22.02.16
Su aborto, disabilità e limiti
La possibile relazione tra zika virus e microcefalia ha costretto il Brasile ad affrontare i suoi tabù
di Eliane Brum*, pubblicato su El Pais il 15.02.16
traduzione di Clelia Pinto e Carlinho Utopia
Una malattia non è mai solo una malattia.
Ci racconta di disuguaglianze e fallimenti e anche di passioni. Lo zika virus, da quando è stato associato alla microcefalia, ha rivoltato le profondità del pantano in cui la società brasiliana nasconde i suoi preconcetti e totalitarismi, molte volte portandoli in superficie coperti da una maschera di virtù.
È su questo argomento scottante il dibattito sul permesso all’aborto in caso di microcefalia. Di fronte alla crisi sanitaria rivelata dall’ Aedes brasilis, nome molto opportunamente dato alla zanzara, il prossimo futuro dipende da quel che siamo capaci di pensare, anche se questo significa scottarsi le mani.
Pensare e parlare, il che implica mettersi nei panni dell’altro prima di ripetere vecchi cliché usati come scudi contro i cambiamenti. Se non siamo capaci di superare il comportamento da ultrà neanche di fronte a un’epidemia considerata “emergenza globale”, la zanzara è il minore dei nostri problemi.
L'aborto
In Brasile l’aborto è consentito solo in caso di stupro, rischio di morte della gestante e anencefalia del feto. In quest’ultimo caso, l’autorizzazione risale al 2012, grazie al Supremo Tribunale Federale che l’ha riconosciuta come condizione incompatibile con la vita. È prevalsa la tesi che in quel caso non ci fosse una vita da proteggere e quindi obbligare una donna a portare avanti una gravidanza che si sarebbe conclusa con una bara anziché con una culla significava lederne la dignità e sottoporla a tortura. Le donne in grado di trovare un senso nel completare la gravidanza di un feto anencefalico, ovviamente, la completano, con i loro diritti garantiti.
Questo è un punto importante: il rispetto al diritto di scelta di ogni donna, a partire delle sue condizioni concrete e soggettive, dalla tela di significati costruita da ognuna per muoversi nel mondo. Quando l’aborto è permesso, in nessun momento questa autorizzazione toglie a qualsiasi donna il diritto di non farlo. Quel che succede è un ampliamento dei diritti e non un restringimento. Chi intende l’aborto come coerente con la propria vita, lo fa. Chi non lo intende come tale, non lo fa. Devo informare il lettore che ho partecipato attivamente al dibattito sull’aborto del feto anencefalico. Come giornalista, affrontando l’argomento e in un documentario chiamato "Uma História Severina", in cui è narrata la lotta per l’autorizzazione giudiziaria negata a una donna del nord-est, povera e analfabeta, per interrompere la gestazione di un feto anencefalico.
Sebbene in Brasile l’aborto sia legalmente consentito in tre casi, la pratica è completamente altra. E capire questo è fondamentale per qualsiasi dibattito onesto. Nella vita quotidiana, l’aborto è consentito a chi può pagarlo. Se una donna di classe media o alta resta incinta e per diversi motivi questa gravidanza è indesiderata, va in una clinica privata, paga tra i 5 e i 15 mila reais e interrompe la gravidanza con considerevole sicurezza. I suoi dilemmi sono personali, interni, visto che la decisione di abortire è generalmente difficile, anche quando c’è la convinzione personale che non sia possibile portare avanti quella gravidanza. Ma questa donna non deve temere di essere arrestata, molto meno di morire per un aborto mal riuscito. Questo quasi certamente non le succederà.
Alle donne povere, si. Per loro abortire significa correre il rischio di essere arrestata come una criminale e rischiare di morire. Poiché una clinica sicura, con buone condizioni sanitarie e professionisti preparati, costa tra sei e diciassette salari minimi, potrà solo rischiare percorsi molto insicuri. Ogni anno 200.000 donne si rivolgono al sistema sanitario nazionale per complicazioni post-aborto, la maggior parte volontari. Secondo l’OMS sono realizzati più di un milione di aborti clandestini in Brasile. L’aborto è la quinta causa di mortalità materna in Brasile.
In Brasile l’aborto è libero e sicuro
per chi può pagarlo
e criminalizzato e mortale
per chi non può
I numeri di visite del Sistema Sanitario Nazionale per complicazioni post-aborto provano che decine di migliaia di donne povere erano così disperate da rischiare di essere arrestate o anche di morire. E anche così, hanno creduto che questo rischio fosse minore che portare avanti la gravidanza. Qui bisogna interrompere il testo per un paragrafo al fine di metterci nella pelle di questa donna. E bisogna far questo al di là dell’odio contro le donne, radicato nella società brasiliana. È necessario pensare e non odiare, che è molto più facile.
Chi rischia di essere arrestata o di morire sta rischiando molto. Sta rischiando tutto. Così, è possibile concordare, almeno, che i fatti dimostrano che l’aborto non è un atto banale per queste donne ma una necessità profonda, mossa da condizioni oggettive e soggettive che solo loro conoscono intimamente. Allora, attenzione prima di puntare il dito: nessuna di loro abortisce senza un motivo forte. E questo deve essere ascoltato da qualsiasi società che voglia essere orientata dall’etica.
Ascoltare e dibattere. Quelli che non vogliono dibattere sull’aborto in Brasile devono ammettere di non importarsi della prigione e della morte di donne giovani e povere, in maggioranza nere, visto che sono questi i fatti. Devono anche ammettere di non ritenere importante che l’accesso all’aborto riproduca la diseguaglianza razziale e sociale in Brasile, essendo accessibile e sicuro per chi può e criminalizzato e mortale per chi non può. Chi se ne importa, dibatte sui fatti. E ascolta la posizione dell’altro, anche se molto diversa dalla sua. Vivere è muoversi.
E qui, vale la pena sottolineare, stiamo parlando solo del peggio. Anche nel caso in cui l’aborto non ha complicazioni, è possibile immaginare il livello di paura che una donna affronta rischiando di farlo in condizioni terribili e senza alcuna protezione. È un incubo, ed è un incubo che proprio ora, in questo preciso istante, viene vissuto da una donna in una situazione di estrema fragilità. Mi sembra impossibile che si possa vivere ignorando le donne che soffrono. Ma è così che la società brasiliana ha vissuto.
L’aborto, solitamente, viene alla ribalta del dibattito pubblico in quanto moneta elettorale. In cerca del voto religioso, candidati di destra e di sinistra si sono esibiti in omissioni o ricatti sulla vita delle donne. Questa è un’altra evidenza della lacerazione della politica tradizionale, che si è mostrata capace di svendere qualsiasi principio: prima per vincere le elezioni, poi in nome di questa indecenza cui si è dato il nome di “governabilità”.
Quando lo zika virus provoca un dibattito sull’aborto è necessario che tutti ci sforziamo per qualificarlo. Di fronte a uno scenario drammatico, il miglior cammino è fare della crisi un’opportunità per fare diventare il Brasile un paese più giusto.
La disabilità
Nel dibattito sull’interruzione di gravidanza nel caso di un feto anencefalico, un certo tipo di religiosi che non si fanno scrupolo di mentire, usava il falso argomento che la proposta significasse “abortire i disabili”. Un colpo molto basso - e molto irrispettoso. Non è mai stato provato che un anencefalo possa vivere in questo mondo. E qualora dovesse vivere più di alcuni giorni o mesi, e anche questo avviene in rarissimi casi, non si tratterebbe più di un anencefalo ma di una persona con un'altra malformazione, compatibile con la vita. Ma su internet lo si definiva anencefalo. Come si sa, la bugia presentata come verità, ancor più se accompagnata da un’immagine, è un forte strumento di manipolazione delle menti che preferiscono aderire piuttosto che pensare.
In caso di microcefalia sì, sono bambini con un handicap. La malformazione cerebrale può provocare diversi livelli di problemi, dai meno ai più gravi. E sì, queste persone hanno vita. Il fatto di avere delle difficoltà fisiche o mentali non rende questa vita meno significativa. È qui che la società brasiliana sbaglia miserabilmente.
Tra tutti i discriminati di questo mondo spesso così sordido in cui viviamo, le persone con disabilità sono tra le più violentate. Cosa puo' esserci di peggio che essere decodificato come "una vita indesiserata"? Cosa puo' esserci di più spaventoso di essere quello che "è andata male"? Cosa puo' esserci di più opprimente di "qualcuno che non dovrebbe esistere"?
È davvero brutale. Ed è anche una grande stupidità. Questa stupidità purtroppo persiste in tutte le sfere, governo incluso. Soltanto l’ignoranza può spiegare che un ministro della salute, come nel caso di Marcelo Castro (PMDB), si riferisca alla nascita di persone con microcefalia come di una “generazione di menomati”. Quando viene diffusa da chi decide sulla politica pubblica della salute, l’ignoranza è criminale.
Perché si tratta di stupidità? Perché quel che ognuno fa con la sua vita - e con i suoi limiti - è totalmente soggettivo. Nessuno può dire, per via delle deficienze fisiche o mentali di qualcuno, che questa persona non potrà avere una vita piena, con significati che costruirà e ricostruirà a partire dalle sue possibilità. Quando persone con disabilità provocate dalle più svariate cause assumo un ruolo da protagoniste nel mondo diventano storie esemplari di superamento, si trasformano in libri e film, vincono premi e vengono omaggiate, diventano nomi di strade e istituzioni. Chiunque può ricordare vari esempi in soli cinque minuti. Ma tutte le altre persone disabili sono massacrate come ostacoli, come indesiderate. I “menomati“, come ha detto il ministro.
Chi non ha dei limiti a questo mondo? Solo le persone delle campagne pubblicitarie di “una vita senza limiti”, uno degli slogan più cretini mai inventati. La questione è che i disabili non hanno solo dei limiti, hanno anche barriere fisiche e sociali. Dalla mancanza di accesso ai palazzi per chi usa la sedia a rotelle, per fare un esempio ovvio, fino al muro molto più difficile da oltrepassare, che è lo sguardo dell’altro, nel vederlo come una “vita indesiderata”, un sub-umano.
L’unica deformità insuperabile
è quella di una società che
anziché abbattere barriere le erge
Vale la pena leggersi cosa dice la Convenzione Internazionale sui Diritti dei Disabili:
“I disabili sono persone che hanno un impedimento a lungo termine di natura fisica, mentale, intellettuale o sensoriale, che, nell’interazione con diverse barriere, possono ostacolarne la partecipazione piena e effettiva nella società rispetto alla maggioranza delle persone”.
La vita di qualcuno, quindi, non è determinata dalla disabilità. Ma invece dall’incontro di questo corpo con la cultura. L’unica deformazione insuperabile è quella di una società che anziché abbattere barriere le erge.
Una delle barriere più abominevoli è proprio quella della scuola, quella che dovrebbe allargare gli orizzonti dei bambini attraverso il processo emancipatorio dell'educazione. Proprio in questi giorni il Supremo Tribunale Federale sta esaminando l'azione mossa dalla CONFENEN (Confederazione Nazionale degli Istituti Scolastici) per impedire alcuni effetti della Legge Brasiliana sull'Inclusione (LBI). Le scuole private vogliono liberarsi dell'obbligo di assicurare l'insegnamento agli studenti con disabilità.
Come ha scritto Lucio Carvalho, attivista e editore del sito "Inclusive", è un “No” al massimo volume:
“Quel che molte persone sentono, percepiscono, interpretano o identificano in un’azione così, con obiettivi tanto chiari e espliciti, è un rotondo NO sociale. Un enorme NO. Un NO senza metafore. Un NON è qui il tuo posto. Un NON pensare che tuo figlio o figlia sia adatto a questo mondo. Un NO sonoro che si può ramificare in: NON abbiamo posti, NON abbiamo preparazione, NON abbiamo fondi, NON abbiamo accessibilità, NON vogliamo saperne, NON abbiamo il minimo interesse a uscire da questa posizione, NO questo e quello. E un’altra serie di NO che si ripercuotono sull’individualità, anche se in molte altre forme."
Carvalho aggiunge:
“Oltre alla scuola, il preconcetto contro la disabilità si esprime in molti altri modi: nell’isolamento imposto da una vita sociale molte volte reso difficoltoso; nell’invisibilità delle persone che si vedono poco rappresentate e riconosciute nei prodotti culturali e nei mass media; nello accesso al lavoro, per esempio, quando sono comunemente viste come persone di inferiori capacità e la loro presenza è tollerata molte volte solo per obbligo legale e formale."
Le scuole sono state una delle
barriere più abominevoli
al pieno accesso alla cittadinanza
delle persone con disabilità
La maggioranza delle persone preferisce non pensare mai a cosa significhi avere un handicap e non potere avere una vita degna, una vita con inventiva e con significati, non a causa di un “limite” del corpo ma per la deformazione dei “normali”. Non è che la società non faccia pressione per l’abbattimento delle barriere fisiche e sociali o per la promozione di politiche pubbliche di inclusione, che garantiscano l’accesso alla cittadinanza ai disabili. È molto peggio di questo. Come si vede nell’azione mossa dalla CONFENEN, la società vuole abbattere poco per volta i diritti che si sono riusciti a ottenere fino a ora. Quando si pensa che si tratta di scuole a muovere un’azione come questa, la disperazione cresce ulteriormente. Ma questo è solo un caso tra gli altri. Ci sono muri nello sguardo della maggioranza delle persone.
A volte, raramente, emerge delicatezza in questi momenti brutali. Come la madre di un alunno che è andata nella scuola privata del figlio a ringraziare per aver inserito in classe un bambino disabile. Ha detto: "Mio figlio è migliorato tanto convivendo con questo ragazzo, che sono venuta a ringraziarvi. Sono io, come madre, che devo ringraziare la madre di questo bambino, per tutto quel che ha dato alla nostra famiglia iscrivendo suo figlio in questa scuola. Mio figlio ne ha guadagnato molto di più del suo, di sicuro". È un ribaltamento che colloca le cose al loro posto. Un ribaltamento che mostra che ribaltato era quel che c’era prima.
Racconto ancora un’altra storia reale, possibile solo grazie al diritto di inclusione nella scuola. Due ragazzi avevano studiato insieme per tre anni. A uno dei due era stato diagnosticato l'autismo. Quando si avvicinò la fase della pubertà, a undici anni, l'altro bambino chiese alla madre perché il suo compagno fosse tanto agitato. La madre rispose: “Immagina cosa significa non avere le condizioni di capire che questi cambiamenti che stanno avvenendo nel tuo corpo ti fanno comunque essere la stessa persona. Ogni giorno ti svegli con l'angoscia di non essere più lo stesso”. Il ragazzino allora rispose: “Ho capito. È come se il suo corpo fosse una saponetta che la mano bagnata, che è la sua testa, non riesce a trattenere”.
Questo è il vivere insieme e imparare dalle differenze. Questa è l’educazione, quella che insegna a muoverti per comprendere un’esperienza diversa di stare al mondo.
La persona che si arrischia a fare un’esperienza non è quella che “tollera” l’altro, il disabile, come fosse magnanima perché tollera, come fosse un’enorme concessione espressa in condiscendenza. Come succede a tanti che considerano sia già una grande cosa salutare con un sorriso la persona disabile che lavora nello stesso posto per obbligo di legge. O quando si lamentano perché il disabile non è simpatico, visto che dovrebbe essere eternamente grato e sottomesso perché gli hanno concesso un posto, anche se in un angolo. Chi porta il mondo a fare un passo avanti sono quelli che capiscono che l’esperienza di vivere si amplia convivendo con le differenze. Che vedono diversità e ricchezza dove gli altri vedono inferiorità e fallimento.
Le donne povere sono quelle che più hanno sofferto
nell’includere un bambino disabile
in un sistema di salute pubblico precario
e in una società che discriminerà i suoi figli in tutti gli spazi
Così, i bambini che nasceranno con microcefalia provocata dallo zika, una relazione che non è ancora totalmente chiarita, non sono condannati a una vita senza vita. Ma possono essere condannati a una vita molto meno autonoma, con molta meno cittadinanza, molto più restrittiva per via delle barriere sociali che avrebbero già dovuto essere abbattute e non lo sono state. Sono vittime, in questo caso, di due mancanze: quella delle politiche sanitarie, che hanno permesso la proliferazione della zanzara, e quella delle politiche di inclusione.
Anche in questo caso, come succede con l’aborto, sono i più poveri coloro che soffrono maggiormente le conseguenze della precarietà delle politiche pubbliche, così come gli effetti della discriminazione che permette la disuguaglianza dei diritti. E i più poveri in Brasile, come si sa, sono in maggioranza neri. La maggior parte di casi di microcefalia si trovano tra donne povere del Nordest, e sono loro che soffriranno di più per l’epopea che sarà includere un bambino disabile in un sistema di salute precario e in una società che discriminerà i suoi figli in tutti gli spazi e opportunità.
Quando lo zika virus provoca un dibattito sulla disabilità, è fondamentale che tutti noi facciamo lo sforzo di renderlo qualificato. Davanti a uno scenario drammatico, il miglior cammino è fare della crisi un’opportunità per rendere più giusto il paese.
È possibile unire aborto e disabilità?
È in corso di discussione al Supremo Tribunale Federale una proposta che mira a garantire, tra le altre misure, il permesso ad abortire in caso di microcefalia e, allo stesso tempo, la dignità dei bambini disabili che nasceranno da queste gravidanze. L’idea è garantire diritti: tanto quelli delle donne che vogliono interrompere la gravidanza di un feto con questa malformazione, quanto quello delle donne che vogliono portare a termine questa gravidanza, con la garanzia che i loro figli avranno accesso a trattamenti e politiche di inclusione assicurate. Si tratta, quindi, di un ampliamento dei diritti e non di un restringimento. E anche di rispetto verso scelte diverse.
La proposta è sostenuta da un gruppo che nel 2004 sostenne al Supremo Tribunale Federale l'introduzione dell’interruzione di gravidanza in caso di feto anencefalico, gruppo di cui fa parte l’ONG ANIS - Istituto di Bioetica. L’OMS già si è espressa in difesa della depenalizzazione dell’aborto nei casi di microcefalia.
In un reportage pubblicato sul quotidiano Folha di S.Paulo, la giornalista Claudia Collucci ha mostrato che di fronte alla possibilità di avere un figlio con microcefalia molte donne hanno già iniziato a abortire, anche qundo le gravidanze erano state pianificate. Siccome la microcefalia viene diagnosticata solo intorno al terzo mese di gravidanza, l'interruzione è stata fatta come "prevenzione", visto che non vi è la certezza che si verificherà la malformazione. Sono già stati segnalati casi di uomini che abbandonano le loro compagne dopo la nascita di bambini con microcefalia.
La questione della disuguaglianza si dimostra nuovamente determinante: in pratica, chi non ha il diritto di interrompere la gravidanza in questi casi sono proprio le donne più povere, che non possono pagare per un aborto in cliniche sicure. Sono anche quelle che si trovano davanti le maggiori barriere nell'allevare un figlio disabile, in uno stato che viene meno alla garanzia dell'accesso alla sanità e al pieno accesso alla cittadinanza. È imperativo discutere l’aborto con la serietà che merita un tema di salute pubblica.
Non ci sono risposte facili.
Riesco solo ad affrontare
la complessità del dibattito
con molti dubbi
Come sempre succede davanti alla parola “aborto”, però, non appena l’azione è stata annunciata dalla stampa si sono sollevati pugni e affilate le armi. Mi interesso delle urla che esprimono dolore, non per quelle programmate per zittire la voce dell’altro. Non penso che questo sia un dibattito con risposte facili. Bisogna affrontarne la complessità. E ci riesco solo con dubbi.
Il mio fastidio per la proposta di permettere l’aborto alle donne durante la gestazione di figli con microcefalia è dato dalla relazione stabilita con la disabilità. Penso che le donne incinta di feti con microcefalia devono poter abortire, se così vogliono, perché hanno diritto di decidere del loro corpo e non perché l’aborto è giustificato dalla nascita di un bambino con una disabilità, anche se questa situazione è stata provocata da una negligenza dello stato. Avere o non avere un figlio è una decisione individuale, intima, di ogni donna. Allo stato tocca garantire che la sua scelta sia protetta in ogni caso.
Quel che complica il dibattito in corso, però, è che il tema dell’aborto è ancora un tabù nella società brasiliana.
Quindi, la mossa strategica possibile sarebbe lottare per garantire almeno che queste donne povere, che vogliono interrompere la gravidanza per via della microcefalia, possano farlo in sicurezza, contando sulla sanità pubblica. Senza correre il rischio, quindi, di essere arrestate o anche di morire. Questa idea guadagna legittimità per la necessità di fare i conti con il mondo reale. Se non è ancora possibile garantire l’ampio diritto delle donne sui loro corpi, come assicurato invece in vari paesi, in generale i più sviluppati, per lo meno si riuscirebbe a ridurre la disuguaglianza e l’ingiustizia proteggendo le più fragili in questo caso specifico. Lottare puntualmente per ciò che è possibile, visto che ciò che è giusto rimane distante.
Ha molto senso. Ma, anche così, ho dei dubbi. Temo che l’idea dell’aborto autorizzato perché il feto presenta microcefalia possa avere conseguenze pericolose. Perché, anche se in nome di una causa giusta, proteggere la scelta delle donne più povere, inevitabilmente rinforza la credenza che una vita con disabilità sia indesiderata o condannata al fallimento. E qualsiasi possibilità di rafforzare questo preconcetto tanto radicato, con conseguenze tanto terribili sulla vita di milioni di persone, è un rischio troppo grande. E un rischio con ripercussioni le cui dimensioni non possiamo prevedere. C’è un effetto di questo discorso che ricade su chi è nato disabile e vive in questo mondo.
In questo senso, è indicativa una discussione svoltasi a San Paolo, durante un incontro informale tra attivisti per i diritti umani, in cui la proposta è stata oggetto di un dibattito infuocato. Uno degli attivisti sosteneva che, su un assunto tabù come l’aborto, fosse necessario procedere a piccoli passi, fino a ad ottenere che le donne conquistino finalmente il rispetto dei loro diritti riproduttivi e l’autonomia sui loro corpi. Per questo difendeva la proposta. Dopo tutto, l’aborto è responsabile della morte di donne giovani e in maggioranza povere. Un’altra attivista ha ribattuto: “Ma questo è lo stesso principio di "governabilità" in nome del quale sono state compiute tante assurdità. È giustificare concessioni inaccettabili in nome di un bene che si suppone maggiore. Ma non avanziamo e non garantiamo diritti quando la discussione sull’aborto ruota intorno alla disabilità. L’aborto è un diritto della donna, non può essere legato al giudizio pubblico su quale vita vale la pena che esista e quale no”.
Non ci sono davvero risposte facili in una situazione di tanto dolore. Ma, anche per questo, bisogna misurarsi nel dibattito, affinché esso possa portarci più lontano, in un momento così cruciale.
Ed io lo faccio con un pensiero che mi costa molto. Difendo attivamente l’autonomia delle donne sui loro uteri. Difendo, quindi, il diritto ampio all’aborto. I motivi di ognuna per farlo appartengono a ognuna. Non ritengo che lo stato o la società possano interrogarle su ragioni intime, ma solo garantire che le loro scelte vengano assicurate nella sfera pubblica. Punto. Ma l’argomento pubblico del diritto all’aborto perché da questa gravidanza nascerà un bambino disabile per me è un limite. Un limite che scelgo di non oltrepassare.
17.01.16
Lo Zika virus smaschera le disuguaglianze e l'indifferenza del Brasile
di Eliane Brum*, pubblicato il 16.02.16 su The Guardian
Un essere malvagio e silenzioso lungo meno di un centimetro è oggi il più grande "delatore" in Brasile.
La zanzara Aedes aegypti non è solo un vettore del virus Zika, ma sta anche attirando l'attenzione su patologie croniche che non sono ancora state sconfitte da una delle 10 più grandi economie del mondo.
L'Aedes sta smascherando un paese caratterizzato da enormi disuguaglianze, un fragile sistema sanitario pubblico e da una vergognosa mancanza di servizi igienici di base, in cui meno della metà della popolazione ha accesso a sistemi fognari. Questa zanzara ci mostra anche una società contaminata da una morale religiosa che opprime le donne.
Nel 2015 "delatore" è diventata una delle parole più frequentemente pronunciate dai brasiliani. Gli arresti nell'ambito della cosiddetta operazione Lava Jato (Autolavaggio), l'inchiesta sul giro di tangenti tra grandi imprenditori e governo, sembrava dettare il corso degli eventi nel paese.
Ogni nuova rivelazione sposta gli equilibri del gioco di potere. Tanto è stato detto circa l'impeachment della presidente Dilma Rousseff, ora meno probabile rispetto allo scorso anno, e al pantano economico del paese, ma è un insetto dalle lunghe zampe, attualmente, la notizia da prima pagina in Brasile.
Dal momento in cui il probabile, ma ancora non ancora provato, collegamento tra il virus Zika contratto in gravidanza e la microcefalia nei bambini è stato stabilito, questa zanzara si è insinuata nelle notizie e nella coscienza pubblica. Così è stato anche durante il recente carnevale, una festa che rimane solitamente inviolata dalle cattive notizie e durante la quale i brasiliani preferiscono fare satira e ridere dei problemi che li fanno piangere per tutto il resto dell'anno.
Le Olimpiadi, che, come la Coppa del Mondo 2014, si auspicava potessero costituire il coronamento simbolico del momento in cui il Brasile cessava di essere il paese del futuro diventando una storia di successo di oggi, sono state le prime contagiate dalla crisi politica ed economica. Ora i Giochi Olimpici sono perseguitati da una creatura alata che ancora una volta ci avverte che il passato non è stato lasciato alle spalle. Ora si cominciano a nutrire dei dubbi sul fatto che l'ondata di circa 400.000 turisti si materializzerà.
Che genere di paese può essere denunciato da una zanzara? Per cominciare, è un paese in cui Arthur Chioro, un medico esperto nel settore della salute pubblica, è stato rimosso dal ministero della sanità proprio nel momento in cui il ministero aveva più bisogno di essere guidato da un medico esperto in salute pubblica. A quel tempo, lo scorso settembre, l'epidemia di dengue, causata anch'essa dalla Aedes aegypti, stava raggiungendo proporzioni tragiche: nel 2015 ci sono stati oltre 1,6 milioni di casi probabili e il numero di decessi correlati è aumentato di oltre l'80%.
In un contesto di tal genere, la presidente ha consegnato il controllo del dipartimento di salute - il ministero con il più grande portafoglio - a un politico del PMDB (Partito del Movimento Democratico Brasiliano), che la Rousseff aveva bisogno di placare per poter far passare alcuni disegni di legge al Congresso e allontanare la minaccia di impeachment. Il mercanteggiamento politico ha così portato a rimpiazzare uno specialista in salute pubblica con lo psichiatra e politico in carriera Marcelo Castro.
Di fronte al collegamento tra Zika e microcefalia, il nuovo segretario della salute se n'è uscito con una serie di dichiarazioni bizzarre. Castro ha dichiarato che "il sesso è per i dilettanti, la gravidanza per i professionisti". Ha detto che le donne si proteggono meno degli uomini dalle zanzare "perché espongono le loro gambe". Ha affermato che "Spero che le donne si prendano lo Zika" prima di raggiungere l'età fertile, così "in questo modo resteranno immunizzate" e non avranno bisogno di un vaccino. Ma forse la più tremenda di tutte le sue dichiarazioni è stato la seguente allerta: che l'epidemia può dar luogo a "una generazione di handicappati in Brasile".
La zanzara Aedes ha proliferato in Brasile a causa della negligenza dello stato: un sistema fognario inadeguato, pessima gestione dei rifiuti, sviluppo urbano precario e le difficoltà che deve affrontare una parte della popolazione per aver accesso all'acqua potabile, rendendone necessario lo stoccaggio in cisterne.
La distribuzione del numero di casi sospetti di microcefalia legata al virus Zika, secondo l'Associazione Brasiliana di Salute Pubblica, dimostra che ad essere colpiti sono i soggetti più poveri della società, che vivono in condizioni socio-ambientali drammatiche.
La qualità della risposta all'epidemia di Zika e ad un eventuale generazione di persone con microcefalia, determineranno il futuro prossimo del Brasile. Potrebbe essere un'opportunità per affrontare i problemi cronici per i quali sono sempre state rinviate le soluzioni. Il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, con effettive politiche e procedure pubbliche, è il modo più efficace per sradicare le zone di riproduzione delle zanzare.
Il discorso ufficiale, tuttavia, rende il singolo cittadino responsabile del contenimento di un'epidemia che ha assunto queste proporzioni solo perché le autorità hanno dimostrato di non essere in grado di affrontare andando oltre le misure palliative. Sabato scorso, il governo ha promosso una "giornata nazionale di lotta contro l'Aedes aegypti", un'operazione di alto profilo che ha coinvolto più di 200.000 soldati nell'ispezione delle case. Dilma Rousseff si è presentata in pubblico indossando una maglietta con lo slogan: "Una zanzara non è più forte di un intero paese."
L'operazione ha catturato molta attenzione da parte dei media. Ma credere che sia possibile combattere questa zanzara, soprattutto sollecitando la popolazione a usare repellenti e indossando pantaloni e camicie a maniche lunghe, o dare la colpa al cittadino che lascia una piccola pentola d'acqua in un angolo della sua casa, è irresponsabile. La sfida più grande non consiste nello sconfiggere il "delatore", ma nel cambiare la struttura che gli consente di esistere.
La zanzara non è solo "delatrice" in Brasile, ma sta anche falsando le priorità del mondo. La malaria, la tubercolosi e la malattia di Chagas non diventano una "emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale", come l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato essere il virus Zika.
Il fattore decisivo - come sottolineato da Deisy Ventura dell'Istituto di Relazioni Internazionali dell'Università di San Paolo, che studia le relazioni tra la legge e la salute - non è la malattia stessa, ma è il suo trasmettersi al di fuori del luogo in cui dovrebbe essere confinata, vale a dire i paesi poveri. In questo caso, Zika è diventata un'emergenza globale che minaccia il cervello dei bambini dei paesi ricchi. Questo insetto con le gambe lunghe mette in evidenza anche la fragilità etica dei potenti sapiens.
Eliane Brum
è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.
Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.
Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).
Site: elianebrum.com | Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum
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ZIKA, MICROCEFALIA, POVERTÀ E NEGLIGENZA DELLO STATO
Nello stato del Pernambuco si concentra il maggior numero di casi di microcefalia in Brasile, malformazione sempre più associata al virus Zika di cui la zanzara Aedis Aedes aegypti è vettore. Il 77% delle famiglie dei bambini colpiti vivono al di sotto della soglia di povertà, non hanno accesso regolarmente all'acqua potabile e vivono in luoghi privi di un adeguato sistema fognario. La ricerca, che è stata effettuata dalla Secretaria de Desenvolvimento Social, Criança e Juventude (Segreteria di Sviluppo Sociale, Bambini e Gioventù) dello stato di Pernambuco, è arrivata a queste conclusioni dopo aver analizzato la situazione socio-economica di 209 donne che hanno avuto bambini con microcefalia. La maggioranza di queste donne vive nell'area metropolitana di Recife, in situazioni estremamente precarie.
La zanzara Aedes ha proliferato in Brasile a causa della negligenza dello stato: un sistema fognario inadeguato o addirittura assente, pessima gestione dei rifiuti, sviluppo urbano precario e le difficoltà che deve affrontare una parte della popolazione per aver accesso all'acqua potabile, rendendone necessario lo stoccaggio in cisterne. La distribuzione del numero di casi sospetti di microcefalia legata al virus Zika, secondo l'Associazione Brasiliana di Salute Pubblica, dimostra che ad essere colpiti sono i soggetti più poveri della società, che vivono in condizioni socio-ambientali drammatiche.
15.02.16
Epidemia di microcefalia in Brasile
I CASI DI MICROCEFALIA RIACCENDONO LA DISCUSSIONE SULL’ABORTO LEGALE IN BRASILE
Contraccezione e ricorso all'aborto sono tra le azioni proposte per contrastare i danni del virus zika
di A.O. pubblicato su El Pais il 31.01.16
traduzione di Clelia Pinto per il Resto del Carlinho Utopia
Da una parte c’è il virus zika, che è stato indicato come causa dell’aumento dei casi di microcefalia in Brasile. Dall’altro uno degli spettri politici più conservatori degli ultimi anni, espresso, per esempio, nel progetto di legge 5069/13, di cui è autore il presidente della Camera dei Deputati Eduardo Cunha (PMDB) che ha come obiettivo ostacolare l’aborto anche in caso di stupro.
Nel mezzo, c’è una situazione di emergenza sanitaria in cui è in gioco la salute fisica e mentale delle donne in stato di gravidanza. In questo scenario il momento politico poco favorevole al dibattito non può impedire che vengano compiute azioni per supportare, curare e offrire la possibilità di scelta alle donne. È quel che crede Débora Diniz, antropologa dell’istituto di bioetica Anis, autrice di una proposta che sarà consegnata al Supremo Tribunale Federale e che prevede, tra le altre misure, la possibilità di abortire in caso di feti con microcefalia. “Non è possibile rassegnarsi a un contesto retrogrado senza proporre nulla. Siamo di fronte a un’epidemia e dobbiamo dare risposte alle persone coinvolte”, spiega la Diniz.
In fase di elaborazione, la proposta dell’istituto vuole, da un lato, garantire che la politica pubblica di pianificazione familiare offra accesso a metodi contraccettivi, renda possibile un'ecografia specifica per la microcefalia e dia la possibilità di interrompere la gravidanza, nel caso in cui sia questa la volontà della madre. Dall’altro, saranno proposte azioni sociali di supporto della maternità e dell’infanzia per le donne che abbiano un figlio affetto da microcefalia.
Domenica scorsa, il giornale Folha de S.Paulo ha dato notizia che donne incinte con diagnosi di zika stanno già ricorrendo ad aborti clandestini ancor prima di sapere se il feto è affetto o meno da microcefalia. Secondo il reportage l’intervento costa tra i 5.000 e i 15.000 reais, a seconda del tempo di gestazione.
"Va riconosciuta la negligenza dello stato che non è riuscito a sradicare lo Aedes aegypti e, partendo da questo, creare meccanismi di sostegno e cura per le donne e i bambini che verranno. L’aborto, come prevenzione del danno, è solo un tassello in questa discussione che è molto più ampia”, spiega la Diniz. Dodici anni fa l’antropologa è stata una selle principali voci del processo grazie al quale il Supremo Tribubale Federale rese incostituzionale la proibizione dell’aborto in caso di feti anencefali. Oggi, l’aborto è legale solo in questa situazione o nei casi di stupro e rischio di vita per la madre, che già erano previsti per legge fin dal 1940.
Tenendo questo ben presente, la sociologa Jaqueline Pitanguy, anche lei partecipe del lavoro che portò alla decisione vittoriosa della suprema corte, crede che i casi di microcefalia rendano ancor più necessaria la discussione sulla legalità dell'aborto. “Abbiamo una delle legislazioni più restrittive al mondo e ci sono progetti per renderla ancora più proibitiva. La microcefalia, che ora necessita di una risposta immediata, rivela quanto siamo in ritardo rispetto alla questione”, commenta. Secondo lei, l’assurdo della situazione sarebbe rivelato dal fatto che già si è parlato di raccomandare alle donne di non rimanere incinte o di contrarre la malattia intenzionalmente per esserne immunizzate, ma la possibilità dell’aborto rimane un tema intoccabile.
La Pintanguy ricorda anche che una buona percentuale dei posti letto negli ospedali pubblici sono già occupati da donne che hanno abortito. Un indagine condotta nel 2014 dal professor Mario Giani Monteiro dell’Università di Rio, indica che circa 200.000 donne che hanno abortito nel 2013 si sono rivolte a un ospedale del sistema sanitario nazionale per un raschiamento, sia perché avevano avuto un aborto spontaneo, sia nei casi di aborti clandestini mal riusciti. È un numero significativo, ancor più se comparato con i ricoveri per malattie come il cancro (243.709) o quelle del sistema respiratorio (236.940), per esempio.
“Io sostengo completamente una visione ampia dell’aborto come diritto individuale della donna, ma in questo momento, considerando l’emergenza epidemia, la mia preoccupazione maggiore è di salute pubblica, il risolvere una situazione d’emergenza”, spiega la Diniz.
Considerando che la legislazione brasiliana sull’aborto è cambiata molto poco da quella degli anni '40, la questione della diagnosi medica di microencefalia può essere uno dei punti centrali per qualsiasi decisione futura sul tema, sostiene Sérgio Floriano de Toledo, direttore regionale dell’Associazione di Ostetricia e Ginecologia dello Stato di S.Paulo (Sogesp), a Santos.
È solo a partire dalla 16° settimana, quarto mese di gravidanza, che è possibile fare un prognosi sulla dimensione della circonferenza della testa del feto, e anche così, è molto difficile dire con certezza quale sarà il grado di gravità della microcefalia, dice Toledo. L’aborto fino alla 12° settimana di gestazione è l’ideale, il che non esclude che l’intervento possa essere fatto in seguito, nel caso in cui ci sia rischio per la donna o in caso di stupro.
Secondo la Diniz, con una diagnosi effettuata entro la 15°, 16° settimana, ancor non si tratta di aborto tardivo. “Il tempo di intervento non è una questione di pertinenza del Supremo Tribunale. Se il codice pensale dice che l’aborto in caso di stupro, per esempio, è autorizzato, allora è la politica pubblica che deve decidere sul tempo”, argomenta.
Per la Pitanguy, se la legislazione brasiliana fosse più avanzata, come altrove, di questo nemmeno si discuterebbe. “Prima della 12° settimana la donna, preoccupata di avere contratto il virus zika, potrebbe scegliere senza complicazioni cosa fare”.
La paura del virus zika minaccia di far crescere il ricorso delle donne all'aborto clandestino in tutta l'America Latina
di María R. Sahuquillo, pubblicato su El Pais il 04.02.16
traduzione di Clelia Pinto
L’allarme per il virus zika nel continente americano e il suo legame con i casi di microcefalia nei neonati ha portato le autorità di paesi come Ecuador, Colombia e El Salvador a consigliare alle donne di evitare la gravidanza. Una raccomandazione difficile da seguire in una regione dove i programmi di educazione sessuale sono quasi inesistenti.
Secondo l’Onu, circa 24 milioni di donne della regione non hanno accesso a metodi contraccettivi. Il virus si va diffondendo in una regione del mondo che è tra quelle con maggiori restrizioni all’interruzione di gravidanza: solo sei paesi permettono l’aborto per malformazioni fetali; in altri sette non è autorizzato neppure per salvare la vita della donna.
Specialisti avvertono che i dubbi sul rischio del virus, sommati alla mancanza di opzioni che consentano alle donne di scegliere o meno di diventare madri, potrebbero causare un aumento esponenziale degli aborti clandestini anche in Brasile.
In America Latina e Caribe, circa il 56% dele gravidanze non sono pianificate, come mostra la ricerca dell’Istituto Guttmacher - specializzato in salute sessuale - basata su dati del Fondo di Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA). L’accesso a preservativi, pillola e spirale é complicato per il 33% delle donne in età fertile e con compagno fisso a Haiti; 17% in Guatemala; 15% in Argentina; 12 % a San Salvador, secondo dati della UNFPA del 2015. Non sono solo barriere economiche ma anche socioculturali, in una regione in cui, oltre a questo, i tassi di violenza sessuale sono molto alti.
Le donne più povere e delle zone rurali uniscono alle maggior difficoltà di accesso ai contraccettivi la minore quantità di informazioni sulla malattia, dice Giselle Carino, direttrice della Federazione Internazionale per la Pianificazione Familiare (IPFF). E sono le più vulnerabili allo zika, un virus trasmesso dalla zanzara Aedes aegypti - lo stesso della dengue e del chikungunya - che prolifera in aree con minore livello di infrastrutture igienico sanitarie e maggiore concentrazione di acque stagnanti.
Attualmente, Ecuador, Porto Rico, Colombia, Repubblica Domenicana, El Salvador, Honduras, Jamaica e Panama hanno chiesto alle donne di evitare la gravidanza, in alcuni casi anche nell’arco di un anno e mezzo. Un consiglio non solo insufficiente ma anche poco realista. “Non si fa altro che scaricare tutta la responsabilità sulle donne”, critica la Carino. Le autorità sanitarie ancora non hanno lanciato programmi specifici per prevenire la gravidanza, nonostante l’allerta dell’Organizzazione Panamericana di Salute (OPAS).
"La crisi del virus zika ha riportato in evidenza la vulnerabilità dei diritti riproduttivi in America. Non manca solo l’accesso alla contraccezione e all’aborto, quanto l’informazione, l’attenzione e i controlli prenatali”, dice Monica Roa, vice presidente del Women’s Link Worldwide. E per determinare che il feto soffre di micorcefalia - una malattia neurologica molto grave per cui cranio e cervello sono di dimensioni inferiori alla norma - è necessaria almeno un’ecografia. “Si tratta, oltre a questo, di una diagnosi non facile e che è possibile fare a partire dalla 18° settimana di gestazione. Alcune volte più tardi, perché è necessario vedere come procede lo sviluppo del feto”, spiega la specialista in diagnosi prenatale Pilar Martinez Ten.
Di fronte al rischio del virus e del suo legame con la microcefalia - in Brasile, il paese più colpito, si sono registrati 4.783 casi sospetti da fine ottobre - organizzazioni per i diritti delle donne esigono che i governi rivedano le loro leggi sull’aborto. “Una volta fatta la diagnosi e con tutta l’informazione a disposizione, sono le donne che devono decidere se portare avanti la gravidanza”, argomenta Roa, sottolineando che l'accesso all'aborto non è facile nemmeno in quei paesi in cui l’aborto, in alcune circostanze, è permesso.
Le leggi di Messico, Belize e Panama permettono l’interruzione della gravidanza per malformazioni fetali; in Brasile solamente se il feto soffre di anencefalia o comporta un rischio di vita per la madre, mentre in Colombia solo se la malformazione è mortale. In altri - come l’Argentina - questa scelta è possibile solo se la salute fisica o mentale della donna è a rischio. Nella Repubblica Domenicana, Chile, El Salvador, Haiti, Honduras, Nicaragua e Suriname è totalmente proibito. In tutti questi paesi ci sono stati casi di zika.
Gli specialisti e le organizzazioni che lavorano per i diritti delle donne temono che la paura dello zika e i dubbi sui suoi effetti sullo sviluppo del feto, che ancora devono essere chiariti dagli specialisti, portino a un aumento degli aborti clandestini. “L’esperienza ci dice che, nonostante le restrizioni legali, quando le donne hanno una gravidanza non desiderata, in particolar modo se giovani e senza risorse, finiscono con il cercare forme non sicure di aborto, il che mette in grave rischio la loro salute e la loro stessa vita”, dice Gillian Kane, assessora dell’Ipas, un’organizzazione che lavoro per prevenire l’aborto non sicuro.
In America Latina e Caribe ci sono circa quattro milioni di aborti clandestini all’anno secondo i dati dell’OMS, un problema di salute pubblica che provoca la morte di migliaia di donne.
07.11.15
Le donne brasiliane dicono basta!
Dopo l'approvazione del progetto legge voluto dal presidente della Camera Eduardo Cunha, migliaia in piazza per il diritto all'aborto e contro la deriva oscurantista del paese. Un movimento inedito in Brasile, capace di aggregare le lotte di vari segmenti della società e che sembra destinato a crescere ancora.