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26.04.16

La narrativa delle tangenti che si impone su quella della violazione dei diritti umani,

denuncia le contraddizioni in gioco in questo momento storico

Ciò che Belo Monte denuncia su tutti i fronti 

di Eliane Brumpubblicato su El Pais 11.04.16 

traduzione di Martina Morbidini per il Resto del Carlinho Utopia

 

E così Belo Monte è finalmente arrivata nei titoli della grande stampa – e nei cuori e nelle menti dei “cittadini per bene” di questo Brasile – in forma di denuncia. 

 

Secondo il quotidiano Folha de S. Paulo, Otávio Marques de Azevedo, ex-presidente della Andrade Gutierrez, una delle maggiori imprese appaltatrici del paese, ha rivelato nel corso dell' “Operazione Lava Jato” (ndt. letteralmente ‘autolavaggio’, l’inchiesta sulla corruzione che coinvolge lo stato e l’assegnazione di appalti pubblici a compagnie private) un sistema di tangenti del valore di 150 milioni di reais che coinvolgono la centrale idroelettrica. 

 

Il denaro delle tangenti sarebbe stato diviso in parti uguali tra PT e PMDB e sarebbe stato consegnato dalle imprese di costruzione coinvolte nei lavori della centrale in forma di donazioni legali alle campagne elettorali degli anni 2010, 2012 e 2014.

Foresta intorno al fiume Xingu data alle fiamme per costruire la centrale - foto: Lilo Clareto

In poche parole, riciclaggio di denaro di tangenti attraverso il finanziamento di campagne politiche. Se il sistema esposto nel corso della "delazione premiata" fosse provato – e solo in quel caso – Belo Monte potrebbe riguardare la presidente Dilma Rousseff. (ndt.  "delazione premiata" : così vengono definite le dichiarazioni di chi collabora con la giustizia ottenendone in cambio benefici e sconti di pena)

 

C’è però un aspetto che la relazione tra le "delazioni premiate" dell’Operazione Lava Jato su Belo Monte già espone esplicitamente. Dov'è il valore – o dove sono le priorità. La centrale idroelettrica diventa oggetto di denuncia soltanto quando è messa in relazione a un sistema di tangenti che ancora deve essere confermato. Settori che sempre hanno difeso la costruzione di Belo Monte e l’hanno esaltata come una “magistrale opera di ingegneria”, come se fosse il lato positivo del governo di Dilma Rousseff, sono passati a denunciarla nella speranza che, questa volta, la presidente possa essere coinvolta nello scandalo.

 

A Belo Monte accade ciò che è già successo con il tema della corruzione: è la destra ad appropriarsene. O, detto diversamente: le denunce che riguardano la costruzione della centrale idroelettrica vengono sequestrate all’interno dell’ampio ombrello della corruzione. Con più entusiasmo, perché, se provate, Belo Monte potrebbe portare a ciò che al momento manca, un legame con la campagna elettorale (ndt. di Dilma Rousseff) del 2014. Di fronte alle denunce, Dilma Rousseff e la Norte Energia, impresa concessionaria, hanno negato qualsiasi irregolarità.

 

BELO MONTE, ANNUNCIO DI UNA GUERRA - Regia: André Vilela D’Elia. Brasile, 2012

Questa appropriazione è particolarmente interessante perché indica le difficoltà della sinistra in questo momento.

 

Se il sistema delle tangenti deve essere ancora confermato, le violazioni dei diritti umani e la distruzione ambientale prodotte dalla centrale idroelettrica sono ampiamente documentate. Ma la sinistra vicina al PT ha taciuto su queste violenze per tutti questi anni.

 

Ed è rimasta in silenzio, ancora una volta, quando la licenza operativa venne assegnata alla centrale idroelettrica senza che l’impresa avesse soddisfatto interamente le condizioni da cui dipendeva il suo funzionamento.

 

Se il tema dei diritti umani non è esclusività di un’area ideologica, certamente è un tema tradizionalmente caro alla sinistra.

Per i suoi silenzi, questa sinistra si delegittima.

E non capisce che si trova in un momento in cui ha un disperato bisogno di provare la sua differenza rispetto a coloro che gli puntano il dito contro accusandola.

Belo Monte diventa, così, un problema anche per tutti coloro che, in forma apartitaria, si dichiarano “contro il golpe” e “a difesa della democrazia”.

Il punto difeso è chiaro: nel posizionarsi contro l’impeachment di Dilma Rousseff perché non c’è base legale, si difende la scelta delle urne, il voto, la democrazia. Ma, anche in questo caso, la maggioranza dei partecipanti alle manifestazioni ha bisogno di ripetere costantemente che la difesa della democrazia non significa necessariamente la difesa del governo, nella misura in cui molti aspetti di questo governo sono indifendibili. Ed è sempre meno facile manifestare per la democrazia e per il termine naturale del mandato di Dilma Rousseff mentre, allo stesso tempo, la presidente promulga la legge antiterrorismo che, conformemente alla interpretazione di chi applica la legge, può criminalizzare esattamente quelle stesse manifestazioni e i movimenti sociali.

 

Foto aerea scattata da Dilma Rousseff il 5.05.16, inaugurazione operatività della Centrale

Foto aerea scattata personalmente da Dilma Rousseff il 5 maggio 2016, data nella quale si è recata ad inaugurare  l'inizio dell'attività produttiva della centrale di Belo Monte. Belo Monte - Sítio Pimental. (Vitória do Xingu - PA, 05/05/2016) - Foto: Dilma Rousseff/PR

Belo Monte è divenuta l’ineludibile in questo momento. Quando il processo di installazione della centrale idroelettrica entra a far parte dell’ordine del giorno della destra, al riparo dell’ombrello della corruzione, cosa faranno i settori della sinistra?

Hanno due alternative: riordinare le priorità, che significa includere il possibile sistema di tangenti nel campo dei diritti umani e ambientali, o restare in silenzio ancora una volta.

 

È per la sequenza di questi silenzi vergognosi, quando non codardi, delle contraddizioni irrisolte, dei confronti rinviati perché c’era un’elezione da vincere, una disputa da affrontare, una sterzata a sinistra da fare o addirittura il concetto del “meno peggio” da difendere, che tutto ciò che quelli che si posizionano a “difesa della democrazia” possono dire oggi è che difendere la democrazia non significa difendere il governo.

 

La difficoltà aumentano quando Belo Monte compare nei notiziari e nei discorsi degli oppositori politici legata a una denuncia di corruzione. È facile affermare che questo governo è sotto attacco, e con esso la democrazia, perché ha “difeso i diritti dei più poveri”, come è stato ripetuto in tutti gli eventi e le manifestazioni che ho seguito. Questa è una parte della verità, ma è ben lontana dall'essere completa.

 

È molto più difficile dire qualcosa del tipo “questo governo ha violato i diritti dei più indifesi per costruire la centrale idroelettrica di Belo Monte”, o che “la centrale di Belo Monte, una delle più imponenti opere del PAC (Programma di Accelerazione della Crescita), ha prodotto l’etnocidio delle popolazioni indigene”. E concludere: “Ma anche in questo caso dobbiamo difendere la democrazia e la scelta delle urne”.

 

È certamente possibile fare certe affermazioni, ma è più complicato. È necessario affrontare questa complicazione, e pronunciare tutte le parole, abbandonando una volta per tutte le mistificazioni che facilitano l’argomento.

 

"Fino a che punto Belo Monte rientra nell’ordine del giorno della destra, riparata sotto l’ombrello della corruzione,

e cosa faranno i difensori della democrazia?"

Ma è necessario ripetere ancora una volta, Belo Monte è l’ineludibile. La storia ha già provato che restare in silenzio di fronte alle verità sconvenienti per vincere dispute politiche è una scelta pericolosa. Mi sembra possibile difendere la democrazia, senza difendere il governo, soltanto affrontando le contraddizioni del caso. Nel caso di Belo Monte, significa affrontare le violazioni dei diritti umani consumatesi prima, durante, e dopo l'opera. Affrontare le violazioni dei diritti umani e la distruzione ambientale che stanno avvenendo ora, in questo preciso istante, nello Xingu. E che non possono, ancora una volta, essere ignorate in nome delle convenienze – o essere ridotte a un sistema di tangenti ancora tutto da provare.

 

Ho scritto, più di una volta in questi ultimi anni, che Belo Monte, quando sarà completamente svelata, sarà il nodo che rivelerà il Brasile.

Quest'opera gigantesca contiene la completa anatomia delle relazioni tra imprese e governi (al plurale) che segna la storia del paese a partire dalla costruzione di Brasilia, a metà del secolo passato.

 

Che questa operazione tra Stato e imprese ha cominciato ad essere disegnata durante la costruzione della capitale del paese, un monumento modernista eretto sulle ceneri della natura rappresentata dal Cerrado, è di un simbolismo esplicito (ndt. "cerrado": la Savana Tropicale brasiliana). E noi ci ritroviamo qui, più di mezzo secolo dopo, di fronte a Belo Monte, un monumento relegato nel mezzo dello Xingu, uno dei fiumi più ricchi di biodiversità dell’intera Amazzonia, in una fase della storia in cui non è già più possibile negare l’impatto dell’uomo sul cambiamento climatico.

Belo Monte, imprese di costruzione e specchiett

Belo Monte, imprese di costruzione e specchietti

di Eliane Brum

La relazione contaminata tra i governi Lula - Dilma e le grandi imprese di costruzione ha creato il suo monumento: è Belo Monte. Questa immensa diga sul fiume Xingu è, tanto quanto la Petrobras coinvolta nell' Operazione Lava Jato, il simbolo delle relazioni pericolose tra lo stato brasiliano e le grandi imprese costruttrici nella storia recente del paese. Relazioni che attraversano i governi della dittatura, quelli della re-democratizzazione e si riproducono fino ad oggi, con particolari peculiarità. C'è tutta la storia del Brasile contenuta in Belo Monte. Belo Monte è diventata un'opera pubblica contro il pubblico... Leggi tutto

Se Belo Monte sarà ridotta a un solo capitolo dell’ Operazione Lava Jato, si cancelleranno libri interi.  È questo che, nuovamente, non si può permettere che accada. L’unica chance che abbiamo per “rifondare la democrazia in Brasile” o la Repubblica, come hanno difeso alcuni, è quella di riconoscere Belo Monte per tutto ciò che rappresenta. Molto più di quanto possa mostrare la Lava Jato.

 

È necessario guardare il “Belo Mostro”, come è chiamata nella regione dello Xingu, negli occhi. Per scoprire che sono tutti là, gialli e rossi, bianchi, di qualsiasi colore. Destra e sinistra. Belo Monte è un monumento che espone le contraddizioni tanto di coloro che gridano “contro la corruzione” e “per l’impeachment di Dilma Rousseff”, quanto di coloro che gridano “in difesa della democrazia” e “contro il golpe”. A Belo Monte, in pochi non hanno le mani sporche di sangue.

 

Vale la pena ricordare alcuni episodi di questa storia in divenire.

 

- Belo Monte si farà!

 

Questa fu la frase di Dilma Rousseff, l’allora ministra delle Miniere e dell’Energia di Lula, nel 2004. E’ importante fare attenzione alla data: questa scena occorreva nel secondo anno del primo mandato di Lula. Dichiarazione seguita da un pugno sul tavolo.

Dilma allora si alzo e rivolse le spalle ai rappresentanti dei movimenti sociali della regione, che rivendicavano la coerenza del PT, partito che avevano appoggiato e alla quale la maggioranza dei presenti era affiliata. Questa scena, raccontata da Antonia Melo, la maggiore leader vivente dello Xingu, è la sintesi della scelta che il partito fece, all’epoca, nell’annunciare che la centrale idroelettrica sarebbe stata costruita a qualunque costo e prima di ascoltare i diretti interessati, in una decisione a priori, anteriore all’analisi delle conseguenze.

Al tempo, già molto era stato detto, se non tutto. Per chi fosse stato disposto ad ascoltare, era chiaro. Quasi nessuno lo era. È anche in questo che si spiega la scelta di Dilma Rousseff alla successione di Lula.

Tra il pugno della ministra e l’inizio della produzione di energia della Belo Monte, avvenuta la settimana scorsa, sono passati 12 anni. E una delle maggiori collezioni di violazioni di diritti della storia recente del Brasile.

 

Belo Monte è più che un "mostruário" di crimini socio-ambientali: è un "monstruário".

 

(ndt. Nel testo originale, Eliane Brum gioca con le parole "mostruario", l'equivalente in italiano di catalogo, campionario... e "monstruario", una sorta di espositore di "monstros", cioè di mostri)

La presidente Dilma Rousseff in visita alla centrale di Belo Monte in costruzione

Già lo era molto prima che le prime delazioni premiate rivelassero le supposte tangenti che coinvolsero l’opera, già molto prima che il giudice Sérgio Moro, i procuratori e la Polizia Federale iniziassero a sognarsi la Lava Jato. E nessuno, di nessuna fazione, può dire di non aver saputo, di non essere stato informato. La disinformazione è un bene di lusso non disponibile al momento.

 

Nel 2011, ad esempio, Célio Bermann, professore dell’ Università di S. Paulo (USP) specializzato nell’area energetica, affermò in un’intervista:

 

Non si tratta di costruire una centrale per produrre energia elettrica. Una volta costruita, qualcuno dovrà produrre energia elettrica, ma non è per questo che Belo Monte è in costruzione. Ciò che è in gioco è l’utilizzo di denaro pubblico e specialmente nell’arco dei cinque, sei anni in cui sarà costruito l’impianto. È in questo momento che si fattura. È nella fase di costruzione che il denaro circola. È la fase in cui sindaci, assessori, governatori sono comprati e la situazione si stabilizza. Voglio essere molto chiaro nell’esporre la mia impressione di cosa significhi una centrale idroelettrica come Belo Monte. Ci sono persone che guadagnano con quest’opera – fabbricanti di materiali, imprese. E c’è chi ci guadagna non finanziariamente, bensì politicamente, perché permette che questa articolazione sia possibile, perché è questa gente che finanzierà la campagna elettorale del prossimo mandato”.

 

Bermann aveva le credenziali per affermare ciò che affermava. Aveva partecipato ai dibattiti dell’area energetica e ambientale per l’elaborazione del programma di Lula nella campagna del 2002 e fu assessore di Dilma Rousseff tra il 2003 e il 2004, al Ministero delle Miniere e dell’Energia. Si allontanò dal PT, secondo quanto lui stesso afferma, quando “il baffo di Sarney stava facendo troppe comparse nelle foto”. Nel 2011, dichiarazioni come quelle del professore, fuori dalle reti socio-ambientali, erano fortemente squalificate. Chi indicava le già chiarissime contraddizioni di Belo Monte era accusato di non comprendere le necessità di sviluppo del paese.

 

Vale la pena tornare indietro di qualche altro anno e rileggere l’intervista rilasciata dall’economista Delfim Netto, ex ministro della dittatura civile-militare, alla rivista Veja, all'inizio del 1997. Nel difendere il Programma di Accelerazione alla Crescita di Lula, suo nuovo amico, Delfim affermò:

 

“Il merito del piano è stato di recuperare un progetto di sviluppo economico, cercando di accendere lo spirito animale degli imprenditori. Il settore privato ha bisogno di due garanzie per investire: che ci sarà crescita e che non mancherà l’energia. Se ci saranno queste due garanzie, gli investimenti arriveranno. Guardate il caso del complesso idroelettrico di Belo Monte, sul Fiume Xangu. Per quanto nobile sia la questione indigena, è assurdo esigere dagli investitori che riducano per la metà la potenza di energia prevista in un progetto gigantesco perché una dozzina di indios cocorocò vivono nella regione e un gesuita (ndt. il riferimento è a Dom Erwin Kräutler, vescovo dello Xingu e attivissimo difensore dei diritti umani delle popolazioni indigene) vorrebbe pubblicare la grammatica cocorocò in tedesco”.

Dom Erwin Kräutler, vescovo dello Xingu, con il leader indigeno Raoni

Secondo il quotidiano Folha de S. Paulo, Flavio Barra, importante manager della Andrade Gutierrez, ha confessato, in una "delazione premiata", che Delfim Netto avrebbe ricevuto 15 milioni di reais di tangenti per accomodare gli interessi delle imprese appaltatrici nella formazione dei consorzi della centrale di Belo Monte. Sempre secondo lo stesso quotidiano, Delfim “rigettò in maniera veemente” le accuse attraverso i suoi avvocati.

 

"L’accomodamento” delle imprese nell’opera di Belo Monte fu esplicita. Nel 2010, poco prima dell’asta della centrale, grandi imprese, come Camargo Correa e Odebrecht, desistirono immediatamente dalla disputa, adducendolo la mancanza di “condizioni economiche-finanziarie”. L’asta fu vinta da un gruppo di imprese di minor portata, con il nome di “Norte Energia”. Per simulare una concorrenza c’era un altro gruppo, del quale partecipava almeno una delle grandi, la Andrade Gutierrez. Questo gruppo fu sconfitto.

Avvennero due operazioni, in sequenza. In una di queste, le piccole imprese iniziarono a lasciare il consorzio vincitore, finché non raggiunse la composizione attuale della Norte Energia: principalmente aziende statali del settore, come Eletrobras e Eletronorte, e fondi pensione. Nell’altra operazione, la Norte Energia contrattò le grandi imprese perché eseguissero l’opera, così come le compagnie più piccole che avevano appena lasciato il consorzio. Il congiunto di imprese formò il terzo elemento, al di là dello Stato e della Norte Energia: il cosiddetto Consorzio Costruttore Belo Monte. È nella costruzione, come sappiamo, che sta il denaro.

 

Questa “ingegneria” non è una novità. Tutto ciò venne raccontato, in pochi lo trovarono degno almeno di stupore. Tutto ciò che importava era lo “sviluppo”. E per alcuni settori, il consolidamento della credenza che il PT, anche se associato alle vecchie oligarchie politiche, stesse continuando ad essere un partito di sinistra. E, così, senza ulteriori sorprese, con una scarsità di domande – da parte di tutti gli schieramenti e anche da parte dell’impresa -, Belo Monte fu costruita in gran parte con denaro pubblico, arrivato dal BNDES (Banca Nazionale dello Sviluppo Economico e Sociale). Ricordiamo che, tra l’asta per la centrale e l’inizio dei lavori, il valore stimato dell’opera passò da 19 a più di 30 miliardi di reais.

Le indagini sul supposto sistema di tangenti sono appena incominciate. La delazione è l’inizio, non la conclusione. Ma la violazione dei diritti umani e la distruzione ambientale che è venuta fuori da questo rapporto tra pubblico e privato sono, come già affermato, ampiamente documentate. Questa ingegneria era già ben conosciuta – e ricevette, bisogna sottolinearlo, un sostegno da parte del potere Giudiziario.

 

È una vergogna che solo a partire dalle "delazioni premiate" della Lava Jato si gridi allo scandalo, perché tutto ciò rivela molto bene che della vita dei più deboli poco importa. Non solo a questo governo, ma alla maggioranza della popolazione brasiliana, indipendentemente dallo schieramento o dal colore politico. E questo, mi piacerebbe farlo presente agli indignati contro la corruzione, è corruzione. La tua, non solo quella del governo.

"Indignarsi per Belo Monte

solo dopo il sospetto di tangenti

rivela che la maggioranza non si cura

della vita dei più vulnerabili"

Quando indigeni, abitanti del fiume e pescatori colpiti, così come gli abitanti dei bassipiani di Altamira, protestarono contro Belo Monte, questo governo schierò la Forza Nazionale dell'esercito per difendere la Norte Energia. Lider e movimenti sociali vennero criminalizzati. Migliaia di persone furono espulse dalle loro case e anche dalle isole dello Xingu, obbligate a rinunciare ai loro modi di vita, perdendo le proprie relazioni di comunità, le loro proprietà.

Questo governo ha lasciato queste popolazioni senza alcuna protezione giuridica per affrontare la sfilza di avvocati della Norte Energia. E, pertanto, senza alcuna chance di negoziare in termini minimamente accettabili la propria “rimozione forzata”.

 

Analfabeti hanno firmato con l’impronta i documenti che non erano in grado di leggere. Solo quando l’opera si avvicinava al completamento, all’inizio del 2015, un gruppo itinerante di Difensori Pubblici dell'Unione riuscì a vincere tutte le resistenze e a raggiungere Altamira.

 

Questa violenza fu subita da Otavio das Chagas, il pescatore senza fiume e senza lettere, da Raimunda, la cui casa è stata incendiata dalla Norte Energia, da João, che rimase paralizzato di voce e gambe nell’ufficio dell’impresa, e da Antonia Melo, che ha quasi perso il cuore prima di perdere la casa. Appena alcuni esempi le cui storie si possono leggere tra le migliaia di rifugiati del loro stesso paese creati dalla Belo Monte.

 

Perché si indignarono in così pochi? Chi denuncia un golpe contro la democrazia deve prima rispondere a questa domanda. Cosi come chi difende l’impeachmente di Dilma Rousseff.

 

Nel momento in cui Dom Erwin Kräutler, vescovo dello Xingu che da più di dieci anni è costretto a girare con la scorta della polizia per non essere assassinato a causa della sua lotta per la foresta, ha dichiarato che “Lula e Dilma sono traditori dell’Amazzonia”, non sarà che i settori della sinistra che hanno taciuto hanno concluso che Dom Erwin era al servizio della destra? E gli indignati per la corruzione, credono forse che il problema siano solo le supposte tangenti?

Rimozioni forzate di popolazioni indigene dello Xingu
Força Nacional reprime le proteste indigene

Guardiamo cosa è successo a coloro che Delfim Netto definì “una dozzina di indios cocorocò”.

La Norte Energia ha distribuito per due anni un contributo mensile di 30.000 reais sotto forma di merci varie alle comunità indigene colpite. Quello che i tecnici chiamarono il “maggior processo di cooptazione dei leader indigeni e destrutturazione sociale”. Le comunità si divisero, gli indigeni smisero di seminare i loro campi perché il cibo arrivava in lattine, anche popolazioni entrate in contatto con l’esterno da poco tempo iniziarono a consumare zucchero, frittelle e bibite gasate.

 

Invece di utilizzare le risorse nella riduzione e nella compensazione degli impatti causati dall’opera, il denaro fu impiegato per la distribuzione di "specchietti moderni", più di 500 anni dopo l’invasione degli europei, in piena democrazia. La denutrizione infantile nelle comunità indigene è aumentata del 127% tra il 2010 e il 2012, ma i piccoli indigeni denutriti ad opera di un’impresa finanziata dal denaro pubblico non sembrano commuovere i “cittadini perbene”. Nessuno ha battuto pentole in segno di protesta per loro. (ndt. il riferimento è ai "panelaços", versione brasiliana dei "cacerolazos" negli altri paesi dell'America Latina, manifestazioni di protesta molto rumorose che consistono nel battere pentole e coperchi che sono tornate molto in voga in Brasile negli ultimi mesi nelle proteste contro Dilma Rousseff e il suo governo)

Nessuno è andato a battere pentole

in segno di protesta per i contadini 

che hanno visto le proprie case distrutte 

né per i bambini indigeni denutriti

La logica vorrebbe che, nel momento in cui una delle maggiori opere del PAC affetta comunità indigene, il governo, come minimo, rinforzasse gli organi di protezione. Curiosamente, in questo periodo, la Fondazione Nazionale dell’Indio (FUNAI) svuotata: ad Altamira, i funzionari furono ridotti, passando da 60 a 23. I "caciques" (ndt. capi indigeni) cominciarono a negoziare direttamente con la Norte Energia, Belo Monte diventò una sorta di supermercato in cui i diritti venivano scambiati con delle televisioni.

Tutto questo è successo – e continua a succedere. Negli ultimi mesi, gli impatti causati dal riempimento del bacino della centrale hanno iniziato a farsi evidenti, tonnellate di pesci sono morti e le comunità indigene sono state assalite da un’invasione di zanzare. Le famiglie che vivono lungo il fiume, ancora più invisibili di quelle indigene, lottano affinché siano compiute azioni che permettano loro di recuperare il loro modo di vita, ma, allo stesso tempo, giorno dopo giorno, sentono che le loro chances di sopravvivenza si affievoliscono. Oggi, la situazione si è ulteriormente aggravata, con un’impresa che è già riuscita ad ottenere tutto ciò che desiderava e un governo che non governa.

 

Chi meglio di tutti ha spiegato l’anatomia di Belo Monte, in cui lo Stato e gli imprenditori si mescolano in maniera perversa, è stata Thais Santi, procuratrice della Repubblica ad Altamira. “Belo Monte è il caso perfetto per studiare il mondo in cui tutto è possibile. Hannah Arendt descriveva gli stati totalitari. Descrisse il mondo del genocidio ebraico. E io credo che sia possibile descrivere Belo Monte allo stesso modo”, ha affermato in un’intervista in questa rubrica. “Il sostegno di Belo Monte non è giuridico. E’ nel "fatto compiuto", che ogni giorno si compie di più. Il mondo dove tutto è possibile è un mondo che terrorizza, in cui il Diritto non pone limiti. Il mondo dove tutto è possibile è Belo Monte”.

I Procuratori della Repubblica di Pará hanno denunciato violazioni alla legge commesse nel processo di costruzione di Belo Monte in più di 20 diverse azioni penali. Alcuni di queste hanno ottenuto decisioni favorevoli in prima istanza, in seguito però smontate dai presidenti dei tribunali attraverso uno strumento autoritario chiamato “sospensione di sicurezza”Paventando un pericolo di possibili “gravi lesioni dell’ordine, della salute, e dell’economia pubblica”, il merito delle azioni non viene giudicato.

 

Ed è stato esattamente così che il governo di Dilma Rousseff è riuscito, con la compiacenza del potere Giudiziario, a garantire che la Norte Energia trasformasse Belo Monte in un fatto compiuto nel bel mezzo del fiume Xingu, sbarrando il fiume e ogni possibilità di opporsi alle illegalità nel processo di impianto della centrale idroelettrica. Quando le azioni legali contro Belo Monte finalmente saranno giudicate nel merito, la distruzione della foresta e delle vite umane e non umane si sarà già compiuta da molto tempo.

"L’ etnocidio degli indios

è stato denunciato alla Giustizia,

 ma non è entrato a far parte

dell'ordine del giorno delle manifestazioni"

Bambina Munduruku durante le proteste contro Belo Monte (foto: Lunae Parracho - Reuters)

Forse ciò che rivela più chiaramente l’ipocrisia che attraversa la società brasiliana è il procedimento che denuncia l’etnocidio degli indigeni. In 121 pagine, i procuratori rivelano passo dopo passo la distruzione culturale delle popolazioni indigene promossa dalla Norte Energia e dallo Stato, con la conseguente vulnerabilità fisica. E chiedono di riconoscere che il “processo di realizzazione della Centrale Idroelettrica di Belo Monte costituisce un’azione etnocida da parte dello Stato brasiliano, della concessionaria Norte Energia e della FUNAI”.

 

L’azione penale, presentata in Tribunale nel dicembre del 2015, è inedita nell'ambito della giustizia brasiliana, ma è stata ignorata dalla maggior parte della stampa. Le manifestazioni, da una parte e dall’altra, erano in corso, ma l’etnocidio indigeno non è mai entrato a far parte del loro ordine del giorno. Il fatto che Delfim Netto, come abbiamo visto, manifesti una gelida indifferenza nei confronti della vita e del destino di uomini, donne, e bambini indigeni, non stupisce più di tanto, visto che fu ministro di una dittatura che sterminò intere comunità indigene. Ma i brasiliani che vogliono “moralizzare” questo paese? E quelli che difendono “la democrazia, contro il golpe”?

Come si combatte la corruzione

dei tanti che sono restati in silenzio, 

a sinistra e a destra,

di fronte alla distruzione di vite

in tutti questi anni?

In questo momento, i rifugiati di Belo Monte sono lì, ad affrontare giorno dopo giorno una catastrofe umanitaria ignorata dal resto del paese. In un memorandum datato 7 aprile, la procuratrice Thais Santi avverte:

 

"Nella forma in cui si è svolto (e si svolge), il progetto di Belo Monte si materializza come un motore di eliminazione della vita umana nella Volta Grande del fiume Xingu”.

 

Chi trova la propria vita molto difficile, deve ricordarsi che tutto ciò che peggiora, peggiora molto più rapidamente per i più fragili. Ancora di più se il loro dolore è geograficamente lontano dal centro delle decisioni politiche ed economiche del paese.

Il sistema di tangenti di Belo Monte probabilmente sarà rivelato nella sua totalità dall'inchiesta Lava Jato. E il resto? Come si combatte la corruzione dei tanti che sono rimasti in silenzio in tutti questi anni? La corruzione dei cittadini, delle persone, questa corruzione intima? Come si combatte la corruzione che attraversa ogni schieramento di questo Brasile falsamente polarizzato? È questo il nodo che dobbiamo sciogliere. O, ancora una volta, tutto cambierà affinché nulla cambi.

 

Se Belo Monte non sarà affrontata, nella totalità di ciò che rappresenta, in tutto ciò che rivela sulle fratture storiche di questo paese, ben oltre le supposte tangenti, nessuna proposta potrà essere considerata seria. Non c’è modo di accusare solo l’avversario in questa storia. Questo è il lato scomodo. A nessuno fa piacere di sentirsi, in fondo, non così pulito, o che la sua parte politica, che crede la più giusta, non lo sia poi così tanto. Belo Monte è ineludibile, in ogni manifesto o manifestazione, di qualunque parte politica e al di là delle parti.

 

 

Ridurre la tragedia di Belo Monte a un problema di tangenti è anche questa un modo per eluderla. E probabilmente è quello che succederà. Perché il marciume del Brasile si osserva anche nel fatto che le tangenti causano commozione e rivolta, ma la distruzione delle vite degli indigeni, degli abitanti del fiume e dei poveri urbani, così come del fiume e della foresta, si è dimostrata, nella pratica, perfettamente accettabile lungo tutti questi anni.

 

La più grande denuncia sta proprio nel fatto che Belo Monte si trasforma in denuncia solo nel momento in cui appare un sistema di tangenti che, se confermato, può colpire l’ultima campagna presidenziale. Ed è qui che si rivela ciò che ha valore. E quanto l’indignazione è selettiva e dipende dai fini. Se concordiamo che è questo il valore da attribuire a Belo Monte, in nome dei molti che hanno visto le proprie vite annichilite per permettere agli ingranaggi di continuare a muoversi, non saremo diversi da coloro che accusiamo. Se non ci sarà un cambiamento nei confronti di ciò che consideriamo valore, non ci sarà alcun cambiamento.

Così come difendo, articolo dopo articolo, che collocarsi al di fuori di un Brasile falsamente polarizzato è una posizione. Non la rifuggo. La cosa più difficile in questo momento del Brasile è affrontare le contraddizioni – e resistere alla tentazione di girarci intorno.

 

Sarebbe molto più facile se ci fosse un lato del bene e uno del male. Ma non ci sono. Ogni posizione è spinosa, è un sedile di chiodi. Il chiodo più grande, praticamente una lancia, è Belo Monte, anche se molti continuano a rifiutarsi di vederlo. Belo Monte è la versione più completa delle contraddizioni dei governi Lula-Dilma e al tempo stesso del paese, per questo è ineludibile in questo momento. È là, migliaia di tonnellate di cemento e acciaio sul fiume Xingu che raccontano una storia terribile. Per questo, è difficile. Ma l’unica posizione onesta che si può assumere è quella di affontare le contraddizioni.

 

La mia posizione continua ad essere contro l’impeachment, finché non ci sarà una base legale per l’impeachment, conforme a ciò che è previsto nella Costituzione. E fino ad ora non c’è. È una piccola ironia personale ma, come cittadina, ho il dovere di difendere il voto di tutti coloro che ignorano ciò che è stato rivelato su Belo Monte. E per questo, o per aver deliberatamente ignorato il fatto o per averlo considerato di poca importanza, hanno eletto questa presidente e questo progetto per l’Amazzonia.

 

Difendere il voto della maggioranza non è una scelta, è un obbligo. Difendo il mantenimento dello Stato di Diritto perché ho difeso il mantenimento dello Stato di Diritto che i governi di Lula e di Dilma Rousseff hanno infranto per materializzare Belo Monte.

 

Belo Monte è ineludibile. La storia lo mostrerà. Che venga il tempo.

Bambina indigena nuota nello Xingu
Eliane Brum

Eliane Brum

 

è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.

Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.

Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).

 

Site: elianebrum.com | Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum

 

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Gli indios ed il golpe alla Costituzione

19.04.15

Gli indios e il golpe alla Costituzione

di Eliane Brum

Gli indios occuperanno Brasília questa settimana.

Scrivendo la parola “indio”, perdo una parte dei miei lettori. È un’associazione immediata: “Indio? Non mi interessa. L’indio è lontano, è seccante, non merita rispetto”. E subito, click fatale, pagina seguente. Bene, per chi sta ancora qui, un’informazione: più di mille leader indigeni occupano Brasilia dal 13 al 16 aprile in nome dei loro diritti, ma anche dei diritti di tutti i brasiliani. C’è un golpe contro la Costituzione in corso al Congresso Nazionale. Perché si consumi, ciò che è necessario è esattamente il tuo disinteresse(...)

La battaglia per la frontiera Munduruku

17.01.15

La battaglia per la frontiera Munduruku

Ottimo reportage dell'Agenzia di giornalismo investigativo "Pública". Gli indigeni proclamano l’auto-demarcazione della terra che può fermare la diga di São Luiz do Tapajós, il nuovo progetto di punta del governo federale. Posta su suolo sacro, l’area verrebbe allagata dalla diga.  "Noi non ce ne andiamo!", dice il cacique (il capo indigeno). 

Anti Auto Aiuto per il 2015

30.03.15

"Anti auto-aiuto per il 2015" 

di Eliane Brum

In difesa del malessere per salvarci da una vita morta e da un pianeta ostile. È ora di smettere di vivere in “modalità aereo”. Un articolo tutto da leggere e su cui riflettere, di una delle più brillanti e autorevoli "penne" brasiliane, la giornalista, scrittrice e documentarista Eliane Brum, scritto alla vigilia dell'ultimo Capodanno.

Come strappare la Costituzione e massacrare gli indios secondo il governo Dilma Rousseff

17.01.15

Come strappare la Costituzione e massacrare gli indios secondo il governo Dilma Rousseff

di Eliane Brum

"Il governo più nocivo per i popoli indigeni e per l'Amazzonia fin dall'epoca della dittatura militare, comincia a scrivere un altro capitolo vergognoso della sua storia." Un articolo di Eliane Brum sulla costruzione delle nuove centrali idroelettriche sul Rio Tapajos in terra indigena Munduruku. 

Tre leader indigeni assassinati in una settimana

10.05.15

Eusébio Ka'apor, Adenilson Tupinambá e Gilmar Tumbalalá. Tre leader indigeni assassinati in una settimana

Gli omicidi di tre leader indigeni ngli stati del Maranhão e di Bahia, nel breve spazio di otto giorni, sarebbero correlati tra di loro. Il sospetto che si tratti di omicidi sequenziali e mirati è stato sollevato dal CIMI (Consiglio Missionario Indigeno), un'entità legata alla Confederaz. Nazionale dei Vescovi (CNBB).

Il presidente del Consiglio Missionario Indigeno (CIMI), Dom Erwin Kräutler, vescovo di Xingu, mette sotto accusa il governo brasiliano per la situazione delle popolazioni indigene e quilombolas, trattate come "stranieri e invasori di proprietà" e ne denuncia l'alleanza con le grandi imprese private dell'Agribusiness. Intanto continuano a crescere il clima d'odio e le violenze contro i popoli indigeni...

I candidati alla presidenza, Dilma e Aécio, legati agli interessi dei grandi latifondisti, non hanno voluto incontrare gli indios.

25.10.14

Popolazioni indigene già sconfitte alle elezioni

I candidati alla presidenza brasiliana Dilma Rousseff e Aécio Neves legati agli interessi dell'agrobusiness rifiutano il confronto con i popoli indigeni.

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