17.07.14
Prima e storica condanna di un poliziotto militare per i "crimini di maggio" del 2006 a San Paolo
Con una storica decisione, il caporale della PM Alexandre Pereira da Silva è stato condannato a 36 anni di reclusione per l'assassinio di tre ragazzi, Murilo Ferreira de Moraes, Felipe Vashti Santos de Oliveira e Marcelo Heyd Meres in un autolavaggio del quartiere Jardim Brasil, zona nord di São Paulo nel maggio 2006.
di Laura Capriglione, dal sito PONTE / traduzione Carlinho Utopia
Con una storica decisione, il caporale della PM Alexandre Pereira da Silva è stato condannato per l'assassinio di tre ragazzi durante i cosiddetti "crimini di maggio". Il 10 luglio scorso, il caporale della Polizia Militare Alexandre André Pereira da Silva è stato condannato a 36 anni di reclusione per l'omicidio di Murilo Ferreira de Moraes, Felipe Vashti Santos de Oliveira e Marcelo Heyd Meres in un autolavaggio del quartiere Jardim Brasil, zona nord di São Paulo nel maggio 2006. Si tratta di una decisione storica.
Per la prima volta, un membro della Polizia Militare è stato messo sotto processo, accusato di aver partecipato allo sterminio di civili durante i cosiddetti crimini di maggio, che si verificarono tra il 12 e il 20 maggio 2006. Durante questo periodo, almeno 493 persone sono state uccise dalla Polizia Militare come rappresaglia per gli attacchi da parte del PCC - Primeiro Comando da Capital (potente organizzazione criminale paulista) che aveva ucciso 43 agenti pubblici.
Secondo uno studio condotto dalla ONG Giustizia Globale, che ha incrociato informazioni di organi di polizia, Ministero Pubblico, procura, pubblica difesa e testimoni, ci sono "prove del coinvolgimento di poliziotti in divisa o mascherati in 122 esecuzioni avvenute in presunti confronti o in azioni di gruppi di sterminio (ndt. squadroni della morte)". Per i tre omicidi dell'autolavaggio, commessi senza che le vittime abbiano avuto la minima possibilità di difesa, il caporale André (questo è il suo nome all'interno della corporazione) è stato condannato a 36 anni di reclusione, oltre alla perdita del suo incarico. In attesa di ricorrere in appello, il condannato ha potuto rimanere in libertà.
La madre del giovane Murilo, che avrebbe compiuto 28 anni questo Venerdì (11/07), Angela Maria Moraes Ferreira, ha commemorato, esausta, la decisione: "Sono stati otto anni di lotte, ma sono riuscita a fare giustizia".
Il caso è giunto a questa conclusione solo grazie alla testimonianza emozionata che un ragazzo ha prestato in tribunale. Soprannominato "Assurbanipal" al fine di proteggere la sua identità e prevenire ritorsioni, il giovane ha riferito delle scene di terrore che avvennero all'autolavaggio che si trova nella Avenida Ramiz Galvão. Aveva raccontato la stessa storia altre cinque volte, in diverse occasioni, al DHPP (Dipartimento di Omicidi e Protezione della Persona), della Polizia Civile, che ha indagato sul massacro.
Secondo lui, la notte del 16 luglio, tra sei ed otto motociclette (tutte con due occupanti) passarono davanti all' autolavaggio annunciando l'attacco. 30 secondi dopo, tornarono indietro. Fu terribile. I tre che furono uccisi tentarono di nascondersi all'interno della struttura, ma furono raggiunti dai colpi sparati dagli assassini.
Il padre di uno dei ragazzi assassinati, residente nelle vicinanze, ha trovato il cadavere del figlio che era appena morto, con la testa aperta da un proiettile, gettato in una pozza di sangue all'ingresso dell'autolavaggio. "La mia vita è finita lì." Egli seguì la rimozione del corpo del figlio ed il trasporto all'istituto di medicina legale. Un giornalista lo vide lì, in quella terribile notte, e racconta: "Nuri Meriz, venditore ambulante in un mercato, camminava su e giù per l'Istituto Medico-Legale, parlava poco. Le parole erano inghiottite dalle lacrime. Nuri si era limitato a mostrare una foto di suo figlio sul telefono, Marcelo Heyd Meri, anche lui venditore ambulante". Marcelo è stato assassinato a 21 anni.
Tre ragazzi riuscirono a sopravvivere al massacro riuscendo a nascondersi. Uno in un bagno dell'autolavaggio; un'altro all'interno di una vettura. "Assurbanipal" salendo sul tetto. Fu da questa posizione che "Assurbanipal" riuscì a vedere uno dei killer quando rimase a volto scoperto. Si trattava del soldato André (successivamente promosso a caporale). Fu possibile identificarlo perché lui si alzò il casco per cercare di vedere meglio dove si trovassero quelli che si erano nascosti.
Oggi, a poco più di 40 anni di età, il caporale André è un uomo basso e tarchiato (1,65 di altezza) . Ha il volto duro, accigliato. Parla con una voce gutturale, appena udibile, dice che è la conseguenza di uno sparo che ha ricevuto in servizio nel 2012. A proposito degli omicidi, è laconico: "Non ho fatto questo. Non è nel mio stile fare questo tipo di cose. Non l'ho mai fatto. Mai avuto bisogno di farlo. Sono nella polizia militare da 25 anni per proteggere, non per togliere la vita." Ma non è riuscito a convincere la giuria, quattro uomini e tre donne.
La testimonianza di "Assurbanipal" è stata l'argomento chiave del pubblico ministero Claudia Ferreira Mac Dowell. Lavoratore e con la fedina penale pulita, "Assurbanipal", poco prima della strage, aveva appena finito la scuola superiore e sognava di fare il concorso per diventare un poliziotto militare .
«Perché, se non per sete di giustizia, questa persona avrebbe messo la sua vita a rischio? Ha dovuto cambiare l'indirizzo, lasciarsi tutta una vita alle spalle. Lui è un eroe», ha detto il pubblico ministero. "Le altre due persone che avrebbero potuto contribuire a chiarire questi crimini, perché presenti sul luogo, hanno preferito dire di non aver visto niente, di non sapere niente. Perché questa, naturalmente, è la via d'uscita più facile."
Il pubblico ministero ha mostrato ai giurati la conversazione tenuta (attraverso la rete sociale Orkut) tra i due poliziotti, due giorni dopo il massacro. In essa, un poliziotto si lamenta per un altro: "S ..., ti ho chiamato per "spaccare" là al JB. Abbiamo il via libera! Andiamo ad uccidere il PCC. Le vera polizia è tornata."
Claudia Ferreira Mac Dowell |
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Sia il nome del poliziotto militare che ha inviato il messaggio quanto il destinatario sono noti e sono sotto inchiesta. JB è l'abbreviazione di Jardim Brasil, dove si trova l'autolavaggio. Secondo il pubblico ministero, il messaggio è una confessione esplicita degli agenti di polizia che conferma che erano davvero usciti in quel periodo sanguinoso per la loro "missione". "Uccidevano per vendicare la morte dei colleghi".
L'avvocato difensore del poliziotto Eugenio Carlo Balliano Malavasi (lo stesso che sta difendendo il figlio di Pelé, Edinho, accusato di riciclaggio di denaro proveniente da narcotraffico) è partito all'attacco, accusando "Assurbanipal" di mentire. A sostegno di ciò, ha mostrato i documenti con la scaletta di servizio delle auto della polizia, per dimostrare che il soldato André non sarebbe mai stato sulla scena del crimine e nemmeno nelle vicinanze. Per rafforzare la sua tesi, ha chiamato a testimoniare la caporale Patricia Aparecida Ferreira dos Santos Souza, che ha confermato l'alibi, dicendo che era stata con André tutta quella notte. Ma ben lontano dalla scena del crimine.
E' stata questa la versione dei fatti che ha predominato nella CD (commissione di disciplina) della Polizia Militare nelle indagini sulle accuse contro il soldato André. La CD ha deciso all'unanimità che non c'era nulla di irregolare nella condotta del poliziotto.
Il pubblico ministero ha smontato la tesi della difesa. Ha mostrato altri documenti ufficiali, tra i quali un rapporto di polizia redatto nella 39° Delegazione di polizia, che riporta l'auto dell'allora soldato Patricia come una tra quelle impiegate per i "soccorsi" alle vittime (arrivò subito sulla scena del delitto). La stessa versione, firmata da un soldato della stessa Polizia Militare, appare nel verbale redatto in quell'occasione.
"Chi è che sta mentendo qui?" Ha chiesto il pubblico ministero, cominciando platealmente a strappare le fotocopie dei documenti che contraddicevano la tesi della difesa. "Vogliono farci ignorare questo... E questo... e questo..." . Due madri delle vittime della violenza della polizia sono scoppiate in lacrime e singhiozzi. Hanno dovuto lasciare l'aula, per non disturbare il processo.
L'avvocato difensore ha gridato rivolto alla giuria: " Signori giurati! Altolà signori della giuria! Altolà signori della giuria!" e ha riportato l'analisi fatta dai tre membri militari del Consiglio di Disciplina circa la testimonianza di "Assurbanipal": "Secondo la nostra esperienza, sappiamo che i testimoni di massacri hanno la vista annebbiata. È impossibile ricordare i dettagli. I testimoni di atti così violenti hanno capacità di percezione diminuite e, talvolta, fuori dalla realtà."
Ma anche queste tesi non hanno convinto nessuno. L'assistente dell'accusa, difensore pubblico Maíra Coraci Diniz, è intervenuta per dimostrare come la testimonianza di "Assurbanipal" fosse singolare e audace. Ha citato tre casi di altri testimoni di massacri commessi durante lo stesso periodo che hanno finito per essere assassinati. "Assurbanipal sa che sta rischiando la pelle affrontando questo genere di assassino".
Infine, il pubblico ministero ha citato le quattro sentenze sui poliziotti coinvolti nel Massacro del carcere Carandiru (1992), che ha provocò la morte di 111 detenuti. "Ben quattro sentenze hanno stabilito la condanna di 73 poliziotti. E sapete qual è stato il risultato delle indagini effettuate all'interno della corporazione militare? Si è deciso per l'archiviazione, sostenendo che si veniva meno al rispetto dei diritti fondamentali dei poliziotti militari!"
Per coincidenza, la giuria che ha condannato il caporale è stata presieduta da Rodrigo Tellini de Aguirre Camargo, lo stesso giudice che ha presieduto tre dei quattro processi per il massacro di Carandiru.
"Quando un poliziotto militare si presenta con gli stivali sporchi o l'uniforme in disordine, va incontro a punizioni severe. Ma se il reato è grave, allora è tutta un'altra storia. Un caso di violenza sessuale commessa da poliziotti contro due donne, all'interno di una macchina, per esempio, è stato punito con 15 giorni di detenzione. E basta!", ha citato il pubblico ministero. In un ultimo appello, l'avvocato difensore ha ribadito l'incoerenza tra alcuni documenti e la testimonianza di "Assurbanipal" e ha chiesto: "Non lasciatevi influenzare dall'emozione dei parenti. Non fate che io non creda più nell'istituzione stessa di questo Tribunale".
Con la condanna, il gruppo di madri e parenti delle vittime della violenza della polizia del 2006, conosciuto come "Mães de Maio" (Madri di Maggio) ha pianto e si è abbracciato, appena il giudice ha dichiarato chiusi i lavori.
"Questo è stato solo l'inizio. Andremo alla ricerca di altri testimoni. Faremo riaprire i casi archiviati. Giustizia può essere fatta. E lo sarà", ha detto Debora Maria da Silva, coordinatrice del gruppo e madre di Edson Rogério Silva dos Santos, morto all'età di 29 anni in quel maggio che non ha fine.
Debora Maria da Silvacoordinatrice delle "Mães de Maio" |
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