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Fotomontaggio creato con un disegno di Carlos Latuff

Premessa:
 

il giorno dopo la pubblicazione di questo articolo, martedì 31 marzo, la Commissione Costituzione e Giustizia della Camera (CCJ), ha approvato con 42 voti favorevoli e 17 contrari, l'ammissibilità della proposta di emendamento costituzionale (PEC 171/93) che riduce la maggiore età per la responsabilità penale dai 18 ai 16 anni d'età.

 

In pratica si propone di aprire le porte delle carceri comuni agli adolescenti giudicati autori di reati dai 16 anni d'età in poi. 

Attualmente l'ECA (Statuto del bambino e dell'adolescente) stabilisce che, a partire dai 12 anni d'età, i giovani che siano riconosciuti autori di reati siano soggetti a sanzioni che prevedono un tempo massimo di internazione di tre anni in strutture socio-rieducative per minori. Lo Statuto prevede che le misure socio-educative abbiano in modo predominante carattere educativo e non punitivo e includono la prestazione di servizi alla comunità, la libertà assistita, la semi-libertà e l'internazione.

02.04.15

A Brasilia si entra solo col passaporto

La proposta incostituzionale della riduzione della maggiore età per la responsabilità penale (dai 18 ai 16 anni) mostrerà chi è più corrotto:

se il popolo o il congresso

di Eliane Brum*, pubblicato su El Pais il 30/03/2015

traduzione: Carlinho Utopia

 

Nel film "Branco Sai, Preto Fica" (Il bianco esce, il nero resta), attualmente in programmazione nelle sale brasiliane, per entrare a Brasilia è necessario il passaporto. L'elemento di finzione punta il dito contro la brutale realtà di apartheid tra le città satellite come Ceilândia, dove si svolge la storia, e il centro del potere, in cui si decide della vita di tutti gli altri. Mostra un apartheid tra Brasilia e il resto del Brasile. Ed è così che si sente la maggioranza dei brasiliani quando pensa al Congresso: "apartheidizzata".

 

La legislatura appena cominciata è iniziata male, e già vanta il peggior gradimento popolare in epoca democratica: secondo l'istituto di ricerca Datafolha, solo il 9% dei brasiliani considerano il lavoro fin qui svolto dai parlamentari eccellente o buono, il 50% lo valuta cattivo o pessimo. È come se ci fosse una spaccatura tra i rappresentanti del popolo e il popolo che lo ha eletto. È come se uno non avesse niente a che fare con l'altro, come se nessuno sapesse di chi sono stati i voti che hanno portato quei signori alla Camera e al Senato, nominandoli deputati e senatori, è come se il giorno delle elezioni fossimo stati clonati dagli alieni che hanno eletto il Congresso che ora sta lì. È come se l'anima corrotta del Brasile fosse tutta lì, mentre, al di fuori, quello che si definisce come il popolo brasiliano, non si riconosce né nella corruzione, né nell'opportunismo e nemmeno nel cinismo.

 

Ma esiste, malgrado tutto, una possibilità che questo sentimento di divisione scompaia, e il Brasile sia testimone di almeno un grande momento di comunione tra il Congresso e il popolo. Anima corrotta con anima corrotta. Cinismo con cinismo. La Commissione Costituzione e Giustizia della Camera potrebbe decidere, questa settimana (ndt. e, come abbiamo scritto nella premessa, il 31 marzo scorso ha effettivamente deciso), sulla ricevibilità della Proposta di Emendamento Costituzionale (PEC) 171/93, che riduce la maggiore età per la responsabilità penale dai 18 ai 16 anni d'età.

Se questo dovesse accadere, la proposta, che è stata accantonata fin dai primi anni '90, avrà superato un grande ostacolo e potrà proseguire il suo iter alla Camera e al Senato. Di fronte al più conservatore dei congressi dal ritorno alla democrazia (1985) in poi e alla crescita della cosiddetta "bancada da bala" formata da parlamentari legati alle forze di repressione, la possibilità che venga approvata è considerevole. E a quel punto sarà un solo cuore a battere in seno al congresso e al popolo. Marcio, ma all'unisono.

 

La riduzione della maggiore età per la responsabilità penale come misura per ridurre l'impunità e aumentare la sicurezza è una fantasia costruita per coprire la vera violenza. Secondo l'UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia), dei 21 milioni di adolescenti brasiliani, solo lo 0,013% ha commesso atti contro la vita. Ma sono loro a venire sistematicamente assassinati: il Brasile è il secondo paese al mondo in numero assoluto di omicidi di adolescenti, dietro solo alla Nigeria. Oggi, gli omicidi rappresentano il 36,5% delle cause di morte da fattori esterni degli adolescenti nel paese, mentre per la popolazione totale corrisponde al 4,8%. Più di 33 mila brasiliani tra i 12 ed i 18 anni sono stati uccisi tra il 2006 e il 2012.

Se prevarranno le condizioni attuali, dice l'UNICEF, entro il 2019 altri 42 mila saranno assassinati in Brasile.

 

Chi sta violando chi? Chi non sta proteggendo chi? Chi dovrebbe essere ritenuto responsabile per non aver garantito il diritto di vivere a parte dei bambini e degli adolescenti?

C'è una verità più dura
che ci riguarda: quella della nostra anima corrotta

Eppure, oltre il 90% dei brasiliani, secondo una ricerca condotta nel 2013 dalla Confederação Nacional dos Transportes, approvano che si mettano gli adolescenti in carceri che violano le leggi ed i diritti umani più fondamentali, nel quarto sistema carcerario più popoloso del mondo, palesemente al collasso ed incapace ed incompetente nel garantire condizioni che consentano a una persona detenuta di costruirsi un destino diverso da quello dalla criminalità.

Se sarà approvata questa violazione della Costituzione, la sicurezza non aumenterà: quel che aumenterà sarà la violenza. Così come la capacità della società brasiliana di produrre crimine sotto le mentite spoglie della legalità.

Parte della sensazione che ci sia un esercito di bambini e adolescenti malvagi, pronti ad attaccare i "cittadini perbene"  è spesso attribuita alla grande ripercussione che hanno un certo genere di crimini macabri che coinvolgono i minori. Ciò che costituisce un'eccezione, nell'essere amplificato come se fosse la regola, diventa la regola. Le statistiche smentiscono chiaramente questo immaginario, ma questo sentimento, rafforzato dai media, sarebbe più forte della ragione. Una credenza popolare che ha preso il sopravvento sulla realtà, manipolata da coloro che ne beneficiano per giustificare i loro profitti, il loro lavoro e la loro stessa violenza, questa si supportata da numeri ben eloquenti.

 

Questa è una parte della verità, ma non tutta. È la parte di verità benigna nei confronti della società brasiliana, che appoggerebbe la riduzione della maggiore età ai fini penali solo perché ingannata e manipolata dai media, dai deputati o dall'industria della sicurezza. Manipolati da qualcuno, furbo e diabolico, che l'avrebbe portata a conclusioni errate per ottenerne benefici personali o a favore di imprese pubbliche e private.

Sarebbe un sollievo se fosse questa la miglior spiegazione, perché sarebbe sufficiente un chiarimento ed una corretta esposizione dei fatti, per far si che la società arrivasse a un'analisi coerente della realtà e all'ovvia conclusione che la riduzione della maggiore età ai fini penali servirebbe solo a produrre più crimine contro gli stessi di sempre.

Ma c'è, comunque, una verità più dura che ci riguarda. È quella che riguarda la nostra anima imputridita da un tipo di corruzione molto più brutale di quella rivelata dalla Operação Lava Jato(*), e con conseguenze più terribili di quella per cui si è protestato con tanta veemenza nelle piazze.

 

Ogni anno, una parte della gioventù brasiliana, minorenne e maggiorenne, viene massacrata. E quella stessa maggioranza che strepita a favore della riduzione della maggiore età ai fini penali non s'indigna. E nemmeno se ne importa.

 

In Brasile, sette giovani tra i 15 ed i 29 anni vengono assassinati ogni due ore, 82 al giorno, 30 mila all'anno. Questi morti hanno un colore: il 77% sono neri. Mentre gli assassini dei giovani bianchi diminuiscono, quelli dei giovani neri aumentano, come indicato nella mappa della violenza 2014.

 

C'è una quota crescente di giovani neri, poveri e che abitano nelle periferie e nelle favelas che muoiono prima di raggiungere l'età adulta. In un paese in cui l'aspettativa di vita ha raggiunto 74,9 anni, questa parte muore ad un'età simile a quella di uno schiavo nel 19° secolo. E questo non provoca stupore. Nessuno va in piazza per denunciare questo genocidio, chiedono a gran voce che finisca. Sono pochi quelli che si indignano ed ancor meno quelli che cercano di fermare questo massacro quotidiano.

Gli stessi che sostengono
a gran voce la riduzione della maggiore età per la responsabilità penale, convivono senza stupore con il genocidio della gioventù nera e povera delle periferie

Come riusciamo a vivere mentre loro muoiono? Come riusciamo a dormire con le grida delle loro madri?

Forse perché abbiamo naturalizzato le loro morti, il che significa comprendere l'incomprensibile, cioè che dentro di noi riteniamo l'assassinio annuale di migliaia di giovani neri e poveri una cosa normale. E se questa è la realtà, cioè che siamo peggio dei signori degli schiavi del secolo scorso, cosa fa' di noi questa verità?

 

Succede ogni giorno. E la maggior parte di queste morti non merita nemmeno un trafiletto sulla stampa. Quando ero una giornalista di "cronaca nera" e telefonavo ai commissariati di polizia per domandare cosa fosse successo durante la notte, sempre era successo qualcosa, ma era come non fosse accaduto. "Non è successo niente", era invariabilmente la risposta del poliziotto di piantone. In molti erano morti, ma facevano parte di quella quota (sì, le quote sono sempre esistite) di coloro che possono morire. Si trattava di quelle morti che non sarebbero state indagate e che non sarebbero diventate notizia. A meritare un'indagine ed una copertura giornalistica, si capiva chiaramente, erano quei crimini che riguardavano i bianchi, preferibilmente ricchi o, almeno, di classe media. Si diceva, in passato, che la miglior scuola di giornalismo fosse la cronaca nera. Era, infatti, la migliore scuola per capire a fondo gli ingranaggi che muovono la società brasiliana, perché fin dalla prima lezione si apprendeva che la morte di uno è una notizia, degli altri è statistica.

 

Così come i signori degli schiavi avevano interiorizzato che i neri erano cose, o, a seconda del momento storico, una categoria inferiore nella gerarchia delle persone, più di un secolo dopo l'abolizione ufficiale della schiavitù, la società brasiliana ha naturalizzato che esiste una parte della gioventù nera che può essere uccisa intorno ai 20 anni senza che nessuno faccia una piega. Se fossimo davvero persone decenti, non sarebbe questo che dovremmo urlare disperatamente nelle piazze? Ma noi ci siamo corrotti, o forse mai abbiamo abbandonato la condizione di anime corrotte.

 

Invece di far questo, si invoca la riduzione della riduzione della maggiore età ai fini penali, per mettere coloro che la società non protegge, sempre più precocemente nelle carceri, dove tutti sanno quanto sia ordinaria la routine della tortura e degli stupri, per non parlare del sovraffollamento, a causa del quale in molte celle è necessario alternarsi per dormire, perché non c'è spazio sufficiente per potersi sdraiare tutti. Come se già non sapessimo che le unità di recupero per gli adolescenti che hanno commesso reati, contrariamente a quanto previsto dalle leggi, sono in pratica delle carceri, inferni in miniatura, con tutti i tipi di violazioni dei diritti più elementari. Qualcuno, al giorno d'oggi, può forse giustificarsi dicendo di non sapere che è così?

E allora, come è possibile convivere con tutto questo?

Vignetta di Vitor Teixeira

Il 24 marzo, nel dibattito sulla riduzione della maggiore età ai fini penali alla Commissione Costituzione e Giustizia della Camera, il deputato "delegato" (ndt. funzionario della polizia) Eder Mauro (PSD-PA) ha affermato: "Non possiamo accettare che, così come lo Stato islamico uccide protetto dal paravento della religione, delinquenti minorenni, banditi minorenni di questo paese, uccidano protetti dall' ECA (ndt. Statuto del bambino e dell'adolescente").

 

Come può una bestialità di questa portata non suscitare scandalo? Confrontare la legge che protegge i bambini e gli adolescenti con le (s)ragioni addotte dallo Stato islamico per decapitare e bruciare le persone è un affronto all'intelligenza, ma la discussione alla Camera su una questione così cruciale si riduce a questo livello da cloaca. La sessione è stata sospesa dopo una lite in cui si è reso necessario separare due deputati.

 

E così, lo Statuto del bambino e dell'adolescente, una delle leggi più ammirate e copiate in tutto il mondo, purtroppo ancor oggi non pienamente attuata, è messa accanto nella stessa frase allo Stato islamico. Alcuni colleghi mi hanno suggerito di non dare spazio alle dichiarazioni di un deputato di quel calibro, ma lui è lì, eletto e ben pagato a  urlare sciocchezze pericolose nel parlamento del paese.

 

È necessario prendere molto sul serio la stupidità con il potere, una lezione che dovremmo già aver imparato.

È proprio vero che "la carne più economica sul mercato è la carne nera." (ndt. citazione di una celebre canzone brasiliana). È quello che ha scoperto Alan de Souza Lima, 15 anni, lo scorso febbraio, nella favela di Palmeirinha, a Honorio Gurgel, alla periferia di Rio de Janeiro.

E' morto con il telefono cellulare in mano, e solo per questo non si è trasformato in appena un numero statistico, diventando invece narrativa, un nome, un cognome e una storia sui giornali. Alan stava parlando con due amici e registrando un video con il suo cellulare. Ha finito per documentare la sua agonia dopo essere stato colpito a morte dalla polizia militare. Come al solito, la corporazione ha fornito la famosa versione del "conflitto a fuoco", ​​versione standard con la quale la PM di solito giustifica la sua stupefacente letalità da campione del mondo. Ed ha subito accusato i tre ragazzini di essere armati e di aver opposto resistenza all'arresto. Ma Alan moriva e filmava. Il video, postato su Internet, ha dimostrato che non avevano resistito all'arresto. Chauan Jambre Cezário, 19 anni, è stato colpito al petto. Lui vende tè freddo sulla spiaggia ed è sopravvissuto per raccontare che non ha mai usato una pistola.

 

La colpa dei ragazzi era di vivere in una favela, luogo dove la legge, non scritta, ma vigente, autorizza la polizia militare a uccidere.

 

Nel video c'è una frase che dovrebbe essere lì a riecheggiare all'infinito nella nostra testa.

Quando uno degli agenti chiede ai ragazzi perché stessero correndo, uno di loro risponde:

- Stavamo giocando, signore.

 

La frase dovrebbe continuare ad echeggiare nella nostra testa fino a quando non avessimo la dignità di ribellarci

contro questo genocidio quotidiano di una parte della gioventù brasiliana.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore.

 

Stavamo giocando, signore. E poi il signore ha sparato. Ferito. Ucciso.

Quelli che sono scesi in piazza a urlare contro la corruzione hanno scattato selfies con una delle polizie che più uccidono al mondo.

 

Solo la polizia militare dello Stato di San Paolo, governato da oltre 20 anni dal PSDB, ha ucciso, nel 2014, una persona ogni dieci ore. Se i manifestanti che hanno fatto selfies con i poliziotti militari durante la manifestazione del 15 marzo sull'Avenida Paulista (la principale arteria di San Paolo) ammirano quella corporazione per la sua efficienza, abbiamo bisogno di capire ciò che questi brasiliani intendono per corruzione, nel senso più profondo del concetto.

 

In un sondaggio dell'Università Federale São Carlos (UFSCar), dal titolo "Disuguaglianza razziale e Sicurezza Pubblica a São Paulo", le ricercatrici Jacqueline Sinhoretto, Giane Silvestre e Maria Carolina Schlittler sono giunte a conclusioni sconcertanti. Almeno il 61% delle vittime uccise dalla polizia sono neri. E più della metà hanno meno di 24 anni. Il 79% degli agenti di polizia che hanno ucciso sono bianchi. Il fattore razziale è determinante: le azioni della polizia vittimizzano tre volte di più i neri rispetto ai bianchi. Queste morti sono naturalizzate: solo l'1,6% degli autori sono stati incriminati come responsabili dei crimini. La Polizia Militare è responsabile del 95% della letalità poliziesca nello Stato di São Paulo.

I manifestanti del 15 marzo, che hanno protestato

contro la corruzione,

hanno fatto selfies con

una delle polizie

che più uccide al mondo

Il calcio continua a dire molto sul Brasile: infilare una pallottola nel corpo di un nero è lo stesso che fare un gol, dice il governatore di Bahia

Nel mese di febbraio, la polizia militare di Salvador da Bahia ha giustiziato 12 giovani nel quartiere Cabula. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci. Undici. Dodici.

 

Che cosa ha detto il governatore dello Stato di Bahia davanti ai corpi lasciati a terra dalla polizia che lui comanda? Il paragone non dovrebbe mai essere dimenticato. Dopo essersi congratulato con la Polizia militare, Rui Costa (del PT, Partido dos Trabalhadores, il partito di governo a Bahia e nel paese) ha paragonato la posizione del poliziotto davanti a degli individui sospetti a quella di "un centravanti di fronte alla porta, che deve decidere, in pochi secondi, come mettere la palla in rete, per fare gol.". Rui Costa è stato applauditissimo.

Proprio così. Infilare un proiettile nel corpo di giovani neri e poveri delle periferie è fare come la Germania nell'iconico 7a1 contro il Brasile: "mettere la palla in rete." E non è stato detto ai tempi di Antonio Carlos Magalhães, il potente "colonnello" che governò a lungo a Bahia, ma dal governatore del Partito dei Lavoratori, presumibilmente di sinistra. Il calcio continua a dire molto sul Brasile.

 

È per questo motivo che nel film Branco Sai, Preto Fica, chi è nero e povero ha bisogno di un passaporto per entrare a Brasilia.

 

Il titolo del film è la frase urlata dalla polizia mentre invade una festa nel quartiere “Quarentão” a Ceilândia, la notte del 5 marzo 1986, dove i giovani ballavano, dopo aver trascorso la settimana a provare i passi. La polizia entrò urlando: "Puttane da una parte, Froci dall'altro. I bianchi possono uscire. I neri restano." Quasi tre decenni più tardi, Marquim do Tropa e Shockito sono attori che interpretano in gran parte il loro stesso ruolo. Marquim per sempre su di una sedia a rotelle per lo sparo che ha ricevuto, Shockito con una protesi al posto della gamba che ha perso calpestata da un cavallo della polizia. Risultato del Il bianco esce, il nero resta di quella notte. Senza passaporto per lasciare il massacro, perché, in quanto neri, loro restarono.

 

Il bianco esce, il nero resta  è stato descritto come un mix particolarmente brillante tra il documentario e la fantascienza, con sfumature di umorismo. Ha vinto il premio come miglior film al Festival di Brasilia 2014 ed è uscito da poco nei cinema del paese. Per me, il film di Adirley Queirós è paragonabile, per la potenza di quello che dice sul Brasile e per la forma creativa in cui lo dice, alle dimensioni del già mitico Bye Bye Brasil, di Carlos Diegues. Questi sono film che parlano Brasili diversi, in momenti storici diversi, e, anche per questo, parlano dello stesso Brasile.

 

È dal futuro, dall'anno 2073, che ariva un altro personaggio, Dimas Cravalanças, la cui macchina del tempo è un container. La Ceilândia del presente ricorda, senza alcuno sforzo di produzione, uno scenario post-apocalittico. La missione di Cravalanças è quella di trovare le prove per adire alle vie legali contro lo Stato per l'assassinio della popolazione nera e povera delle periferie. La voce che lo guida dal futuro avverte: "Senza prove, non c'è passato."

Commissione per la Verità della Democrazia "Mães de Maio"

È necessario ricorrere alla fiction per accusare e giudicare lo stato del genocidio quotidiano della gioventù nera e povera? Quasi sempre, sì. Ma qualcosa si muove nella realtà, con poco sostegno da parte della maggioranza della società e scarsa attenzione dei media.

 

Alla fine di febbraio, è stato instaurata presso l'Assemblea legislativa dello Stato di San Paolo, la Commissione per la Verità della Democrazia " Mães de Maio " (Madri di Maggio). La sua creazione è cosa enorme nella storia del Brasile, una pietra miliare.

 

Dopo aver appurato i crimini della dittatura, un'altra commissione indagherà i crimini commessi dallo stato in democrazia. Alla ricerca delle prove del recente passato in modo da poter avere un futuro.

 

Le “Mães de Maio”, che danno il nome alla commissione, sono un gruppo di donne che hanno perso i loro figli tra i 12 e il 20 maggio del 2006, quando un'ondata di violenza scosse São Paulo, a partire dal conflitto tra la polizia e la criminalità organizzata. Ci furono 493 morti in questo periodo, almeno 291 di essi legata ai cosiddetti "crimini di maggio". Almeno quattro persone ancora desaparecidas.

 

Edson Rogério, 29 anni, figlio di Debora Maria da Silva, leader delle "Madri di Maggio" venne giustiziato con cinque colpi. Si sospetta che gli autori dell'omicidio siano poliziotti. Secondo Debora, suo figlio, prima di essere ucciso, ha gridato "Sono un lavoratore!". Il suo assassinio segue impunito. Edson è morto nella stessa strada in cui, lavorando come netturbino, aveva spazzato la mattina.

 

Né le centinaia di uccisioni del maggio 2006, né quelle riportate in questo articolo, avvenute recentemente, esempi di genocidio quotidiano, hanno mosso un millesimo della rivolta provocata da crimini con il coinvolgimento di minorenni, in cui sono stati assassinati bianchi di classe media. Sarebbe troppo aspettarsi che un omicidio fosse un omicidio, a prescindere dal colore e dalla classe sociale? A meno che non si accetti che la vita degli uni vale più di quella degli altri, e che questa gerarchia è data dal colore della pelle e dalla classe sociale. E se è da questo che si capisce il valore di una persona, si ci dica quello che si è davanti allo specchio. Non davanti al mondo intero... davanti a se stessi. È già sufficiente.

 

Sì, questo Congresso guidato da due politici indagati per corruzione (ndt. Eduardo Cunha, presidente della Camera e Renan Calheiros, presidente del Senato, entrambi indagati nello scandalo delle tangenti Petrobras) è, a parte le eccezioni, che pure esistono, una vergogna. Ma la mia speranza è che, con la proposta incostituzionale della riduzione della maggiore età per la responsabilità penale, il Congresso sia meglio del popolo brasiliano. Dimostri grandezza storica almeno una volta e dica no alle nostre anime tanto corrotte.

 

Mentre tutto questo si svolgerà a Brasilia, vai a vedere Branco Sai, Preto Fica.

Quando uscirai dal cinema, saprai che un giovane, quasi certamente nero, è stato assassinato in Brasile mentre eri lì.

 

 

(*) L’operazione denominata Lava Jato (Autolavaggio) ha portato alla luce un sistema generalizzato di tangenti versate da almeno un decennio dalle principali imprese edilizie del paese a responsabili della Petrobras ( il colosso petrolifero nazionale a maggioranza statale di cui molti cittadini detengono azioni comprate attraverso un fondo di garanzia) in cambio di ricchi contratti. L’ex direttore di Petrobras, Paulo Roberto Costa, e il faccendiere Alberto Youssef, arrestati per riciclaggio e poi divenuti collaboratori di giustizia, hanno confessato di aver intascato bustarelle. Tangenti in entrata ma anche in uscita: a sua volta, Petrobras è accusata di aver sistematicamente sovrafatturato fra il 2004 e il 2012 beni e servizi accumulando fondi neri fino a quasi quattro miliardi di dollari stimati poi girati, fra gli altri, al Partito dei Lavoratori (Pt) al quale appartengono gli ultimi due presidenti brasiliani, Lula da Silva e Dilma Rousseff. Quest’ultima aveva guidato peraltro il consiglio di amministrazione della società prima di arrivare al Palazzo del Planalto nel 2011. Finora sono finite sotto inchiesta 150 persone e 232 imprese, mentre la polizia ha eseguito 201 mandati di perquisizione e sequestri e 64 mandati di cattura; altre 55 persone sono state chiamate a deporre. Dodici degli indagati hanno già patteggiato accordi di cooperazione con la magistratura in cambio di sconti di pena o finanziari. (fonte Misna.org)

 

Eliane Brum

Eliane Brum

 

è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.

Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.

Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).

 

Site: elianebrum.com | Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum

 

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