26.04.16
IL GRANDE TRADIMENTO
L'analisi di The Economist sulla situazione politica brasiliana il giorno dopo la votazione per l'impeachment della presidente Dilma Roussef
pubblicato il 23.04.16
traduzione di Paolo Solinas per il Resto del Carlinho Utopia
Il Congresso del Brasile ci aveva regalato delle scene particolarmente bizzarre gia a suo tempo. Nel 1963 il senatore Arnon Afonso de Farias Mello puntò una pistola verso un suo arcinemico, Silvestre Péricles, sparando tre colpi e uccidendo un altro senatore per errore. Il tutto senza essere giudicato o successivamente destituito. Nel 1998 un cruciale disegno di legge governativo fallì a causa di un membro del Congresso che spinse il tasto sbagliato sul suo dispositivo di votazione elettronica.
Ma lo spettacolo che la Camera dei Deputati ci ha offerto lo scorso 17 aprile rimane sicuramente fra i più grotteschi. Uno ad uno, 511 deputati si sono avvicinati ad un microfono affollato di gente intorno e, nel giro di dieci secondi a testa di fronte ad una nazione rapita davanti agli schermi, hanno votato per l’impeachment della presidente Dilma Rousseff.
Alcuni di loro erano avvolti da bandiere verde oro. Uno ha lanciato un razzo di coriandoli in segno di esultanza. Molti hanno dedicato il proprio voto alle loro città natali, alla religione, agli animali, e perfino ai broker assicurativi del Brasile. La mozione per far passare il procedimento contro Dilma Rousseff al Senato si è imposta, con 367 voti a favore, sette astenuti e 137 contrari.
Il voto è avvenuto in un momento di disperazione. Il Brasile sta lottando con la sua peggiore recessione dagli anni trenta. Il PIL , alla fine dell’anno, dovrebbe ridursi del 9% rispetto al secondo trimestre del 2014, quando la recessione è cominciata. L’inflazione ed il tasso di disoccupazione sono entrambi intorno al 10%.
Ma il fallimento non è solo opera della signora Rousseff. L’intera classe politica ha fatto sprofondare nell’abisso il paese attraverso un mix di negligenza e corruzione. Senza un’accurata pulizia interna, I leader brasiliani non riconquisteranno il rispetto dei cittadini, né supereranno i problemi dell’economia.
L’affossamento di Dilma
Il voto di domenica non è la fine del governo Rousseff, ma la sua destituzione non è mai stata così vicina. Il Brasile non dovrebbe rimpiangerla. L’incompetenza nel suo primo mandato (2011 – 2014) ha reso la già instabile situazione economica incomparabilmente peggiore.
Il Partito dei lavoratori (PT) è stato un attore di primo piano nel gigantesco sistema di corruzione intorno alla Petrobras, la compagnia petrolifera controllata dallo stato che aveva incanalato soldi da diversi imprenditori per riversarli nelle tasche di politici e partiti. Anche se la Rousseff non è stata personalmente implicata nell’accaduto, ha cercato di proteggere il suo predecessore, l’ex presidente Luiz Ignacio Lula da Silva, dalle indagini che lo stanno coinvolgendo.
Ciò che è allarmante è che coloro che stanno lavorando per la rimozione di Dilma Rousseff sono per certi versi ancora peggio. Se il Senato vota per sottoporla a processo, presumibilmente entro la metà di maggio, la Rousseff dovrà farsi da parte per 180 giorni. Il vice-presidente, Michel Temer, che viene da un altro partito, prenderà il suo posto e potrà mantenerlo se il senato rimuoverà Dilma definitivamente. Temer potrebbe dare respiro all'economia a breve termine. A differenza della sventurata signora Rousseff, sa come mettere le cose a posto a Brasilia ed il suo partito, il PMDB (Partito del Movimento Democratico Brasiliano) è più amichevole per il mondo del business rispetto al PT.
Ciononostante, il PMDB è anch’esso irrimediabilmente coinvolto negli scandali di corruzione. Uno dei suoi leader e presidente della Camera dei Deputati, Eduardo Cunha – che ha presieduto il teatrino di sei ore della seduta di impeachment di domenica scorsa – è sotto accusa da parte della Corte Suprema per aver ricevuto delle tangenti attraverso lo schema Petrobras. Annunciando il loro “no”, diversi alleati della signora Rousseff si sono riferiti a Cunha chiamandolo “gangster” e “ladro”.
La macchina della corruzione è dunque diffusa in tutti i partiti politici. Dei 21 deputati sotto inchiesta nella vicenda Petrobras, 16 hanno votato per l’impeachment della presidente. Circa il 60% dei membri del Congresso risultano indagati per reati penali. Non ci sono metodi rapidi per raddrizzare la situazione. Le cause della disfunzione politica brasiliana affondano le radici nell’economia basata sulla schiavitù del diciannovesimo secolo, nella dittatura del secolo scorso, fino ad un sistema elettorale odierno viziato che rende le campagne rovinosamente costose e copre i profitti dei politici.
Nel breve periodo, l’impeachment non risolverà il problema. L’accusa su cui si basa il processo di impeachment – secondo cui Dilma Rousseff ha manipolato i conti pubblici dell’anno scorso per far sembrare il deficit fiscale più piccolo rispetto a quanto non fosse – è così marginale che, nei dieci secondi di gloria che venivano concessi, solamente una manciata di deputati si sono ricordati di menzionarla fra i motivi che guidavano la loro decisione. La Rousseff verrebbe destituita per un cavillo tecnico e Temer dovrebbe lottare per essere visto come un presidente legittimo dalla larga minoranza dei Brasiliani che ancora sostengono Dilma.
In qualunque altro paese, un simile cocktail di declino economico e conflitto politico risulterebbe infiammabile. Eppure il Brasile pare
presentare ancora notevoli riserve di tolleranza a tutto ciò. Divisi come sono sulla questione della legittimità o meno dell’impeachment, i brasiliani hanno mantenuto per ora la loro rabbia sotto controllo. Gli ultimi tre decenni suggeriscono che il loro è un paese che può sopportare una crisi senza ricorrere a colpi di stato o crolli. E qui, forse, risiede un briciolo di speranza.
Il fatto che lo scandalo Petrobras abbia irretito alcuni dei più potenti uomini politici e d’affari del paese è un segno che alcune istituzioni, in particolare quelle che dovrebbero far rispettare la legge, stanno maturando. Uno dei motivi per cui i politici si trovano in questo guaio è che una nuova, più istruita e assertiva classe media ha rifiutato di arrendersi alla loro impunità. Alcuni degli statuti utilizzati ora per mettere sotto accusa i malfattori sono stati emanati dal governo della stessa Rousseff.
Un modo per catturare questo spirito sarebbe quello di tenere delle nuove elezioni subito. Un nuovo presidente potrebbe ricevere un mandato per intraprendere quel genere di riforme che i governi hanno eluso per decenni. Gli elettori meritano inoltre la possibilità di liberarsi di tutta quella parte della Camera infestata dalla corruzione. Solo dei nuovi leader e dei nuovi legislatori possono intraprendere le riforme fondamentali di cui il Brasile ha bisogno, soprattutto una riforma di un sistema politico troppo incline alla corruzione e ad una spesa pubblica incontrollata, che spinge l’asticella del debito verso l’alto e paralizza la crescita.
Soluzione di ripiego
Abbastanza verosimilmente, il percorso di rinnovamento attraverso le urne non è esente da ostacoli. Data la sua composizione, è difficile che in Congresso passi un emendamento costituzionale per la dissoluzione dello stesso e la preparazione delle elezioni anticipate. Il tribunale elettorale potrebbe teoricamente ordinare un nuovo ballottaggio presidenziale, basandosi sul fatto che le tangenti di Petrobras hanno contribuito a finanziare la rielezione di Dilma Rousseff e Michel Temer nel 2014. Ma questa situazione è lungi dal concretizzarsi.
Vi sono dunque buone probabilità che il Brasile sia condannato a trascinarsi avanti sotto la guida di questa generazione di leaders screditati. Gli elettori non dovranno dimenticare questo momento. Perché, alla fine, avranno la possibilità di andare alle urne – usando presumibilmente il loro voto per avere qualcosa di meglio.
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Il Brasile sta attraversando una crisi d’identità, non solo un impeachment
di Eliane Brum, pubblicato su The Guardian
Quando ieri il Congresso brasiliano ha votato a favore dell’impeachment di Dilma Rousseff, la democrazia ha assunto le sembianze di una farsa. (...) In questo giorno storico, i brasiliani hanno imparato una pericolosa lezione sulla loro giovane democrazia: i loro voti non contano più. (...) La crisi in Brasile non è solo politica e economica, è anche d’identità. Fin dalle manifestazioni di protesta del 2013 le immagini stereotipate che il paese osserva quando si guarda allo specchio non sembrano più vere. Quando persone con opinioni diverse devono esser separate da un vero muro per evitare che si attacchino, si segna la morte dello stereotipo di un popolo cordiale e ospitale che aveva apparentemente sconfitto razzismo e diseguaglianze senza alcun conflitto. Forse i brasiliani hanno ancora bisogno di capire chi sono, ma hanno già iniziato a capire chi non sono. Le contraddizioni non possono più essere soffocate.
Il Brasile rischia di riportare indietro l'orologio della democrazia
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Ancora un brillante articolo della nota giornalista e scrittrice brasiliana sull'acuta crisi politico-sociale brasiliana, scritto per il sito britannico del The Guardian. "Alla luce della crisi corrente, che non è solo politica ed economica, ma anche d’identità, la cosa peggiore che potrebbe accadere al Brasile sarebbe tornare indietro nel tempo; invece di affrontare i suoi difetti cronici per costruire un futuro, ricreare il passato della nazione a propria immagine e somiglianza. Il rischio che questo possa accadere è sembrato sempre più probabile negli ultimi giorni. E considerata la perdita di fiducia nei politici e nei partiti politici tradizionali, segnati da continue accuse di corruzione, il potere giudiziario sta colmando il vuoto politico"...
Dio rovescia la presidente del Brasile
367 sì, 137 no, 7 astenuti. È impeachment. Gran parte dei deputati che ieri hanno votato per l'impeachment della presidente Dilma Rousseff sembravano aver dimenticato le reali motivazioni che erano in discussione. Tanti deputati hanno difeso la necessità dell'Impeachment della presidente Dilma agitando le più diverse ragioni: "Per mia moglie Paula", "per mia figlia che sta per nascere e per mia cugina Helena", "per mio nipote Gabriel", "per mia zia che ha avuto cura di me quando ero bambino", "per la mia famiglia e la mia regione", "per Dio", "per i militari del 1964", "per tutti gli evangelici".... Molto indietro sono rimaste le "pedalate" fiscali e i crediti supplementari, le vere questioni all'ordine del giorno totalmente dimenticate da questi nobili deputati... Difendendo la famiglia, la proprietà privata, Dio e la dittatura militare, hanno mostrato la vera faccia di un Congresso che è il più conservatore a partire dal 1985...
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Il momento del Brasile, culminato con le manifestazioni del 13 marzo, mostra i rischi di un’adesione spinta dalla fede: bisogna resistere grazie alla ragione.
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