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15.02.16

Epidemia di microcefalia in Brasile

I CASI DI MICROCEFALIA RIACCENDONO LA DISCUSSIONE SULL’ABORTO LEGALE IN BRASILE

Contraccezione e ricorso all'aborto sono tra le azioni proposte per contrastare i danni del virus zika

di A.O. pubblicato su El Pais il 31.01.16

traduzione di Clelia Pinto per il Resto del Carlinho Utopia

Da una parte c’è il virus zika, che è stato indicato come causa dell’aumento dei casi di microcefalia in Brasile. Dall’altro uno degli spettri politici più conservatori degli ultimi anni, espresso, per esempio, nel progetto di legge 5069/13, di cui è autore il presidente della Camera dei Deputati Eduardo Cunha (PMDB) che ha come obiettivo ostacolare l’aborto anche in caso di stupro. 

 

Nel mezzo, c’è una situazione di emergenza sanitaria in cui è in gioco la salute fisica e mentale delle donne in stato di gravidanza. In questo scenario il momento politico poco favorevole al dibattito non può impedire che vengano compiute azioni per supportare, curare e offrire la possibilità di scelta alle donne. È quel che crede Débora Diniz, antropologa dell’istituto di bioetica Anis, autrice di una proposta che sarà consegnata al Supremo Tribunale Federale e che prevede, tra le altre misure, la possibilità di abortire in caso di feti con microcefalia. “Non è possibile rassegnarsi a un contesto retrogrado senza proporre nulla. Siamo di fronte a un’epidemia e dobbiamo dare risposte alle persone coinvolte”, spiega la Diniz.

In fase di elaborazione, la proposta dell’istituto vuole, da un lato, garantire che la politica pubblica di pianificazione familiare offra accesso a metodi contraccettivi, renda possibile un'ecografia specifica per la microcefalia e dia la possibilità di interrompere la gravidanza, nel caso in cui sia questa la volontà della madre. Dall’altro, saranno proposte azioni sociali di supporto della maternità e dell’infanzia per le donne che abbiano un figlio affetto da microcefalia.

 

Domenica scorsa, il giornale Folha de S.Paulo ha dato notizia che donne incinte con diagnosi di zika stanno già ricorrendo ad aborti clandestini ancor prima di sapere se il feto è affetto o meno da microcefalia. Secondo il reportage l’intervento costa tra i 5.000  e i 15.000 reais, a seconda del tempo di gestazione.

 

"Va riconosciuta la negligenza dello stato che non è riuscito a sradicare lo Aedes aegypti e, partendo da questo, creare meccanismi di sostegno e cura per le donne e i bambini che verranno. L’aborto, come prevenzione del danno, è solo un tassello in questa discussione che è molto più ampia”, spiega la Diniz.  Dodici anni fa l’antropologa è stata una selle principali voci del processo grazie al quale il Supremo Tribubale Federale rese incostituzionale la proibizione dell’aborto in caso di feti anencefali. Oggi, l’aborto è legale solo in questa situazione o nei casi di stupro e rischio di vita per la madre, che già erano previsti per legge fin dal 1940.

 

Tenendo questo ben presente, la sociologa Jaqueline Pitanguy, anche lei partecipe del lavoro che portò alla decisione vittoriosa della suprema corte, crede che i casi di microcefalia rendano ancor più necessaria la discussione sulla legalità dell'aborto. “Abbiamo una delle legislazioni più restrittive al mondo e ci sono progetti per renderla ancora più proibitiva. La microcefalia, che ora necessita di una risposta immediata, rivela quanto siamo in ritardo rispetto alla questione”, commenta. Secondo lei, l’assurdo della situazione sarebbe rivelato dal fatto che già si è parlato di raccomandare alle donne di non rimanere incinte o di contrarre la malattia intenzionalmente per esserne immunizzate, ma la possibilità dell’aborto rimane un tema intoccabile.

La Pintanguy ricorda anche che una buona percentuale dei posti letto negli ospedali pubblici sono già occupati da donne che hanno abortito. Un indagine condotta nel 2014 dal professor Mario Giani Monteiro dell’Università di Rio, indica che circa 200.000 donne che hanno abortito nel 2013 si sono rivolte a un ospedale del sistema sanitario nazionale per un raschiamento, sia perché avevano avuto un aborto spontaneo, sia nei casi di aborti clandestini mal riusciti. È un numero significativo, ancor più se comparato con i ricoveri per malattie come il cancro (243.709) o quelle del sistema respiratorio (236.940), per esempio.

 

Io sostengo completamente una visione ampia dell’aborto come diritto individuale della donna, ma in questo momento, considerando l’emergenza epidemia, la mia preoccupazione maggiore è di salute pubblica, il risolvere una situazione d’emergenza”, spiega la Diniz.

 

Considerando che la legislazione brasiliana sull’aborto è cambiata molto poco da quella degli anni '40, la questione della diagnosi medica di microencefalia può essere uno dei punti centrali per qualsiasi decisione futura sul tema, sostiene Sérgio Floriano de Toledo, direttore regionale dell’Associazione di Ostetricia e Ginecologia dello Stato di S.Paulo (Sogesp), a Santos.

 

È solo a partire dalla 16° settimana, quarto mese di gravidanza, che è possibile fare un prognosi sulla dimensione della circonferenza della testa del feto, e anche così, è molto difficile dire con certezza quale sarà il grado di gravità della microcefalia, dice Toledo. L’aborto fino alla 12° settimana di gestazione è l’ideale, il che non esclude che l’intervento possa essere fatto in seguito, nel caso in cui ci sia rischio per la donna o in caso di stupro.

 

Secondo la Diniz, con una diagnosi effettuata entro la 15°, 16° settimana, ancor non si tratta di aborto tardivo. “Il tempo di intervento non è una questione di pertinenza del Supremo Tribunale. Se il codice pensale dice che l’aborto in caso di stupro, per esempio, è autorizzato, allora è la politica pubblica che deve decidere sul tempo”, argomenta.

 

Per la Pitanguy, se la legislazione brasiliana fosse più avanzata, come altrove, di questo nemmeno si discuterebbe. “Prima della 12° settimana la donna, preoccupata di avere contratto il virus zika, potrebbe scegliere senza complicazioni cosa fare”.

Le donne brasiliane dicono basta

La paura del virus zika minaccia di far crescere il ricorso delle donne all'aborto clandestino in tutta l'America Latina

di María R. Sahuquillo, pubblicato su El Pais il 04.02.16

traduzione di Clelia Pinto

 

L’allarme per il virus zika nel continente americano e il suo legame con i casi di microcefalia nei neonati ha portato le autorità di paesi come Ecuador, Colombia e El Salvador a consigliare alle donne di evitare la gravidanza. Una raccomandazione difficile da seguire in una regione dove i programmi di educazione sessuale sono quasi inesistenti.

 

Secondo l’Onu, circa 24 milioni di donne della regione non hanno accesso a metodi contraccettivi. Il virus si va diffondendo in una regione del mondo che è tra quelle con maggiori restrizioni all’interruzione di gravidanza: solo sei paesi permettono l’aborto per malformazioni fetali; in altri sette non è autorizzato neppure per salvare la vita della donna.

 

Specialisti avvertono che i dubbi sul rischio del virus, sommati alla mancanza di opzioni che consentano alle donne di scegliere o meno di diventare madri, potrebbero causare un aumento esponenziale degli aborti clandestini anche in Brasile.

 

In America Latina e Caribe, circa il 56% dele gravidanze non sono pianificate, come mostra la ricerca dell’Istituto Guttmacher - specializzato in salute sessuale - basata su dati del Fondo di Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA). L’accesso a preservativi, pillola e spirale é complicato per il 33% delle donne in età fertile e con compagno fisso a Haiti; 17% in Guatemala; 15% in Argentina; 12 % a San Salvador, secondo dati della UNFPA del 2015. Non sono solo barriere economiche ma anche socioculturali, in una regione in cui, oltre a questo, i tassi di violenza sessuale sono molto alti.

 

Le donne più povere e delle zone rurali uniscono alle maggior difficoltà di accesso ai contraccettivi la minore quantità di informazioni sulla malattia, dice Giselle Carino, direttrice della Federazione Internazionale per la Pianificazione Familiare (IPFF).  E sono le  più vulnerabili allo zika, un virus trasmesso dalla zanzara Aedes aegypti - lo stesso della dengue e del chikungunya - che prolifera in aree con minore livello di infrastrutture igienico sanitarie e maggiore concentrazione di acque stagnanti.

 

Attualmente, Ecuador, Porto Rico, Colombia, Repubblica Domenicana, El Salvador, Honduras, Jamaica e Panama hanno chiesto alle donne di evitare la gravidanza, in alcuni casi anche nell’arco di un anno e mezzo. Un consiglio non solo insufficiente ma anche poco realista. “Non si fa altro che scaricare tutta la responsabilità sulle donne”, critica la Carino. Le autorità sanitarie ancora non hanno lanciato programmi specifici per prevenire la gravidanza, nonostante l’allerta dell’Organizzazione Panamericana di Salute (OPAS).

 

"La crisi del virus zika ha riportato in evidenza la vulnerabilità dei diritti riproduttivi in America. Non manca solo l’accesso alla contraccezione e all’aborto, quanto l’informazione, l’attenzione e i controlli prenatali”, dice Monica Roa, vice presidente del Women’s Link Worldwide. E per determinare che il feto soffre di micorcefalia - una malattia neurologica molto grave per cui cranio e cervello sono di dimensioni inferiori alla norma - è necessaria almeno un’ecografia. “Si tratta, oltre a questo, di una diagnosi non facile e che è possibile fare a partire dalla 18° settimana di gestazione. Alcune volte più tardi, perché è necessario vedere come procede lo sviluppo del feto”, spiega la specialista in diagnosi prenatale Pilar Martinez Ten.

 

Di fronte al rischio del virus e del suo legame con la microcefalia - in Brasile, il paese più colpito, si sono registrati 4.783 casi sospetti da fine ottobre - organizzazioni per i diritti delle donne esigono che i governi rivedano le loro leggi sull’aborto. “Una volta fatta la diagnosi e con tutta l’informazione a disposizione, sono le donne che devono decidere se portare avanti la gravidanza”, argomenta Roa, sottolineando che l'accesso all'aborto non è facile nemmeno in quei paesi in cui l’aborto, in alcune circostanze, è permesso.

 

Le leggi di Messico, Belize e Panama permettono l’interruzione della gravidanza per malformazioni fetali; in Brasile solamente se il feto soffre di anencefalia o comporta un rischio di vita per la madre, mentre in Colombia solo se la malformazione è mortale. In altri - come l’Argentina - questa scelta è possibile solo se la salute fisica o mentale della donna è a rischio. Nella Repubblica Domenicana, Chile, El Salvador, Haiti, Honduras, Nicaragua e Suriname è totalmente proibito. In tutti questi paesi ci sono stati casi di zika.

 

Gli specialisti e le organizzazioni che lavorano per i diritti delle donne temono che la paura dello zika e i dubbi sui suoi effetti sullo sviluppo del feto, che ancora devono essere chiariti dagli specialisti, portino a un aumento degli aborti clandestini.  “L’esperienza ci dice che, nonostante le restrizioni legali, quando le donne hanno una gravidanza non desiderata, in particolar modo se giovani e senza risorse, finiscono con il cercare forme non sicure di aborto, il che mette in grave rischio la loro salute e la loro stessa vita”, dice Gillian Kane, assessora dell’Ipas, un’organizzazione che lavoro per prevenire l’aborto non sicuro.

 

In America Latina e Caribe ci sono circa quattro milioni di aborti clandestini all’anno secondo i dati dell’OMS, un problema di salute pubblica che provoca la morte di migliaia di donne.

07.11.15

Le donne brasiliane dicono basta!

Dopo l'approvazione del progetto legge voluto dal presidente della Camera Eduardo Cunha, migliaia in piazza per il diritto all'aborto e contro la deriva oscurantista del paese. Un movimento inedito in Brasile, capace di aggregare le lotte di vari segmenti della società e che sembra destinato a crescere ancora. 

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