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07.07.16

Mi chiamo Ana Paula Oliveira e la polizia di Rio de Janeiro ha ucciso mio figlio

Sto scrivendo questo testo qui da Ginevra, in Svizzera. Sono venuta a partecipare a una riunione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (ONU) per parlare delle violazioni dei diritti umani legate ai mega eventi sportivi a Rio de Janeiro. Ho messo in discussioni la "legacy" (l'eredità) dei Giochi. Ho detto che il Comitato Olimpico non può permettere che le Olimpiadi significhino la morte dei giovani delle favelas di Rio, che deve garantire che la polizia non agirà con violenza, non ucciderà. Per i poveri, quello che resterà delle Olimpiadi è un'eredità fatta di dolore, sangue e lacrime. La mia unica certezza è che le Olimpiadi passeranno ed io continuerò a lottare

 

di Ana Paula Oliveira, madre di Johnatha, pubblicato sul sito Mutirão Rio 2016, il 4.07.16

 

Il mio nome è Ana Paula Oliveira, sono pedagogista e ho 39 anni. Nata, cresciuta e residente nella favela Manguinhos, comunità nella zona nord di Rio de Janeiro, sono la mamma di Johnatha. Mio figlio aveva 19 anni quando è stato ucciso dalla polizia con uno sparo alla schiena nel 2014, l'anno della Coppa del Mondo in Brasile. Tutta la nostra famiglia è di Manguinhos. Le mie due nonne sono arrivate nella favela dopo essere state rimosse dalle loro case a Caju e Praia do Pinto. Con il PAC (ndt. Programma di Accelerazione della Crescita, lanciato dal governo Lula nel 2007) la storia si è ripetuta. Nel 2012, hanno cominciato a rimuovere i residenti della mia strada. La mia famiglia ed io siamo stati gli ultimi. La nostra rimozione ha avuto luogo nel mese di ottobre 2013 e ci ha portato molta sofferenza. A quel tempo, pensai che quella sarebbe stata la più grande tragedia della mia vita.

 

Mi sbagliavo.

Il 14 maggio 2014, un mese prima della Coppa del Mondo, la polizia militare dello stato di Rio de Janeiro ha ucciso mio figlio Johnatha a Manguinhos con uno sparo alla schiena.

Ana Paula Oliveira davanti alla sede delle Nazioni Unite a Ginevra

Mio figlio era disarmato perché non era un delinquente. Malgrado ciò, la polizia ha affermato trattarsi di legittima - difesa.Il caso è stato indagato solo a causa della grande mobilitazione della mia famiglia e della mia comunità. Siamo ancora in attesa del giudizio del processo.

 

Johnatha era un ragazzo affettuoso e molto amato da amici e familiari. Non sono mai stata chiamata a scuola per alcun tipo di comportamento scorretto. Sognava di diventare un paracadutista e adorava ballare. Il poliziotto che ha ucciso Johnatha era già accusato di tre omicidi e due tentati omicidi, ma continuava a pattugliare le strade. Dopo aver ucciso Johnatha ha continuato a fare il poliziotto. Ho dovuto presentare una richiesta alla Commissione per i Diritti Umani dell'Assemblea Legislativa di Rio de Janeiro per fare in modo che almeno fosse trasferito.

Johnatha era un ragazzo affettuoso e molto amato da amici e familiari. Non sono mai stata chiamata a scuola per qualunque tipo di comportamento scorretto. Sognava di diventare un paracadutista e adorava ballare. Il poliziotto che ha ucciso Johnatha era già accusato di tre omicidi e due tentati omicidi, ma continuava a pattugliare le strade. Dopo aver ucciso Johnatha ha continuato a fare il poliziotto. Ho dovuto presentare una richiesta alla Commissione per i Diritti Umani dell'Assemblea Legislativa di Rio de Janeiro per fare in modo che almeno fosse trasferito.

 

So che il problema è molto più grande del poliziotto che ha ucciso mio figlio. Johnatha non è stata la prima né l'ultima vittima dello Stato a Manguinhos dal momento che le UPP (Unità di Polizia Pacificatrice) si sono insediate nella comunità, nel gennaio 2013. Ci sono stati almeno otto morti, l'ultimo registrato lo scorso mese di giugno. Un ragazzo è stato ucciso da una pistola taser (ndt. è un dispositivo classificato tra le armi da difesa «meno che letali» che fa uso dell'elettricità per paralizzare i movimenti del soggetto colpito facendone contrarre i muscoli) e un altro è stato picchiato a morte; il resto sono stati uccisi da armi da fuoco con spari alla testa e alla schiena. Tutti erano giovani neri. Quando qualcuno muore, io e altre madri cerchiamo le famiglie per dare il nostro supporto. Ma quello che realmente vogliamo è che la polizia smetta di uccidere.

 

Due anni sono passati dalla morte di Johnatha. Sto scrivendo questo testo qui da Ginevra, Svizzera. Sono venuta a partecipare a una riunione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (ONU) per parlare delle violazioni dei diritti umani legate ai mega eventi sportivi a Rio de Janeiro. All'evento, cui hanno partecipato altre organizzazioni come Amnesty International e Terre Des Hommes, il pubblico era in gran parte composto da rappresentanti di diversi paesi, tra cui l'ambasciata brasiliana. Ho raccontato quello che è successo a mio figlio nel contesto della Coppa del Mondo e ho detto che ho paura per l'arrivo delle Olimpiadi, perché le autorità hanno già annunciato che l'esercito occuperà alcune favelas durante i Giochi. Ciò significa che altre violazioni avverranno.

 

Ho spiegato come le autorità si sforzano di fare bella la città per chi viene da fuori per assistere alle Olimpiadi e, per questo, nascondono la nostra gente. Ho messo in discussioni la "legacy" (l'eredità) dei Giochi. Ho detto che il Comitato Olimpico non può permettere che le Olimpiadi significhino la morte dei giovani delle favelas di Rio, che deve garantire che la polizia non agirà con violenza, non ucciderà. Ho spiegato che non avrò il tempo per fare il tifo per il Brasile ai Giochi. Sarò attenta e preoccupata per la mia famiglia e per gli abitanti di Manguinhos a causa della violenza della polizia. Per i poveri, quella che resta è un'eredità fatta di dolore, sangue e lacrime.

 

È vero che l'essere in Europa è già una grande vittoria, è uscire dalla favela per parlare al mondo con la responsabilità di rappresentare migliaia di madri. Per noi, che viviamo nell'invisibilità, poter dare voce ai nostri figli è molto importante. Spero che le persone ascoltino quello che ho da dire e si sforzino di cambiare questa realtà.

 

La mia unica certezza è che le Olimpiadi passeranno ed io continuerò a lottare affinché lo stato brasiliano giudichi e condanni il poliziotto che ha ucciso mio figlio. Devo trovare giustizia in nome dell'amore che provo per Johnatha e dare il mio contributo perché casi come questo non accadano mai più.

 

Nessuna madre merita di passare per tutto questo.

 

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