ministro dell’Economia, un neoliberista fanatico, di portare avanti i tagli alla spesa sociale. Così, mentre colpisce il popolo, la presidente Rousseff chiede allo stesso di aver pazienza.(...)
Il PT ha causato un tremendo danno, non solo ai propri elettori, ma, soprattutto, all'immagine di tutta la sinistra e del progressismo in America Latina. Lascia disorientato il suo elettorato e fa il gioco dell'imperialismo..."