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19.05.16

Temer e la ‘Casa Grande si illudono

Le elite che appoggiano l’impeachment non hanno ancora capito: i loro privilegi continueranno ad essere contestati

di Eliane Brum, pubblicato su El Pais il 16.05.16

traduzione di Carlinho Utopia e Martina Morbidini

Atto primo:

i neri protestano contro il razzismo di fronte alla FIESP

Venerdì, 13 maggio 2016. Avenida Paulista, spazio del MASP (Museo di Arte di São Paulo), 12.30. Un gruppo di uomini neri e di donne nere organizza una performance dal titolo "In Legittima Difesa" - il momento del Brasile e i 128 anni dall’abolizione della schiavitù nel paese (ndt. In Brasile, il 13 maggio si celebra l'anniversario dell'abolizione della schiavitù, promulgata il 13 maggio del 1888 dalla Legge Aurea della Principessa Isabella).

 

“Il razzismo è golpe”, dice il DJ e attore-MC Eugenio Lima. “Il razzismo toglie l’appartenenza di tutta una popolazione a vantaggio di un’altra.” Eugenio ricorda che i discendenti di africani sono la maggioranza in Brasile: “La popolazione discendente di africani è del 53% della popolazione brasiliana”. Neri, nere e negrex – il termine transgender – nella performance rappresentano se stessi “nel secondo giorno del governo usurpatore”.

 

Ognuno di loro mostra un cartello. Camminano in fila fino a ciò che chiamano “Casa Grande Moderna”: il palazzo della FIESP ("Federazione delle Industrie dello Stato di São Paulo", l'associazione industriali) - , epicentro dei movimenti per l’impeachment della presidenta Dilma Rousseff, quartier generale dei "giallo-verdi" (ndt. il riferimento è alle magliette giallo-verdi della nazionale di calcio brasiliana, segno distintivo dei manifestanti "contro la corruzione" e pro-impeachment). Di fronte all’imponente edificio, si schierano uno accanto all’altro e mostrano i propri slogan in assoluto silenzio.

Manifestanti di fronte alla sede della FIESP sull'Avenida Paulista - João Luiz Guimarães

“La USP (Università di São Paulo) senza quote è golpe. La Rota è golpe. La meritocrazia è golpe. Luana uccisa è golpe (ndt. Luana Barbosa dos Reis, 34 anni, nera, povera e lesbica, uccisa dalle percosse di poliziotti militari nell'aprile scorso). La destra razzista è golpe.

Il femminicidio e l’ipersessualizzazione della donna nera è golpe. L’assenza di neri negli spazi pubblici è golpe. Il machismo è golpe. L’essere considerati sempre  individui sospetti è golpe. Il teatro senza neri è golpe. Blackface è golpe. ‘Mulatta’ è golpe. (ndt. il termine "mulatto/a, viene ormai ampiamente considerato razzista) Seguirmi nel supermercato è golpe. Paura bianca.”

E la domanda:

- L’abolizione è golpe?

 

Un giorno prima, Michel Temer (PMDB) aveva preso il potere come presidente ad interim, dopo l’allontanamento della presidenta Dilma Rousseff (PT) da parte del Senato, annunciando un “governo di salvezza nazionale”. Ha composto un consiglio dei ministri interamente bianco e ha collocato come ministro della Giustizia e della Cittadinanza Alexandre de Moraes, ex segretario di Sicurezza Pubblica del governatore Geraldo Alkmin (PSDB), considerato da gran parte dei movimenti neri e dei diritti umani come il più recente responsabile per la politica di sterminio della gioventù nera da parte della polizia dello Stato di São Paulo.

La scena disturba gli automobilisti nel lento traffico dell’Avenida Paulista. Sui marciapiedi comincia a radunarsi gente che torna dal pranzo o si sta incamminando verso un qualche ristorante.

 

“Che scemenze, non c’è razzismo in Brasile” e “ma andate a lavorare, vagabondi!” sono le frasi più sentite nella platea spontanea. Al mio lato, si ferma una coppia di amici. Uno di loro dice, a voce alta: “Non c’è niente di tutto ciò! Che atteggiamento!”.

 

Mi presento a lui come giornalista e domando: - Perché?

Lui si presenta come José Batista Sobrinho, 76 anni, medico oftalmologo, elettore del PSDB. E risponde: - Questo razzismo non esiste in Brasile. Voglio dire, il razzismo esiste in tutto il mondo. Ma in Brasile non è così grave. Ora, per esempio: lei non si sposerebbe mai con un nero.

Manifestanti di fronte alla sede della FIESP sull'Avenida Paulista

- Cosa glielo fa pensare? Chiedo.

- Sembra sia um fatto interiore che lei, in quanto bianca, non accetta. Perché lei crede che questa razza sia più brutta della sua razza. Ma non è per questo che li discrimina. È una persona così come lei. Frequenta casa mia, siede al mio tavolo, non c’è alcun problema con questo. È una persona uguale a me. Ma io non mi sposerei con una nera.

- Perché?

- Perché non mi piace. Ci sono alcune componenti che non mi piacciono, cose intime. Preferirei una persona diversa, più chiara. Questione di affinità, di empatia. Ma non è per questo che li discrimino.

- Lei è a favore o contro l’impeachment della presidente?

- E’ ovvio che sono a favore. Lei ha distrutto il paese. La convulsione sociale è visibile. E la colpa ricade sul PT. Non sono contro la Bolsa Familia (ndt. "Borsa Famiglia", programma sociale introdotto dal governo Lula che permette alle famiglie più povere di ricevere un sostegno dello stato a patto che si mandassero i figli a scuola). Ma doveva essere una Borsa-Scuola, come ai tempi di Ruth Cardoso. Ora è una Borsa-Voto. Le darò il nome di una città a Bahia dove non c’è un singolo lavoratore, perché ora lì è tutto Bolsa Familia. Nel Nordest ora, se cerchi una domestica non la trovi più, perché ora tutto è coperto dalla Bolsa Familia. Ma io non sono di Destra, no, non accetto tutto ciò.

- Come si definisce?

- Sono un liberale corretto.

 

Tre giovani donne, due bianche e una nera, osservano la protesta. I commenti sono abbastanza ad alta voce da potersi ascoltare: “Voglio vedere questi negroni al momento di sposarsi. Se si sposeranno con queste negre lì. Loro vogliono le bianche”. Risate.

Il gruppo comincia a ripetere, ad alta voce, le frasi dei cartelli. Sul marciapiede, un uomo grida agli automobilisti: Suonate! Suonate! Suo-na-te!”. Vorrebbe che i clacson nascondessero le voci che denunciano il razzismo. All’improvviso, raglia, furioso, verso una donna nell’auto: “Infilatelo nel culo, vacca!”. Gli chiedo perché lo ha detto. Lui si presenta come Fabio Andrade da Silva, 46 anni, guardia di sicurezza. E risponde:

- Mi ha mostrato il dito medio. E’ una mancanza di eleganza, sarà petista, maloquera. (ndt."petista": simpatizzante del PT, Partito dei Lavoratori; "maloquero/a" termine con il quale si descrive lo stile d'abbigliamento tipico dei giovani che seguono il Rap o che praticano lo skate)

- E l’impeachment?

- Sono a favore! Sono qui accampato (davanti alla FIESP) da 58 giorni.

- Cosa ne pensa di questa manifestazione contro il razzismo?

- Sono tutti disoccupati, tutti al soldo del PT.

Gli scatto una foto. Lui commenta, riferendosi alle donne nere: - Io non sprecherò la mia batteria (del cellulare) per fare una foto a una di queste mundrunga qui.

- Che cos’è mundunga?

- Ah non lo sai? Vai a cercartelo nel dizionario che lo scoprirai. E se ne va sghignazzando con un amico. (ndt. "mundunga": sinonimo di donna brutta, non in sintonia con i comuni canoni di bellezza)

Il gruppo si ritira in silenzio. E torna al MASP. Per legittima difesa.

 

Eugênio Lima (di fronte). foto: João Luiz Guimarães

Atto secondo:

intervista nello spazio del MASP sul perché la FIESP è la “Casa Grande Moderna”

Il teatro è stato uno degli spazi più creativi (e contundenti) della messa in discussione del razzismo che attraversa la società brasiliana. Negli ultimi anni si è trasformato anche in uno spazio di irruzione sulle tensioni razziali che per decadi erano state ricoperte da miti come quello della “democrazia razziale”.

 

Il DJ e attore MC Eugenio Lima, è uno dei protagonisti di questa scena con voci multiple. Nel 2015, fu il moderatore di un dibattito realizzato nello spazio Itaù Cultural dopo le proteste contro l’uso del blackface (ndt. è uno stile di makeup teatrale che consisteva, o volendo consiste, nel truccarsi in modo marcatamente non realistico per assumere le sembianze stilizzate di una persona di pelle nera) in uno spettacolo. L’evento fu un punto di svolta nella lotta contro il razzismo, nel suo mettere in discussione i privilegi dei bianchi negli spazi culturali. Per Legittima Difesa è nato a partire da un’altra polemica: lo spettacolo Exhibit B, uno spettacolo controverso sul sudafricano Brett Bailey, che fu contestato come “razzista” da parte dei movimenti neri brasiliani, nel riprodurre scene in cui i neri erano collocati in gabbie per essere esibiti. La sua presentazione alla Mostra Internazionale del Teatro di São Paulo finì per essere cancellata, con la scusa dei “problemi di costo”. Non sentendosi ascoltati nel dibattito, gli attori che avevano partecipato alla produzione crearono Per Legittima Difesa e invitarono Eugenio a dirigere le loro performances. Una di queste si è svolta al Teatro Municipale di São Paulo, il simbolo culturale delle elite della città.

 

Il FIESP venne scelto come identificazione della “Casa Grande Moderna”. (ndt. "Casa Grande": ai tempi del Brasile coloniale schiavista, gli schiavi chiamavano così la dimora padronale, mentre lo spazio riservato ai loro alloggiamenti era chiamato "Senzala")

 

- Quali sono i significati della scelta di questo giorno per la vostra manifestazione?

- La performance sull’Abolizione (ndt. della schiavitù) era già in programma. Per ironia del destino il giorno 13 di maggio è coinciso con il secondo giorno del governo usurpatore. Questa ironia simbolica è stata resa invisibile. Forse il governo di questo presidente ad interim è il più conservatore che il Brasile abbia conosciuto dal 1964, e molto simile ai governi conservatori della monarchia. Sono tutti uomini, tutti bianchi, con un’età avanzata, e una lunga storia politica. Tutto ciò ha sovrapposto vari strati simbolici per il momento. Questo governo non è stato votato, non ha il voto del popolo. Questo processo è un golpe politico parlamentare.

 

- Come risponde alla domanda scritta in uno dei cartelli che avete presentato: “L’abolizione è golpe?”

- L’Abolizione è golpe nel senso che è rappresentata come una concessione dello stato monarchico. La prima cosa, quindi, è (la necessità di) rendere visibile il primo grande movimento di massa di questo paese, che è il movimento abolizionista. La seconda è che, quando ci dicemmo finalmente liberi, saremmo stati liberi di fare tutto. Con il passare del tempo, questa idea di libertà è stata sottratta dalla continua esclusione. Con la politica di immigrazione, quando si incentivava la popolazione europea a venire in Brasile, si evidenziava il volto dell’Apartheid brasiliano. Fu un golpe nella misura in cui un paese con la più grande popolazione schiava del mondo, decretò l’abolizione della schiavitù e non fece alcuna politica di stato per risolvere un problema creato all'interno della concezione stessa di Stato. Questo è un golpe.

 

- E oggi, crede che l’Abolizione sia di fatto avvenuta?

- L’Abolizione è un progetto incompleto. Solo che gli effetti di questo progetto incompleto stanno nello sterminio della gioventù nera, e questo è un progetto molto nitido. Questo progetto è il punto cardine fondamentale di una politica di controllo sulla popolazione, creata in simbiosi con un apparato giuridico e di polizia che trova fondamento in due punti centrali. Uno di questi è l’incarcerazione di massa: il Brasile ha la quarta più grande popolazione carceraria del mondo e l’unica tra queste prime quattro che continua a crescere. Ttutto ciò è basato su una specie di “naturalizzazione del razzismo”, che sia nell’idea di “colore della pelle normalmente sospetto”, o in quella che l'essere nero/uomo/povero sia sinonimo di “criminale”. Queste sono le giustificazioni, tanto della polizia quanto della giustizia, relativamente al modo di agire differenziato tra neri e bianchi in Brasile. A parità di crimini commessi, ai neri si infliggono, in generale, pene più severe che ai bianchi.

 

- E il secondo punto cardine?

- È il concetto di “vita sacrificabile”. La polizia vive in una logica di guerra, sia contro il crimine, che contro le cosiddette “classi pericolose”. Ossia, la polizia combatte un nemico comune, con tattiche di guerra e apparati di sicurezza importati da altri paesi, principalmente paesi che vivono guerre contro determinate popolazioni, come ad esempio lo stato di Israele. In questa logica, dobbiamo chiederci: che cosa rappresenta la popolazione nera, povera e di periferia? E’ la popolazione civile dell’esercito nemico. Una vita sacrificabile è una vita che si può prendere. Ma, dato che il razzismo internalizzato nei corpi di polizia è di sistema, questa logica attraversa il trattamento di qualsiasi nero/nera, indipendentemente dalla classe sociale. È come se essere nero/nera fosse una “specie di soggetto da essere combattuto”. E questo ha ripercussioni nel comportamento sociale, che, in maniera generale, tenta di negare l’esistenza del razzismo. Questo è ciò che la professoressa Vera Malaguti Batista (sociologa specializzata sul tema della criminalità nel Brasile contemporaneo) definisce come “Paura Bianca”: l’idea di questa conflittualità ovvia, del fatto che un giorno il paese, che è a maggioranza nera, si ribellerà, che un giorno ci sarà um grande conflitto sociale se la “favela scenderà dalle colline ai centri delle città”. E questo può essere evitato soltanto com una dura e mortale politica di controllo. Questo rende nitido il progetto di sterminio della gioventù nera. Il genocidio della gioventù nera è reale e immenso, ma il senso comune lo tratta come se fosse un’eccezione, un’anomalia – e non uma politica pianificata.

 

- Qual è la sua analisi sul fatto che nel consigio dei ministri di Temer non ci sia neanche un nero?

- È una mimesi. Non solo il fatto che non ci sia un nero, ma anche che non ci sia nemmeno una donna. Così come l'aver soppresso, trasferendoli sotto l’egida del Ministero della Giustizia, il Ministero dei Diritti Umani e quello per l’Uguaglianza di Razza (Temer ha eliminato il Ministero delle Donne, dell’Uguaglianza di Razza e dei Diritti Umani e ha spostato tutto sotto l’ombrello di un Ministero della Giustizia e della Cittadinanza). Questo governo è illegittimo anche nei dettagli. Il paese è firmatario di trattati sui Diritti Umani, il paese è firmatario di trattati sulla Lotta al Razzismo. Non è una cosa che io, come governante, posso decidere, ma è una politica dello Stato. E, in quanto politica di Stato, non dipende da chi sta al governo.

 

- Perché afferma che la FIESP è la Casa Grande?

- È la Casa Grande Moderna. Ha rappresentato un progetto che è, in breve, la sottrazione dei diritti costituiti, nella misura in cui questo progetto non fu approvato a livello elettorale. Questo è il primo aspetto. Non è un progetto rivendicato dall'insieme della popolazione. Così, lo si può mettere in atto solo in sordina. Il secondo aspetto è che ha agito in maniera chiara e nitida incentivando atti fascisti. Insultando, razzializzando il discorso, disprezzando. E ha utilizzato risorse che sono pubbliche per il finanziamento di azioni in ambiti privati, come nel finanziamento delle manifestazioni a favore dell’ impeachment. Questo modo di fare è tipico della Casa Grande. Non definisco Casa Grande la FIESP solo perché sono gli eredi degli schiavisti. Ma a causa della sua logica da Casa Grande. La Casa Grande organizza la società, organizza lo Stato a sua somiglianza. Che cos’era la Casa Grande? La Casa Grande era la chiesa, era l'ospedale, la Casa Grande era lo Stato, la Casa Grande era tutto. É  il luogo intorno al quale tutto orbita. Questa è la metafora che le forze riunite intorno alla FIESP hanno presentato in questo momento storico. Un momento analogo al 1964 (ndt. data d'inizio della dittatura in Brasile), perché la FIESP già fece questo gioco in passato, perché il golpe del 1964 fu civile, e non solo militare.

 

- Qual è l’importanza della denuncia del razzismo in questo momento?

- Il razzismo deve essere un ordine del giorno trasversale, perché smaschererà ogni relazione. Il razzismo è ciò che non può essere detto. Quando si rivela che questa meritocrazia è basata sullo status razziale, si iniziano a smontare un sacco cose. Che questi privilegi costituiscono una specie di golpe ai diritti di tutti, perché (il bianco) già nasce con questi privilegi che sono costituiti a livello di cultura del paese, interiorizzati nei costumi. Perciò, (il bianco) ha un vantaggio di adattamento molto grande. Si può vedere come l’azione coercitiva dei bracci armati dello Stato sono violenti con la popolazione nera del paese. Così, si rende invisibile un dato che giammai dovrebbe essere reso invisibile, che siamo uno dei paesi che più uccide i propri giovani.

 

- Cosa ne pensi della scelta del nuovo ministro delle Giustizia e della Cittadinanza, Alexandre de Moraes?

- Trovo pessimo che una persona che definisce i movimenti sociali come “guerriglie” possa essere ministro della Giustizia di qualsiasi paese. Trovo offensivo verso la totalità della popolazione brasiliana un ministro della Giustizia che onora poliziotti che hanno aggredito studenti di scuole superiori. Un ministro della Giustizia che crede che la Politica sia Polizia.

 

- Cosa si puo' fare di fronte a questo?

- Questo è il momento in cui la gioventù nera e la moltiplicità della presenza nera nella società devono lottare in ogni maniera per strappare l'invisibilità di queste questioni. Una delle cose più crudeli di questa storia è l’idea che la riorganizzazione delle elite può influenzare tutte le questioni. Come se la nostra storia fosse una sequenza di riorganizzazioni delle nostre elite. Come se non esistesse un’altra storia possibile oltre a questa. É un momento molto triste. Per questo è il momento di costruire un vocabolario politico, ma soprattutto poetico. Perché la vedo come uma narrativa, che utilizza tutti i propri simboli per costruire il senso comune. E dato che il razzismo è trasversale, così come il maschilismo è trasversale, loro sono capaci di svelare questa narrativa.

 

- E le immagini?

- Le immagini sono molto potenti. Guardi ai ministri e ti dici: “Accidenti, ma sono solo uomini? E bianchi? E molto vecchi?”. Non che l’età sia di per sè un problema, ma loro sono i volti di un modo di fare politica. Sono figure calcate in una serie di questioni che rappresentano interessi corporativi molto chiari. Figure che nemmeno sono state elette, che non passerebbero mai per il volere della gente, nemmeno alle elezioni dei governatori statali. Solo per ricordare: il presidente della FIESP tentò di presentare questo programma nello Stato di São Paulo (Paulo Skaf era il candidato del PMDB alle elezioni del 2014). E non è riuscito neanche lì. Non c’è unanimità all’interno della stessa destra. Perciò, questo è un governo illegittimo ed è un governo usurpatore. E, in questo senso, è così chiaro, ed è chiaro in senso stretto, è bianco, che persino le stesse forze del capitalismo riconoscono che questo processo è problematico.

 

Atto Terzo: riflessioni su un governo che si insedia con le benedizioni di Sarney e di Malafaia

Il periodo democratico che seguì alla dittatura civile-militare in Brasile fu chiamato “Nuova Repubblica”. E probabilmente si è appena chiuso. È necessario trovare un nome per definire il periodo ancora indefinito del governo di Michel Temer (PMDB), iniziato il 12 di maggio, dopo l’allontanamento della presidente Dilma Rousseff da parte del Senato. Dare un nome a questo momento, allo stesso tempo nuovo e vecchio, nella traiettoria del paese, è un argomento controverso. Trovare questo vocabolario adeguato, plurale, come già ho scritto in questo articolo e come è stato ben spiegato da Eugenio Lima, fa parte delle sfide dello scenario attuale. È con politiche culturali che un paese costruisce una voce propria. Come sappiamo, Temer ha estinto il ministero della Cultura.

L’immagine del Consiglio dei Ministri di Temer produce disorientamento. È come un ritratto che nasce già ingiallito. Solo bianchi, solo vecchi, solo uomini. Nessuna donna, nessun nero.

 

Questo ritratto è un’immagine forte perché non rappresenta il Brasile attuale. È allo stesso tempo è un’ immagine poderosa. Al di là del tanto menzionare il “futuro”, ciò che interessa a Temer e ai suoi alleati per continuare a garantirgli l’appoggio è l’affermazione del passato.

 

Il messaggio mandato dalla scelta dei ministri riafferma l’idea che il Brasile è tornato a una specie di ordine costituito. E ci sono anche dei settori che possono commemorare questo fatto, come se si trattasse di un ritorno a ciò che è stato e che non sarebbe mai dovuto finire.

Ma, per comprendere questa fotografia, è importante capire che, semplicemente, tornare indietro non è già più possibile.

Temer con alcuni ministri del suo governo

Temer e le forze protagoniste in questo momento potranno anche credere che sia possibile un ritorno al passato che rappresentano, ma si sbagliano. Non è possibile tornare al Brasile pre-quote razziali, al Brasile prima del #meuprimeiroassedio (#lamiaprimamolestia), al Brasile prima della Bolsa Familia e del protagonismo delle donne capo famiglia, al Brasile in cui i più poveri accettavano di non avere accesso ai consumi, al Brasile in cui un povero non arrivava all’università, al Brasile dove gli studenti delle scuole pubbliche accetavano in silenzio la violazione dei loro diritti basilari.

 

Questa idea può anche essere coltivata da Temer e dalle forze che gli hanno permesso di prendere il potere. Ma è un desiderio, non un fatto.

L’idea che le elite possano scrivere l’intera storia del paese, e riscriverla, e sopprimere interi capitoli, e dire quale sarà la narrativa preponderante sulle altre non è sostenibile nel Brasile attuale. La manifestazione di neri, nere e negrex di fronte alla FIESP è una piccola grande scena. Gli esempi irrompono in ogni angolo. Chi crede che le forze creative che sono emerse nel 2013 possano essere messe in silenzio è un pessimo lettore di questo momento storico. E questo vale per gli anti PT come vale anche per quelli del PT. I movimenti sociali ora sono altri. E si presentano con parole nuove – e proprie.

 

C’è molto di vecchio e c’è anche qualche novità neI ministerI di Temer, come una immagine di questo patto tra elite. C’è almeno un indagato nell'inchiesta "Lava Jato", Romero Jucà (PMDB). (ndt. "Lava Jato": "Operazione Autolavaggio". Inchiesta ancora in corso della magistratura brasiliana, una sorta di "tangentopoli" brasiliana, che ha portato alla luce un sistema generalizzato di tangenti versate da almeno un decennio dalle principali imprese di costruzione del paese a responsabili della Petrobras, il colosso petrolifero nazionale a maggioranza statale)

 

Ed uno sul quale gravano due richieste di rinvio a giudizio, Henrique Alves (PMDB).  C'è Alexandre de Moraes (PSDB), un ministro della Giustizia che acclama i poliziotti che pestano studenti adolescenti. C’è un ministro della Agricoltura, Blairo Maggi, che è passato dal PR (Partito Repubblicano) al PP (Partito Popolare) per garantirsi il posto di ministro. Maggi, conosciuto come “il re della soia”, ha gia vinto il premo “Motosega d’Oro”, assegnato da Greenpeace, come riconoscimento per la sua collaborazione nella distruzione dell’ambiente. C’è Osmar Terra (PMDB), difensore convinto di una politica sulle droghe provatamente ultrapassata, legata allo sterminio della gioventù nera e della incarcerazione di massa dei più poveri.

 

Ci sono vari che sono rimasti accanto a Dilma Rousseff fino alla vigilia dell'impeachment, come Gilberto Kassab (PSD) e Leonardo Picciani (PMDB). E anche i più giovani sono ereditieri di vecchi clan legati al PMDB, come Sarney e Barbalho, tra gli altri. Non ci sono “notabili”. Ma, come abbiamo visto, ci sono i soliti noti.

I pastori evangelici e deputati Marco feliciano (a sinistra) e Silas Malafaia
Marcos Pereira - vescovo Igreja Universal do Reino de Deus, ministro sviluppo, industria e commercio
Josè Sarney

Ma c’e anche qualcosa che sembra vecchio, ma è una novità. Perchè non è nuovo solo ciò che crediamo che debba esserlo. Si tratta del vescovo della Igreja Universal do Reino de Deus (Chiesa Universale del Regno di Dio), Marcos Pereira (PRB).

 

Se c’è poco di compreso e di investigato in Brasile è proprio la crescita delle chiese evangeliche nel paese. Prima di tutto, si tende a fare di tutta l'erba un fascio, ma sono molto diverse le une dalle altre. Lo spettro è ampio. Quelle che sono cresciute di più non rappresentano un progetto religioso. Ciò che rappresentano è un progetto economico, e principalmente, politico.

 

È qui che si nasconde il pericolo. Marcos Pereira è l’architetto che fece guadagnare forza in Parlamento al PRB, partito legato alla Igreja Universal e alla TV Record, due fronti della stessa costruzione politica.

 

Per poter comprendere bene il paese è urgente capire meglio la crescita di alcune chiese evangeliche ed i rispettivi progetti di potere. Vale la pena capire anche che la Chiesa Cattolica, in altri tempi così attiva nella politica brasiliana, ha avuto poca influenza nello svolgersi della vicenda che ha portato Temer al potere.

 

Due atti di Temer hanno una grande forza simbolica per comprendere il patto stretto al Planalto. Nel giorno della votazione dell’impeachment al Senato, l’11 maggio, lui ha lasciato il Palazzo di Jaburu, dove i parlamentari andavano a baciargli la mano, soltanto per baciare una mano più potente della sua, quella di Josè Sarney, questo personaggio che attraversa la dittatura e il ritorno alla democrazia. Le impronte digitali di Sarney sono ovunque, specialmente nel settore elettrico del paese. Questo è il vecchio. E forte.

 

Il giorno successivo, dopo il giuramento come presidente ad interim, Temer ha ricevuto la benedizione di Silas Malafaia, il più truculento leader evangelico del paese, e ha pregato con gli esponenti della "bancada evangelica" , come il pastore e deputato Marco Feliciano (PSC), la cui impronta politica nefasta non ha bisogno di presentazioni. Questa è una novità. E forte. E necessario decodificare queste due scene con più profondità di quanto non abbiamo fatto fin’ora.

L’ immagine di un Lula distrutto, quase distratto, al lato di Dilma Rousseff, durante il discorso di commiato di fronte al Planalto, lascia spazio a varie interpretazioni. Lula non fingeva. Forse perché non voleva, forse perché non poteva più farlo. Il suo volto era devastato. Era una fine. Indipendentemente da cosa succederà a Dilma e soprattutto al PT nei prossimi mesi, che è tutt’altro che scontato, in quella scena c'era una fine. Se questo finale singnificasse una autocritica feroce del PT e delle sue scelte di potere, non solo la sinistra ci guadagnerebbe, ma tutto il paese.

 

Per citare solo una scena di questo lungo e accidentato percorso: è stato Eduardo Cunha a peregrinare per le chiese evangeliche al servizio di Dilma Rousseff e del PT nella campagna elettorale del 2010, assicurando i pastori che la candidata era contro l’aborto. In quel momento, il PT ammainò una delle sue bandiere storiche in cambio del voto religioso e degli alleati del momento. Cunha, ovviamente, è sempre stato al servizio solo di se stesso. Questo è un momento emblematico, ed è soltanto uno dei tanti. Occorre rispolverarli tutti.

 

Dobbiamo rispolverare le scelte fatte in nome della parola più orrenda del lessico politico recente: “governabilità”. L’unica via d'uscita dignitosa per il PT

12 maggio 2016 - Dilma e Lula

è quella di affrontare le contraddizioni e fare autocritica. Ma non sembra essere questo ciò che succederà. Ancora una volta. È molto più facie essere semplicemente vittime. E ancora più conveniente in vista delle elezioni presidenziali del 2018. Ma si sarebbe già dovuto capire da tempo che il prezzo delle scelte più convenienti e più facili si paga presto.

 

Chi non fa i conti con i fatti finisce sempre per perdere, prima o poi. Se Dilma è stata allontanata e il PT si ritrova in questo baratro è anche per la scelta di evitare le contraddizioni – o proprio di nasconderle. E ciò vale anche per le sinistre che hanno preferito raccontarsi che era possibile perdonare l’imperdonabile, come Belo Monte. E continuano a raccontarselo, lasciando il campo disorganizzato e aprendo um vuoto politico che sarà presto occupato, chissà da chi e da cosa.

 

Il volto devastato di Lula, al lato di una Dilma nel suo ultimo discorso, e la scena dei ministri di Temer, con i pappagalli da pirata come Aecio Neves (PSDB), suggeriscono anche una domanda sul chi siano i professionisti nel ramo. Parte delle elite lusinga Lula fin da quando era un leader sindacale dell’ABC (ndt. l'ABC è il grande hinterland di San Paolo); si ricordi la scena del Gallery, nel 1979, la discoteca dei ricchi in cui Lula andò a cena su invito della rivista Manchete. Nella campagna del 2002, sfilò in completo Armani nei saloni dell’elite paulista aperti da Marta Suplicy, che sappiamo bene cosa ha fatto nelle estati passate e cosa fa oggi. Così come dalla coppia Eleonora Mendes Caldeira e Ivo Rosset. Era l’operaio che aveva raggiunto il paradiso.

 

Da lì in avanti Lula apprezzò sempre più di questa adulazione dei saloni. E lo stesso vale per molti del PT. Fino a che si sono convinti di essere i padroni della palla in questa partita truccata, senza percepire che erano osservati da vicino – con un certo divertimento – da notabili vecchi quanto il diavolo. In politica, nelle imprese, nella giustizia. E Lula ha creduto davvero di essere un "unto", che gli bastasse aprire la bocca per chiamare a sè le masse, mentre in realtà si stava allontanando sempre di più da loro, anche nella produzione simbolica stessa delle immagini.

 

Tutto indica che Lula e il PT non hanno compreso interamente la complessità del gioco e la fragilità in esso della propria posizione. Hanno scelto di giocare il gioco dell’avversario e hanno rinunciato a metterne in discussione le regole, credendo di poter continuare a vincere. Dilma, a sua volta, si è rivelata uno dei maggiori errori di Lula, fino ad allora famoso per le sue intuizioni politiche. Fino (quasi) alla fine hanno creduto di poter ribaltare il risultato nella partita decisiva. L'ironia maggiore è data dal fatto che a rimanere al lato di Lula, Dilma e del PT è quella tifoseria alla quale avevano dato le spalle mettendo all'asta le bandiere storiche.

 

Il volto devastato di Lula contiene molti significati. Uno di questi può essere decodificato come il volto tra la sorpresa e l’angoscia del bambino che credeva di restare per sempre il padrone della palla. Ma che scopre di non esserlo di fatto mai stato. Il sorriso di scherno dei ministri di Temer e dei suoi sostenitori, l’espressione di malcelata euforia dello stesso Temer, sembravano dire: “Sciocchini, ora i professionisti si prenderanno cura di tutto”.

È l’agghiacciante ritorno di coloro che non se n’erano mai andati.

 

C'è stato un momento in cui il PT avrebbe potuto cambiare il suo gioco. E non l’ha fatto. Non è possibile continuare a credere che tutto ciò che è successo è stato perché il PT ha cambiato gioco. L’impeachment è stato reso possibile esattamente per il motivo contrario: perché il PT non ha cambiato gioco dal principio. E questo aspetto è inludibile.

 

Ma la storia non è conclusa. Il Brasile non è ciò che era. Il passato non torna. Lo slogan positivista “Ordine e Progresso”, che Temer ha preso in prestito dalla bandiera, come ha ricordato lo scrittore Sergio Rodrigues in un articolo sul quotidiano O Estado de S. Paulo, già era considerato conservatore quando fu proclamata la Repubblica, alla fine del secolo 19. In una intervista esclusiva a Fantastico, programma della TV Globo, domenica 15 maggio, Temer ha risposto che una delle eredità che vorrebbe lasciare è “la pacificazione del Brasile”.

 

La “pacificazione” proposta da Temer è un tornare ognuno ad occupare il proprio posto a seconda della razza come se questo fosse l’ordine naturale delle cose. La “pacificazione" di Temer è pace solo per alcuni. A questo desiderio di ritorno del vecchio ordine delle elite e del progresso per gli stessi di sempre si contrappone la frase potente, quasi un mantra, scritta oggi in uno dei cartelli alzati sulla Avenida Paulista durante la performance degli attivisti neri: “Se la pace non sarà per tutti, non sarà per nessuno”.

 

Tanto il PT quanto coloro che ora sono (o restano) al potere non hanno ancora compreso la potenza del 2013. La polifonia che ha occupato le strade in quel momento, oltre qualsiasi controllo possibile, continua nelle piazze, nonostante i lacrimogeni della polizia. È questa la forza simbolica di neri e nere e negrex che si sono appostati di fronte alla “Casa Grande Moderna”. Per legittima difesa.

 

Chi crede che questo sia il finale della storia, non ha ancora capito che è appena cominciata.

Eliane Brum

Eliane Brum

 

è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.

Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.

Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).

 

Site: elianebrum.com | Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum

 

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