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Writer's pictureEliane Brum

Ci sarà il golpe?

Updated: Sep 7, 2021

Oggi le dittature non iniziano con i carri armati nelle strade, ma con lo stupro del linguaggio

di Eliane Brum*, El País 29.07.2021 (traduzione di Carlinho Utopia)



"Cosa pensi? Ci sarà il golpe o no?”. Questa è la domanda ricorrente, dal sud al nord del Brasile. Diversi gruppi hanno organizzato incontri privati su Internet per discutere dell'argomento. Non si parla d'altro nemmeno negli incontri virtuali con la famiglia, la versione pandemica del famoso pranzo della domenica, diventato, fin dalle elezioni del 2014, più pericoloso di un'intera bottiglia di peperoncino piccante. Io stessa sento fare questa domanda più volte al giorno. Ci sono persone che rispondono ad inviti internazionali con un testo standard: “Attualmente la media dei decessi per covid-19 in Brasile è di oltre 1000 al giorno, la variante Delta si sta diffondendo in tutto il Paese, le vaccinazioni procedono con molta lentezza e Jair Bolsonaro potrebbe fare un golpe in qualsiasi momento. Pertanto, risulta difficile confermare la mia presenza con così largo anticipo. Sarà più prudente darne conferma il più vicino possibile alla data...”. Quando diventa una cosa comune parlare della possibilità di un colpo di stato e addirittura organizzare l’agenda dei propri impegni già includendo questa "variabile", è perché il golpe sta già accadendo o, in larga misura, è già accaduto. Il golpe esiste.


Sappiamo già come muoiono le democrazie, è stato un argomento ampiamente sminuzzato negli ultimi anni. Ma dobbiamo capire meglio come nascono i colpi di stato. La morte di una e la nascita dell'altro sono parte della stessa gestazione. I colpi di stato non avvengono più come nel ventesimo secolo, o almeno non avvengono solo così. Ho lavorato al concetto di "crisi della parola" per analizzare le due prime decadi del 21° secolo in Brasile. Mi pare chiaro che lo stupro del linguaggio è parte fondamentale del metodo. Non solo un capitolo del manuale, ma una strategia che lo attraversa per intero.


Scrivo da più di un anno che il golpe di Bolsonaro è in corso. Il golpe di fondo è iniziato prima che Bolsonaro prendesse il potere in Brasile e si realizza e approfondisce in ogni giorno di governo. Se il caso brasiliano è il più esplicito, l'attuale formulazione dei colpi di Stato si può ritrovare in diverse parti del mondo, dagli Stati Uniti di Donald Trump, all'Ungheria di Viktor Orbán. È importante rendercene conto, perché se non lo faremo, non saremo in grado di fermarli.


Nel caso degli Stati Uniti è vero che, all'ultimo momento, istituzioni molto più solide che in qualsiasi altro paese delle Americhe, si sono dimostrate capaci di impedire il tentativo di golpe di Trump. Ma è anche vero che, pur con Joe Biden al potere, il trumpismo ha raggiunto l'obiettivo di produrre un impatto profondo nel tessuto del Paese, un impatto che rimane attivo. È riuscito soprattutto a produrre un'immagine, corrompendo per sempre il linguaggio della democrazia americana, nel realizzare l'impensabile con la scena dell'invasione del Campidoglio. La porta ora è aperta.


In Brasile, il logoramento del linguaggio è molto antecedente alle elezioni del 2018, quelle che hanno formalmente portato al potere l'estrema destra. È possibile individuare almeno tre momenti decisivi per l'impeachment di Dilma Rousseff, considerato da gran parte della sinistra come un golpe “bianco” o “non classico”. Quando la presidente viene chiamata “vacca” e “puttana” dagli spalti degli stadi di calcio, durante i Mondiali del 2014; quando, nel 2015, diventa popolare un adesivo che la ritrae a gambe aperte sopra ai serbatoi di carburante delle auto, in modo che la pompa di benzina la penetri, simulando uno stupro; e, infine, nel 2016, durante la sessione parlamentare che approva l'apertura della procedura di impeachment, nella quale l'allora deputato Jair Bolsonaro, dedica il suo voto al torturatore Carlos Alberto Brilhante Ustra, "il terrore di Dilma Rousseff".


Evocando la tortura della presidente durante la dittatura civile-militare (1964-1985), Bolsonaro la tortura ancora una volta, commettendo il reato di apologia della tortura (art.187 c.p.) e mette in connessione esplicitamente i due momenti storici, quello della dittatura e quello dell'impeachment, esponendo la rottura democratica che li unisce. “Puttana” e “vacca” in bocca a una massa che schiuma odio (e anche di alcune giornaliste), violentata sul retro di automobili della classe media, torturata ancora una volta dall'elogio di Bolsonaro alla sua tortura in pieno parlamento. Dopo tutto questo, quanto sarebbe stato difficile spodestare la Rousseff? Se tutto questo era già stato accettato come “normale”, cosa mai avrebbe potuto ostacolare il suo impeachment?


È questo ciò che chiamo stupro, corrosione o logoramento del linguaggio. La preparazione del golpe è prima di tutto un investimento nelle soggettività. In virtù della capacità dei discorsi di diventare virali sui social network, nonché della velocità nella produzione e riproduzione di immagini su Internet, la società si dispone ad "accettare" l'inaccettabile. In seguito inizia ad assimilarlo e infine a normalizzarlo e persino a riprodurlo. Quello che fino ad allora era considerato regola basilare di civiltà, fondamentale per consentire la convivenza, viene convertito in “politicamente corretto” – e il politicamente corretto maliziosamente trattato come “censura” o “riduzione della libertà”. Quando il golpe si realizza formalmente, l'inaccettabile è già stato accettato e interiorizzato.


Lo stesso fenomeno ha permesso a Bolsonaro di portare avanti il suo piano di disseminazione del coronavirus, diffondendo bugie per attaccare prima l'uso delle mascherine e il distanziamento interpersonale, poi i vaccini, che si è tradotto (fino ad oggi) in oltre 550.000 morti. Dichiarando pubblicamente l'inconcepibile, e facendolo nel ricoprire il ruolo pubblico più importante, Bolsonaro ha fatto diventare una cosa normale la scomparsa quotidiana di migliaia di persone dalla vita familiare e del paese. La media attuale di 1.000 morti al giorno, dopo averne già superati più di 4.000, è oggi motivo di celebrazione. Attraverso lo stesso logoramento del linguaggio, Bolsonaro ha reso possibile il ritorno dei militari al potere in un Paese ancora traumatizzato dai torturatori nelle strade, ed ha favorito la riorganizzazione della destra che ha sostenuto in passato la dittatura militare. È rompendo prima ogni limite nel discorso che apre lo spazio e prepara il terreno per le vie di fatto.


Ed è sempre attraverso la corrosione del linguaggio che, perfezionando il copione di Trump, Bolsonaro si prepara al 2022, attaccando il sistema elettorale per contestare le elezioni dalle quali potrebbe uscire sconfitto. Quando queste arriveranno, la ripetizione del discorso sulla frode avrà corrotto la realtà. In questa operazione sulla soggettività collettiva, la frode avviene prima, facendo in modo che ciò che effettivamente accadrà nelle elezioni, il voto, non abbia importanza. È così che più di 200 milioni di brasiliani vengono derubati del diritto costituzionale di eleggere il presidente del paese senza nemmeno un carro armato per strada. La narrazione della frode si insinua e si svolge nelle menti prima e completamente scollata da qualunque fatto. Ciò che conta è credere nella frode. Che essa sia indimostrabile, perché non è avvenuta, non fa alcuna differenza. “Credere" è diventato un verbo molto più importante di “provare” – e questa distorsione è presentata come una virtù. Il ruolo principale di personaggi come Bolsonaro e altri, e prima di loro Trump, è di pronunciare l'impronunciabile, aprendo un percorso soggettivo verso la concretizzazione dell'assalto al sistema democratico.


La corrosione del linguaggio culmina nella corrosione della verità stessa. Questo è l'attacco finale al “comune”. Abbiamo già visto altri beni comuni essenziali per la vita nostra e di altre specie – come ad esempio l'aria pura e l'acqua potabile – essere privatizzati, mercificati e riconfezionati per la minoranza che se li può permettere. La stabilità climatica, altro bene comune, è stata distrutta. I nuovi vecchi golpisti hanno fatto - e continuano a fare - lo stesso con il concetto condiviso di verità. Così come succede con i teorici della cospirazione negli Stati Uniti e nelle loro versioni brasiliane, l'autoverità - o il potere auto-concesso di scegliere la verità che più conviene all'individuo o al gruppo - diventa più "reale" dei fatti. In un certo senso, è un ritorno a una sorta di teocrazia. In questo caso, la “verità” è corrotta e controllata dai sacerdoti di questo nuovo tipo di setta.


Ovviamente la verità si afferma e finisce per imporsi sul piano della realtà, come ha appena dimostrato l'emergenza climatica, mettendo sott'acqua paesi come la Germania e facendo del Canada un luogo più caldo del deserto del Sahara. Ma, intanto, ciarlatani come Bolsonaro e altri provocano una distruzione accelerata del bene comune che, in gran parte, è irreversibile, compromettendo non solo il futuro delle nuove generazioni, ma anche il presente.


Bolsonaro è sì protagonista, ma è anche strumento. Noto per essere una sorta di mitragliatrice a ripetizione di violente stupidaggini e di violenze verbali durante i suoi sette mandati in parlamento, il suo "dono" è stato strumentalizzato. La distruzione del tessuto sociale attraverso un'operazione sul linguaggio scommette sulle cosiddette “guerre culturali”. L'attacco ha inizio con la disumanizzazione dei neri, delle donne, degli LGBTQIA+, ed è nel campo dei diritti di queste componenti della società che la violenza viene formulata come se fosse il suo contrario. Quando Bolsonaro afferma di preferire un figlio morto in un incidente stradale a un figlio gay, ad esempio, rende abominevole l'omosessualità, coprendo l'abominio della sua affermazione. Ciò che è inaccettabile è l'essere gay e non sostenere la morte dei gay. Ciò che è inaccettabile è l'aborto di un embrione, non la morte di una donna con una storia e degli affetti, per complicazioni dovute a procedimenti clandestini e non sicuri. E così via. Ad ogni dichiarazione di estrema violenza, Bolsonaro è andato via via distruggendo il concetto di inviolabilità della vita e normalizzando la distruzione dei corpi. La funzione principale di personaggi come Bolsonaro è quella di rendere tutto possibile, prima nel linguaggio, poi nei fatti.


In questo momento Bolsonaro ha già compiuto la sua missione più grande, cosa che potrebbe eventualmente renderlo eliminabile. Sta chiaramente diventando molto scomodo per gruppi che ancora una volta si sono riorganizzati e che, attraverso di lui, hanno ottenuto progressi fino a quel momento inimmaginabili, come gli stessi militari, i rappresentanti e i lobbisti dell'agribusiness, gli evangelici di mercato e il campo delle destre. Così come Fabrício Queiroz(*) è diventato per la banda Bolsonaro & figli un fastidio di cui potersi sbarazzare, egli stesso sta diventando pericoloso per i tessitori della trama più ampia, che lo riconoscono come pedina importante del gioco, ma mai come il proprietario della scacchiera. Molto dipenderà dalla capacità di adattamento di Bolsonaro, capacità che in lui sembra inesistente. Sospetto che sia questa parte del suo stesso fenomeno che Bolsonaro non capisce. Strutturando il governo centrale come fosse una milizia, ha creduto di detenerne il comando assoluto.

(*) Fabrício Queiroz, ex autista di Flávio Bolsonaro (nonché amico di tutta la famiglia presidenziale), al centro di una vicenda di ingenti transazioni sospette sul suo conto a favore della moglie del presidente e del figlio Flavio. Una storia legata alla distrazione di fondi pubblici, pratica nota come “rachadinha” molto diffusa nel mondo parlamentare: ci si appropria di metà o più dello stipendio dei propri collaboratori facendolo figurare come intero. (ndt.)


Le democrazie muoiono per molte ragioni, la più importante delle quali, secondo me, sta nel loro essere selettive, in gradi diversi: funzionano solo per una certa parte della società, escludendone altre. Le democrazie allora morirebbero per la corrosione provocata dalla loro stessa assenza. Oppure morirebbero per la troppa arbitrarietà con la quale sono capaci di convivere. In Brasile, il livello di eccezione che la minoranza dominante della società è capace di tollerare è enorme. Fino a che le arbitrarietà sono contro i neri e contro gli indigeni, contro le donne e contro le persone LGBTQIA+, tutto è “nella normalità”. La possibilità che le forze di sicurezza dello Stato sfondano porte, irrompano nelle case e giustizino persone sospette e non sospette nelle periferie e nelle favelas urbane durante tutto il periodo democratico (ndt. dal 1985 ad oggi) è senza dubbio l'esempio più evidente del caso brasiliano.


Le dittature nascono in tempi e spazi diversi. Così come le parti della società beneficiate dalla democrazia sono state convinte per decenni di vivere in democrazia, pur sapendo che gran parte della popolazione era soggetta a una routine quotidiana di arbitrarietà, queste stesse parti oggi hanno difficoltà a vedere che la dittatura si è già consolidata in varie parti del Brasile, laddove le persone sono costrette ad abbandonare le proprie case per non essere uccise e le forze di sicurezza e la magistratura sono al servizio dei violentatori. Oggi, nelle zone “nobili” delle capitali e delle città, gli attacchi autoritari si servono, per realizzarsi, della magistratura e della Polizia Federale. È il caso delle recenti offensive contro gli editorialisti della stampa tradizionale, la più recente delle quali contro Conrado Hübner Mendes, editorialista del quotidiano Folha de S.Paulo e professore presso la prestigiosa Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di São Paulo. Ci sono altre parti del Brasile dove gli attacchi avvengono con fuoco e proiettili, come nella foresta amazzonica, dove le case di indigeni come Maria Leusa Munduruku vengono bruciate e dove leader contadini come Erasmo Alves Theofilo hanno una taglia sulla loro testa. Nella foresta e nelle periferie urbane, corpi umani cadono senza suscitare scalpore e le esecuzioni sommarie da parte delle forze di polizia esplodono.


La percezione del golpe si diffonde quando coloro che non sono abituati ad essere attaccati iniziano ad esserlo, in Brasile la minoranza bianca e più ricca. È una percezione legittima, che mostra che il tessuto sociale è stato lacerato in parti ritenute fino ad allora intoccate ed intoccabili. La rottura di questi limiti segnala che altre forze si sono mosse, minacciando il precario equilibrio anche dei più privilegiati. Nel 2017, dopo aver assistito all'esecuzione di un senzatetto da parte della polizia nel benestante quartiere di Pinheiros, la classe media si mobilitò per denunciare e protestare, celebrando una messa nella simbolica Cattedrale da Sé. Era ancora il Brasile di Michel Temer, ma la dittatura fu ampiamente ricordata. In quel caso, il “limite” stabilito dalla legge non scritta secondo cui lo Stato può giustiziare le persone, ma solo nei quartieri periferici, era stato infranto. Quella rottura richiedeva una reazione, per le migliori ragioni e anche per evitare che la violenza della polizia infrangesse un altro limite e il prossimo a cadere potesse essere qualcuno che viveva non per strada, ma in quegli appartamenti e case con uno dei costi a metro quadrato più caro della città.


Infiltrandosi nell'immaginario collettivo, il dibattito sul “ci sarà un golpe?” assolve un'altra funzione strategica: quella di impedire e occupare lo spazio dell’urgente dibattito sull'impeachment di Bolsonaro. A tal proposito c'è un palese assalto al linguaggio, nella normalizzazione del fatto che Arthur Lira, il corrotto presidente della Camera dei Deputati, tenga il suo posteriore adagiato su oltre 120 richieste di impeachment e sulla “super richiesta di impeachment” (*). Attraverso la ripetizione, la legittima critica a Lira si svuota e si comincia ad assimilare che così debba essere: la mobilitazione della società per la democrazia, tradotta in richieste più che legittime di impeachment, viene stravolta e usata come strumento di ricatto da parte del cosiddetto Centrão (**) per impossessarsi di fondi pubblici. Ogni volta che accettiamo l’abuso di potere e di funzione come inevitabile, abituandoci all'arbitrarietà, il golpe avanza.

(*) La “super richiesta di impeachment” raccoglie in un unico documento almeno 24 atti commessi dal presidente che i vertici degli enti organizzatori considerano reati di responsabilità. Il documento è firmato da 11 partiti, tra cui PT, PSOL, PC do B, parlamentari di sinistra, centro e destra, sindacati come la CUT (Centrale Unica dei Lavoratori), movimenti popolari come il Movimento dei lavoratori senza terra (MST), la Centrale dei Movimenti Popolari (CPM) e l'Unione Nazionale degli Studenti (UNE). Gli organizzatori hanno raccolto nella "super richiesta" le diverse argomentazioni che compaiono nei testi delle oltre 120 richieste di impeachment contro Bolsonaro che sono ferme alla Camera. (ndt.)

(**) “Grande Centro”, una coalizione di partiti senza programma o ideologia che sostiene il presidente in cambio di incarichi e voci di bilancio. Sono soprannominati “deputados de aluguel”, letteralmente “parlamentari in affitto”, che si vendono al miglior offerente. (ndt.)


Oggi, con Bolsonaro, vari limiti sono stati oltrepassati. Limiti che, anche per un paese con punti di riferimento di civiltà molto elastici come il Brasile, fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile aver infranto. Quando l’argomento principale è se ci sarà o meno un golpe, argomento affrontato con la stessa naturalezza dell'aumento del prezzo dei fagioli, dell'ultima partita del Corinthians o della più recente serie Netflix, cosa resta della democrazia? Il golpe ha percorso il linguaggio, si è infiltrato nella quotidianità ed è in atto. Il golpe è già stato fatto. Il dubbio è su fino a che punto sarà in grado di arrivare.


*Eliane Brum è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista si occupa in particolare di Amazzonia e di periferie urbane. Collabora con El País e The Guardian e i suoi articoli appaiono anche sulla rivista Internazionale. Ha pubblicato un romanzo, Uma Duas (2011), e varie raccolte di interviste e reportage, tra cui “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro” (Arquipélago). In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere (Feltrinelli 2011). Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo. “Le vite che nessuno vede” è stato selezionato per il National Book Award 2019 ed è stata tradotta in numerosi paesi.

Email: elianebrum.coluna@gmail.com

Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum


Oltre che su questo blog, altri articoli di Eliane Brum tradotti in italiano sono presenti sul sito Il Resto del Carlinho Utopia, qui

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