01.06.16
Io provo odio.
I trenta e più aguzzini che hanno voluto mostrare al mondo di aver lacerato una vagina non sono pazzi. Sono uomini educati in una società maschilista. Hanno agito secondo le stesse regole a cui siamo sottoposti. Quelle che strutturano la società in un modo gerarchico e collocano le donne in posizione di inferiorità.
di Maíra Kubík Mano*, pubblicato su Ponte Jornalismo il 27.05.16
traduzione di Clelia Pinto per il Resto del Carlinho Utopia
Provo odio.
Più di 24 ore dopo aver letto le prime notizie sullo stupro dell'adolescente di Rio commesso da più di 30 uomini, e che è stato condiviso da loro attraverso i social network, riesco a provare solo odio e rabbia.
Scrivo ora, dopo quasi un giorno di silenzio, con gli occhi pieni di lacrime. Scrivo come una donna, una persona che, per essere socialmente identificata in un certo modo, avrebbe potuto passare attraverso la stessa situazione di quella ragazza.
Noi, donne, tutti i giorni sperimentiamo la vulnerabilità della violenza, così come succede a buona parte della società brasiliana, per diverse ragioni che non dipendono solo dal patriarcato, ma anche dal razzismo e dalla diseguaglianza sociale, in grado maggiore o minore, spesso intrecciate.
Sperimentiamo quotidianamente la possibilità, o la realtà, di essere stuprate, di essere picchiate, di morire in genere per mano dei nostri familiari e/o compagni, precedenti o attuali.
La nostra esistenza è sempre a rischio perché non possiamo viverla nella sua pienezza. Siamo cose, oggetti che appartengono ad altre persone, sia per legami matrimoniali che familiari. E per questo status sociale d’inferiorità, i nostri corpi sono pubblici, ce ne si può appropriare per strada.
Lo stupro è un pezzo-chiave in questo ingranaggio. Funziona come messaggio dato alle donne perché non escano da questa posizione di inferiorità sociale. La violenza è proprio il meccanismo che, lungi dall’essere un desiderio incontrollabile dell’uomo, è una maniera dei dominanti di esprimersi, ma anche di creare, l’inferiorità femminile.
Questi trenta e più aguzzini che hanno voluto mostrare al mondo di aver lacerato una vagina non sono pazzi. Sono uomini educati in una società maschilista. “Il razzista in una cultura razzista è per questa ragione normale”, diceva Frantz Fanon. Il maschilista, in una società maschilista, è normale, con tutte le virgolette che la parola “normalità” può comportare. Hanno agito secondo le stesse regole a cui siamo sottoposti. Quelle che strutturano la società in modo gerarchico.
In Brasile, sono 47.000 gli stupri denunciati all’anno. E non tutti gli stupri compaiono nelle statistiche. Molte donne che vivono situazioni di violenza nelle proprie case non riescono a denunciare. Le malelingue dicono che non vogliono uscire da quel posto. O che se lo meritano. O che sono loro a provocare. Quel che non dicono è che, quando cedono a questo tipo di esperienza, non significa stiano acconsentendo - come afferma la sociologa francese Nicole-Claude Mathieu.
Sono piena d’odio.
Sono piena d’odio perché il nuovo ministro dell’Educazione, che è stato messo in carica attraverso un golpe parlamentare-giuridico-mediatico, ha ricevuto, per discutere dell’istruzione nel paese, nello stesso giorno in cui si è verificato il caso di cui si sta trattando, un uomo che ha “confessato” uno stupro in una rete televisiva nazionale. A proposito di questo, circa un mese fa ho seguito, con poco più di cento persone, la votazione del PEE (Piano Statale dell’Educazione) di Bahia, che ha eliminato il dibattito sul genere e la lotta al maschilismo dalle sue linee direttrici.
In quest’occasione, la Bibbia ha prevalso sullo Stato laico e quel che poteva essere un meccanismo fondamentale per impedire che in futuro tali situazioni di violenza esistano, è stato semplicemente scartato. Ho sentito, in piena Assemblea Legislativa di Bahia, un deputato sostenere che questo tipo di argomento non dovrebbe essere discusso nelle scuole perché “Eva è nata da una costola di Adamo”.
Ma a parte un’avanguardia di lavoratori dell’educazione, la società locale non ha reagito a una simile atrocità. Purtroppo, quindici giorni dopo, una professoressa di Salvador da Bahia è stata assassinata, in pieno orario di lezione, dal suo stesso marito. E allora chi non si era mobilitato a favore del genere nel Piano Statale d’Educazione ha tentato di recitare un mea culpa, ma insufficiente per invertire qualunque disputa politica.
Sono piena d’odio.
Sono piena d’odio perché nel giorno in cui si è saputo dello stupro di Rio è circolata anche un’altra notizia, di una ragazza che ha subito qualcosa di simile nel Piauí. Perché questo è successo già tante altre volte. Perché a Queimadas, Paraíba, il 12 febbraio 2012, dieci uomini hanno deciso di “fetseggiare” il compleanno di un amico con lo stupro di cinque donne. Sono state invitate alla festa e, a un certo punto, due dei partecipanti si sono allontanati per tornare col volto coperto, simulando una rapina. Due sono state torturate e uccise, la receptionist Michelle Domingos e la professoressa Izabella Pajuçara. Noi non le dimentichiamo.
Sono piena d’odio.
Sono piena d’odio perché il Brasile è il paese che più uccide transessuali.
Sono piena d’odio.
Speriamo che, come me, tutte le persone che stanno sentendo odio, ribellione, vergogna, terrore o sono minimamente sensibili a questo caso escano in pubblico per dire: basta! Non una donna in meno. Semplicemente non possiamo permettere che la violenza prevalga. Io non voglio vivere con odio.
*Maira Kubik Mano è professoressa di Scienze Sociali all’Università Statale di Campinas e insegnante del Dipartimento di Genere e Femminismo dell’Università Federale di Bahia. Svolge un lavoro di ricerca su partecipazione e rappresentanza politica delle donne.