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02/05/14

Rio de Janeiro. Gli abitanti delle favelas "pacificate" denunciano
le cosiddette "morti da caduta" come strategia della polizia per nascondere i suoi crimini

di Catarina PedrosoViomundo 30 aprile 2014

traduzione in italiano a cura di Carlinho Utopia

 

La morte di Douglas Rafael Pereira da Silva, "DG", ballerino del programma "Esquenta" in onda su TV Globo, ha scatenato le proteste dei degli abitanti delle favelas Pavão-Pavãozinho, nella Zona Sud Rio de Janeiro, guadagnando spazio sui media negli ultimi giorni. Durante le proteste, un'altra persona è stata uccisa. Edilson Silva dos Santos è morto per un colpo di pistola alla testa, causando ancora più indignazione nella popolazione. Ma non è da oggi che i residenti della favela Cantagalo e Pavão-Pavãozinho, situata tra i quartieri di Copacabana e Ipanema, si lamentano e si organizzano contro la violenza deRlla polizia UPP (Unità di Polizia Pacificatrice) installata nel complesso.

 

Deize Carvalho è oggi una dei leader della favela Cantagalo e una delle principali voci di denuncia degli abusi della polizia. Suo figlio, Andreu Luis da Silva de Carvalho, è stato ucciso il 1 gennaio 2008. Nella versione ufficiale, molto simile a quella sostenuta dalla relazione preliminare della Polizia Civile sulla morte di DG, Andreu sarebbe caduto da un muro, nel tentativo di fuggire.

 

Ma, secondo la denuncia dei pubblici ministeri, tre anni dopo, il giovane è stato picchiato e torturato a morte da agenti DEGASE (Dipartimento Generale di Azioni Socioeducative). Le "morti per caduta" sembrano essere tanto più spesso l'argomento usato dalla polizia, quanto quello contestato dai residenti. Passeggiando per i vicoli della collina del Cantagalo, una signora avvicina Deize con la stessa indignazione: la polizia aveva dichiarato che suo nipote era caduto da un tetto. "Bugia!", diceva lei. "E 'stato picchiato da poliziotti militari dell'UPP". E la signora lo ha detto a voce ben alta proprio accanto a un gruppo di PM (polizia militare), che se ne stavano lì con aria indifferente.

Deize Carvalho, la mamma de Andreu Luis da Silva de Carvalho

La storia di Andreu

 

Andreu era già passato per due volte dall'ex Istituto Padre Severino (ora Centro Socio-educazionale Don Bosco), a Rio de Janeiro, legato alla DEGASE, quando venne arrestato nuovamente alla fine del 2007. Fin dalla prima internazione, Deize aveva denunciato i maltrattamenti che i ragazzi subivano presso l'Istituto.

 

"Vedevo i ragazzi picchiati. Mio figlio appariva contuso. Se per strada c'erano 40°C, dentro ce ne saranno stati 50. I ragazzi indossavano giacca e pantaloni della tuta per nascondere i lividi delle botte che prendevano. Quando andavo a denunciarlo, alla direzione della DEGASE, mio figlio veniva picchiato ancora di più. Lui rimase marcato dagli agenti".

 

Una donna d'affari, il cui nome Deize preferisce non rivelare, toccata dalla storia di Andreu cominciò ad aiutarlo. Riuscì ad evitare che venisse arrestato ancora una volta, racconta la madre, pagando tangenti alla polizia. Il 31 dicembre 2007, quando un colonnello degli Stati Uniti venne rapinato sulla spiaggia di Ipanema, la polizia salì alla collina del Cantagalo e arrestò Andreu, che aveva 17 anni, accusandolo di aver commesso il crimine. Portato al Centro de Triagem e Recepção (CTR) dello stesso Istituto Padre Severino, Andreu, secondo la denuncia del pubblico ministero, venne torturato a morte da sei agenti della DEGASE.

Deize racconta di essetre venuta a conoscenza dei dettagli sulle aggressioni attraverso altri ragazzi che stavano nell'Istituto. Secondo i rapporti, Andreu venne soffocato con un sacchetto di plastica, costretto a mangiare sapone in polvere, fu percosso con una sbarra di ferro, riportò 30 perforazioni sul corpo fatte con un manico di scopa spezzata a metà, venne calpestato rompendogli la mandibola ed il collo, oltre che un distacco di retina. Quando gli ufficiali si resero conto che non rispondeva più, avrebbero ordinato ad altri adolescenti di ripulire il suo corpo per portarlo in ospedale.

 

Anni dopo, il corpo di Andreu venne riesumato per decisione del Tribunale. All'apertura della bara, Deize potè vedere i segni della violenza subita dal figlio. "Il cranio era incrinato. Ma il medico legale omise tutti questi fatti, le fratture. Disse che aveva una frattura del cranio, ma senza dire da cosa fosse stata provocata. Forse da un ictus o forse da una caduta", disse. "Ancora oggi non riesco a vedermi in questo video [la registrazione dell'esumazione] perché è un grandissimo dolore, mi fa ricordare tutto", racconta Deize. "Ascoltare il mio grido di dolore, di disperazione, è molto doloroso. E sapere che il medico legale ha omesso fatti importanti, anche. Il corporativismo degli agenti dello stato è molto grande.

 

"Loro non nascono imbracciando il fucile."

 

La lotta di Deize che ha avuto inizio tra le mura della DEGASE, si estese alla comunità in cui vive, facendolo diventare un punto di riferimento per le denuncie di azioni arbitrarie da parte di agenti dello stato. "Nessuna madre genera un figlio e lo cresce, per vederlo nella situazione in cui io l'ho visto. Oggi mi batto per la giustizia e perché altri giovani non debbano avere la stessa sorte di mio figlio."

Oggi, molti giovani del Cantagalo, dimessi da istituti socio-educazionali o da prigioni, ricorrono all'assistenza di Deize sostenendo di essere perseguitati dagli agenti della UPP. Con la cosiddetta pacificazione del Cantagalo, nel 2009, il suo lavoro si è intensificato. Secondo Deize, è molto frequente che gli agenti della UPP perseguano impegnati gli ex detenuti con minacce e intimidazioni. Percosse e torture, dice, sono cose comuni.

Le UPP sono responsabili dell'autorizzazione o veto di feste, balli e altri eventi della comunità. Al Cantagalo, non è raro che organizzatori di eventi non permessi dalla UPP, raccontano i residenti, siano arrestati per disobbedienza ed oltraggio. Deize mette in discussione l'unico modo in cui lo stato è presente per le popolazioni povere: con la violenza. "Non siamo noi, le madri, che generiamo i nostri figli con il fucile. Loro non nascono imbracciando il fucile."

 

Il caso Amarildo e la "pace armata"

 

“Paz armada” (pace armata). E' questo il nome dell'operazione di polizia per combattere il narcotraffico durante la quale l'aiutante muratore Amarildo Dias de Souza, 47 anni, è "desaparecido" (scomparso) alla favela Rocinha. Oggi, 25 PM (poliziotti militari) coinvolti nel caso sono accusati dal Pubblico Ministero per i crimini di tortura, occultamento di cadavere, frode processuale e reati associativi. Di questi, 13 sono agli arresti.

Il nome è emblematico della situazione che Rio de Janeiro vive oggi con la politica di "pacificazione" intrapresa dal governo statale, di Cabral e Pezão (entrambi del PMDB). La tranquillità delle strade principali delle favelas di Rio si mantiene a spese di un pattugliamento massiccio e poco amichevole.

Ma di notte, per i vicoli della favela, dicono i residenti, quella sicurezza apparente non esiste più.

 

Michelle Lacerda, nipote di Amarildo, dice che i poliziotti della Rocinha, durante la notte, lavorano senza identificazione.

"Sembra che i poliziotti di giorno siano completamente differenti da quelli di notte. Durante il giorno, sembrava di vivere in paradiso. Di notte, non ci sono regole". La dimensione della violenza della polizia vissuta dalla comunità va oltre le aggressioni fisiche. Michelle Lacerda racconta che, anche oggi, gli occhi di Donna Jurema, madre adottiva di Amarildo, si riempiono di lacrime quando sente nominare il nome di suo figlio. "Ho il cuore a pezzi," dice. Elizabeth Gomes Silva, moglie di Amarildo, sta ricevendo assistenza psicologica alla UPA (Unità di Pronto Soccorso), ma dice che secondo lei non sta funzionando. "Non riesco a togliermi dalla testa il pensiero della morte di mio marito."

Cittadinanza patteggiata

 

Se l'implementazione delle unità di polizia permanenti ha portato alcuni benefici per la comunità, in particolare sostituendo le cosiddette "incursioni belliche" (operazioni sistematiche e sempre disastrose di lotta al narcotraffico, condotte dalle squadre speciali del BOPE e dall'esercito), la convivenza con i PM rivela la violenza della militarizzazione della vita quotidiana e la criminalizzazione della povertà.

 

Con la giustificazione di porre fine al narcotraffico nelle favelas e di dare diritto di cittadinanza ai suoi abitanti, lo Stato si mostra presente unicamente attraverso le forze di polizia. La loro azione repressiva, oltre ad essere molto lontana da quello che sarebbe auspicabile in tema di politica comunitaria, incide in forma autoritaria sulle più diverse questioni della vita quotidiana.

 

Secondo Renato Cinco, consigliere comunale del PSOL, quello delle UPP non è un progetto di sicurezza pubblica, ma "un progetto di città" incentrato sulla speculazione immobiliare. "E' un progetto di gestione militare della povertà e della miseria.

Anche per Orlando Zaccone, ispettore che ha indagato sulla morte di Amarildo, la "pacificazione", molto più che una politica di sicurezza pubblica, è una politica di controllo sociale. "Per poter 'essere un cittadino', le persone devono accettare di essere perquisite all'uscita dalle loro case. Devono accettare di non avere le autorizzazioni per feste e balli in un determinati orari, accettare che il commercio funzioni secondo leggi e regole completamente diverse rispetto al resto della città", ricorda. "Si tratta di una cittadinanza barattata sulla base di questo stato di polizia".

 

Nell'agosto 2013, il governatore Sergio Cabral fece decadere la "Risoluzione 013", che dava al comando delle UPP il diritto di veto sullo svolgimento di eventi artistici. Ma, secondo Deize, malgrado la risoluzione non sia più in vigore, i veti continuano ad essere in vigore. "Loro continuano ad impedire qualsiasi evento culturale, anche se si trattasse solo di un "baile funk" (festa con musica funky) all'interno della comunità."

 

Ma in che modo si elimina il diritto di cittadinanza degli abitanti delle favelas? Queste arbitrarietà possono essere commesse solo, secondo Zaccone, grazie alla costruzione sociale della figura del criminale. "Nessuno immagina, dice l'ispettore, che sia il sistema finanziario ad essere il beneficiario dei profitti derivati dal narcotraffico. Si immagina che sia l'abitante della favela, il pusher a trarne unicamente profitto. Non è così. Queste sono soggettività che vengono costruite in ambiente sociale e che definiscono il crimine e il criminale. La distinzione tra il consumatore ed il rivenditore non sta nella legge, ma nelle decisioni che gli operatori del diritto fanno in base a questo criterio selettivo."

 

E' questa costruzione sociale, secondo l'ispettore, che legittima gli spazi di povertà come spazi d'eccezione, che possono essere sottoposti a regimi di controllo arbitrari. In una recente intervista a Viomundo, il deputato Marcelo Freixo (PSOL-RJ), ha affermato che le UPP "non sono state pensate per avere la mediazione della società civile." "[Le UPP] Non sono progettate per generare diritti," ha detto Freixo, che ha definito il progetto come "una produzione di silenzio in aree strategiche".

 

Secondo i residenti, i meccanismi di dialogo con la popolazione sono praticamente inesistenti. Con grande difficoltà, dicono, riescono ad accedere a riunioni per discutere alcune questioni e, quando accade, questi incontri, lungi dall'essere momenti democratici, sono caratterizzati da tensione e autoritarismo. "Alcune persone vorrebbero [denunciare], ma altre hanno molta paura, perché vengono minacciati: 'So dove vivi, so quello che fai". Ho sentito poliziotti dire così: "Apri gli occhi, la notte è lunga, e durante la notte nessuno appartiene a nessuno", racconta Deize.

 

Quando chiedo a Elizabeth Gomes Silva, la moglie di Amarildo, se ha paura di rappresaglie, lei dice di no. "Ma le persone mi domandano se ho paura così spesso, che mi sta cominciando a venire quella paranoia", dice. "Se dovressi sparire, saranno stati loro a prendermi. Ma io posso rimanere chiusa in casa? No, io ho da camminare."

Elizabeth Gomes Silva, moglie di Amarildo  (Foto Catarina Pedroso)

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