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04.02.16

Cosa lasceremo ai nostri figli

La violenza si diffonde come una metastasi cancerogena, raggiungendo gli angoli più remoti del paese. E noi brasiliani mostriamo ogni giorno di più la nostra mancanza di impegno verso la collettività. 
di Luiz Ruffato, pubblicato su El Pais* il 03.02.16

F. ha vent'anni. Venerdì, è uscita alle nove di sera per incontrare alcuni amici in un bar.

 

Dopo essersi seduti intorno a un tavolo, hanno iniziato una di quelle conversazioni animate ed esaltanti che intratteniamo quando ancora conserviamo dentro di noi illusioni e sogni e la vita ci appare come l'oceano visto dalla spiaggia, che nonostante ci incuta timore, smaniamo dalla voglia di dominare.

 

A un certo punto a F. è sparita la borsa e il suo universo si è disequilibrato. Le hanno rubato il cellulare, carte di credito, documenti - ma, soprattutto, hanno offuscato la sua fede vivida nei suoi simili.

 

Quando è tornata a casa, la famiglia ha tirato un sospiro di sollievo: F. aveva avuto "fortuna", era stata stato "solo" derubata... avrebbe potuto essere picchiata, violentata, uccisa...

21 città brasiliane tra le 50 più violente del mondo

Il Consiglio Cittadino per la Sicurezza Pubblica e la Giustizia Penale, una organizzazione non governativa messicana, ha divulgato a fine gennaio una lista che dimostra in quali sabbie mobili stiamo affondando: sono brasiliane 21 delle 50 città più violente del mondo. Sono dati statistici, indiscutibili, che si riferiscono al numero di omicidi ogni 100 mila abitanti nei comuni con una popolazione di oltre 300 mila abitanti.

 

In termini assoluti, il Brasile è al primo posto nella classifica, secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): ogni 100 omicidi in tutto il mondo, 13 si verificano in Brasile. Nel 2014, 56.000 persone hanno perso la vita - 29 omicidi ogni 100.000 abitanti, più di quattro volte la media mondiale di 6,9 morti.

 

Fortaleza (Ceará), secondo la ONG messicana, si distacca come la città più pericolosa del Brasile. Delle 21 città brasiliane dell'elenco, 12 si trovano nel nord-est (oltre a Fortaleza, Natal, Salvador, João Pessoa, Maceió, São Luís, Feira de Santana, Teresina, Vitória da Conquista, Recife, Aracaju e Campina Grande), tre nel Nord (Manaus, Belém e Macapá), due nel centro-est (Cuiabá e Goiânia), due nel sud-est (Victoria e Campos dos Goytacazes) e due al sud (Porto Alegre e Curitiba). Come si si vede, né Rio de Janeiro né San Paolo, che occupano uno spazio privilegiato nell'immaginario nazionale in termini di minaccia per l'individuo, appaiono in classifica.

 

Ma, purtroppo, la violenza non si limita alle grandi città. La barbarie si diffonde come una metastasi cancerogena, raggiungendo anche gli angoli più remoti del paese. Nel 2014, il comune di Caracaraí (RR), di 19 mila abitanti, ha avuto il triste privilegio di essere eletto il più violento del Brasile - sono stati registrati 40 omicidi in quell'anno, il che equivale a un tasso di 210 omicidi per 100.000 abitanti, sette volte superiore alla media già alta brasiliana. Prima di Fortaleza, la prima in questa mappa della violenza delle città con più di 300.000 abitanti, appaiono almeno 150 piccoli e medi comuni sparsi in tutte le regioni del paese.

 

Noi brasiliani, mostriamo ogni giorno di più la nostra mancanza di impegno verso la collettività. Piuttosto che cercare di risolvere congiuntamente i gravi problemi che si presentano - che sono già innumerevoli - preferiamo prendere atteggiamenti individualistici che salvino il piccolo gruppo di cui facciamo parte. Se la violenza ci minaccia, costruiamo edifici. Se gli edifici sono insicuri, ci mettiamo addetti alla sicurezza. Se quelli non bastano, stendiamo recinzioni elettriche. Se anche questo non risolve, ci trasferiamo in condomini chiusi, ci isoliamo dal mondo e facciamo finta di sentirci al sicuro.

 

L' Institut of Economics and Peace stima che la violenza in Brasile costi ogni anno circa 765 miliardi di reais in spese per l'assistenza sanitaria, l'apparato di sicurezza pubblica e la macchina giudiziaria, il che equivale all'8% del PIL. Ma, oltre alle ragioni economiche, il maggior costo di violenza è indubbiamente, da un lato, la perdita di qualità della vita e dall'altro l'amarezza che ci avvelena. Provo vergogna e frustrazione nel lasciare in eredità ai miei figli un paese socialmente deteriorato - un luogo in cui l'obiettivo maggiore è quello di cercare di tornare vivo a casa dopo una giornata di lavoro.

 

Siccome non facciamo nulla, siccome incrociamo le braccia in un misto di fatalismo e indifferenza, finisco per ricordarmi di un terribile libello anticonformista del pastore tedesco Martin Niemöller (1892-1984), che in un sermone proferito a Berlino nel 1933, metteva in guardia:

 

"Un giorno sono venuti e hanno portato via il mio vicino di casa perché era ebreo. Dal momento che non sono un ebreo, non mi sono preoccupato. Il giorno dopo, vennero e portarono via un altro vicino di casa, perché era un comunista. Dal momento che non sono comunista, non mi sono preoccupato. Il terzo giorno sono venuti e hanno portato via il mio vicino cattolico. Dal momento che non sono un cattolico, non mi sono preoccupato. Il quarto giorno, sono arrivati per portar via anche me: non era rimasto nessuno a cui chiedere aiuto".

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