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11.06.15

Il massacro degli insegnanti di Curitiba

Ignorare ed umiliare un insegnante si puo'. Soffocarlo e ferirlo no.

Quello che si puo' infliggere ad un educatore senza provocare indignazione mostra la grandezza del baratro in cui si trova la scuola pubblica in Brasile

di Eliane Brum*, pubblicato su El Pais l'11.05.15
traduzione di Clelia Pinto e Carlinho Utopia

“Loro ci stanno sparando addosso”

La frase attraversa i video sul massacro degli insegnanti, eseguito dalla Polizia militare del Paraná a servizio del governo di Beto Richa (PSDB-), il 29 aprile scorso. Professori che svengono, insegnanti che si sentono male per le bombe di gas lacrimogeno, insegnanti feriti da proiettili di gomma. Un pitbull della PM azzanna la gamba di un reporter. C’è sangue nella piazza di Curitiba, di fronte alla “Casa del popolo”, l’Assemblea Legislativa dello Stato. Alla fine, si contano circa 200 feriti.

 

Ma più delle immagini, è questa frase anonima, di una voce femminile, che mi tocca con più forza. Perché c’è in essa un’incredulità, un punto interrogativo amareggiato tra le righe e in fine la comprensione di essere arrivati a un punto di non ritorno. Dopo essere stata umiliata da stipendi bassi, dopo essere stata insultata da genitori e allievi, ora la polizia può spararle. E sparava. E se le bombe di gas, le bombe ad effetto (im)morale non uccidono, per lo meno non immediatamente, la sensazione è di morte. (ndt. il gioco di parole allude alle "bombas de efeito moral" cioè "bombe ad effetto morale", granate stordenti che esplodono facendo un gran rumore per provocare il panico tra i manifestanti e disperderli)

 

Lo spavento causato dalla percezione che non ci fosse più limite a quel che si può infliggere a un insegnante era la prova che un insegnante non era più un insegnante. Tutta l’aura che avvolge chi insegna si svuotava in sangue nella piazza di Curitiba. I poliziotti, i cui figli probabilmente sono allievi di quegli educatori, erano autorizzati a sparare. Questo estremo, quello del confine superato, ha provocato una commozione nazionale. E va disegnando un quadro infernale per il governatore Beto Richa, esplicitato da una crisi nel governo del Paraná che ha portato finora alla dimissione di due segretari, quello dell’Educazione e quello della Sicurezza Pubblica, e del comandante della Polizia Militare.

 

All’improvviso qualcosa si è rotto ed è diventato inaccettabile per una parte significativa della società. C’è stato persino chi ha tentato di trasformare i professori in “vandali”, la parola usata per criminalizzare tutti quelli che protestano, fin dalle manifestazioni del 2013. C’è stato anche chi ha chiamato "scontro" questo massacro, trucco per trasmettere l’idea che ci fossero parti equivalenti in conflitto. Ma le immagini e i racconti erano troppo evidenti. In internet, le reti sociali  hanno svolto ancora una volta il ruolo di amplificatori delle voci, garantendo un numero maggiore di narrative per dar conto della complessità del 29 aprile. I collettivi di media indipendenti hanno avuto innegabile importanza nella documentazione della storia in movimento.

Massacro insegnanti a Curitiba

È spaventoso che alcuni abbiano tentato di giustificare, in piena democrazia, il massacro in una piazza pubblica degli insegnanti del Paraná. In questo tentativo di criminalizzare chi protesta e, al tempo stesso, legittimare l’azione di polizia, come se le forze di sicurezza dello stato non si fossero comportate come forze criminali, c’è qualcosa in corso a cui dobbiamo prestare molta attenzione. Non c’è equivoco d’innocenza in questa versione.

Ma mi piacerebbe soffermarmi qui su qualcosa che mi sembra altrettanto inquietante, anche se al contrario. È un segno di speranza che gran parte della società brasiliana, in cui mi includo, si commuova di fronte alla violenza contro i professori. Non ci sono dubbi su questo. Ma sono possibili almeno due domande.

La prima è: perché è questo il limite che produce indignazione?

La seconda: quanto quel ch’è diventato visibile rivela e rinforza soltanto l’invisibilità maggiore?

 

Quando sono testimone di manifestazioni di ripudio del massacro di Curitiba, sento questo misto di speranza e di fastidio.

Speranza per ovvi motivi. Chissà che non sia l'ora della sveglia, per tutti noi, di fronte al baratro dell’educazione in Brasile? Anche perché la perdita di popolarità del governatore Beto Richa e la crisi del governo sono diventate un vero incubo per gli altri governatori.

 

Ora, il fastidio. Cosa questo limite rivela su ciò che non ha limite?

È lodevole che le persone si rivoltino nel vedere i professori sanguinando o svenendo o venendo minacciati da cani pitbull. Se non ci rivoltassimo neanche per questo sarebbe ancora più drammatico.

Ma perché vedere per decenni i professori brasiliani, dei diversi stati del paese, ricevere salari incompatibili con una vita dignitosa è un fatto con cui sembra possibile convivere, così possibile che siamo arrivati a questo punto dopo 30 anni di democrazia? Perché le scuole che cadono letteralmente a pezzi, naufragando a ogni pioggia, in una materializzazione esplicita della situazione cronica dell’istruzione pubblica, è qualcosa alla quale la maggioranza si abitua? Perché il fatto che i professori siano minacciati dagli alunni, e a volte dai loro genitori, in aula, in un confronto tra disperati, una versione urbana di guerra tra poveri che interessa ogni angolo del paese è qualcosa che si tollera?

Massacro insegnanti a Curitiba

In sintesi:

si può pagare uno stipendio indecente, si può mettere gente che insegna e gente che impara sotto un tetto che può cadere, si può quasi tutto. L’unica cosa che non si può fare è ferire con proiettili di gomma e soffocare con i gas lacrimogeni. Ah, anche il pitbull è meglio evitarlo.

 

Bene, è questo che i governatori hanno appena imparato che non possono fare senza provocare il ripudio degli elettori. Ma tutto il resto… forse in questo senso può giustificarsi una certa perplessità della Polizia Militare, del governo del Paraná e di alcuni settori della società brasiliana e della stampa tradizionale: come sarebbe a dire che non si possono menare questi facinorosi che dovrebbero stare in aula e non in piazza a protestare? Non puoi manganellare questi “vandali” che hanno l’ardire di ritenere che la casa del popolo sia del popolo?

 

Almeno si è scoperto che c’è un limite a quel che si può infliggere a un insegnante, una frontiera demarcata dalla reazione della società al massacro di Curitiba. Ma che limite senza vergogna il nostro.

 

Chiunque, di qualunque classe sociale, in qualunque sfera di potere ripeterà che “l’educazione deve essere una priorità” o che “l’educazione è la maggior sfida per il paese” o che “senza migliorare l’educazione il Brasile non sarà mai un paese sviluppato”. È un consenso, quasi un luogo comune. Ma, di nuovo, è un consenso proprio senza vergogna. È il consenso più vuoto del Brasile contemporaneo, è quasi una flatulenza. Che non se ne senta la puzza è soltanto un altro segnale di questa ipocrisia da salotto.

Di fatto, a una buona parte di quelli che hanno voce e potere di pressione per cambiare questa situazione poco importa. "Perché l’élite brasiliana è stupida” come ha già scritto il mio collega Luiz Ruffato. Principalmente perché l’élite brasiliana crede che i suoi figli siano in salvo. Questa illusione che i “miei” figli siano in salvo, mentre per i figli degli altri sento pena, mi dispiace, scusa tanto, vorrei sinceramente fosse diverso, ma non mi disturba abbastanza da fare di questo una grande questione nella mia vita. In fondo, chi ha tempo per questo, dovendo farsi in quattro per pagare i prezzi esorbitanti di una scuola privata che trasforma l’educazione in una merce cara?

 

Inclusione sociale in Brasile significa salire sulla barca di quelli che si possono salvare. La classe media crede che i suoi figli siano in salvo e una parte di quelli che sono saliti, nel decennio scorso, in quella che si definisce "Classe C" ha fatto un grande sforzo per immatricolare i suoi figli in scuole private quando la situazione finanziaria lo ha permesso. Un figlio nella scuola privata- e pertanto presumibilmente in salvo dalla pessima educazione pubblica- è parte di quel che significa essere classe media in Brasile. Dei più ricchi, nemmeno a parlarne.

 

È ovvio - o dovrebbe esserlo - che la cattiva qualità dell’educazione offerta a questa entità chiamata “popolo brasiliano” in qualche momento colpirà i privilegi dei più ricchi. La mano d’opera non qualificata è un problema serio in Brasile, con ricadute in qualsiasi proiezione futura. Allora, anche se per egoismo o pragmatismo, l’élite economica dovrebbe preoccuparsi, cosa che già succede a (molti) pochi imprenditori, ma la preoccupazione è immensamente inferiore alle dimensioni della catastrofe.

 

Forse ci sarebbe un cambiamento se le persone capissero che i loro figli sono meno in salvo di quel che credono.

Primo, perché la scuola privata e l’educazione di qualità non sono sinonimi. Tutt’altro. Soltanto poche scuole, in generale le più care, l’élite dell’élite, ha una qualità riconosciuta. Anche così, sono appena mediocri in relazione al livello delle loro consimili in paesi del mondo dove l’educazione è una priorità.

Secondo, l’educazione è lontana dall’essere soltanto un contenuto formale. L’educazione è un processo molto più complesso, in cui la diversità delle esperienze è fondamentale. È chiaro che quell’élite, abituata da secoli a decodificare la differenza come inferiorità ha difficoltà a comprendere la diversità di esperienze come ricchezza. Per essa, il diverso era per primo lo schiavo, poi il cameriere o subalterno, qualcuno da cui non aveva nulla da imparare, visto che la sua unica funzione era servire.

C’è, però, un’ élite intellettuale e una classe media con un’altra origine, da cui ci si potrebbe aspettare una visione meno stupida. Quel che molti genitori non capiscono è che la scuola privata, in quanto ghetto di uguali, è un riproduttore di privilegi ma anche di ignoranze. È anche un riproduttore di povertà non materiali.

 

Per fare un esempio banale,  prima o dopo i genitori potrebbero capire che i ragazzi che hanno già viaggiato abbastanza in giro per il mondo in viaggi “protetti”, ma non hanno mai preso una metropolitana o un autobus di linea in qualche luogo, possono avere qualche difficoltà nell’affrontare la vita così com’è.

 

Perché la vita così com’è, prima o dopo e in qualche misura, arriva per tutti. E possono, principalmente, aver perso un universo di esperienze creatrici e creative non solo per l’essere incapaci di attraversare i ponti, ma anche perché nemmeno sospettano quanto sia importante attraversarli.

 

In un paese con un’educazione pubblica in rovina nessuno si salva, nemmeno i figli dell’élite. Anche se è ovvio che questi siano più in salvo di tutto gli altri. Quello che voglio enfatizzare è l’ipotesi che l’illusione di essere in salvo compia un ruolo fondamentale nel mantenere le rovine così come sono.  È nella convivenza con le cose con cui non si dovrebbe convivere, nell’accettazione della mancanza di dignità come qualcosa di dato, nella tolleranza dell’intollerabile che sta la situazione dei professori e delle scuole in Brasile.

 

Quel che voglio dire è che la commozione pubblica di fronte al massacro di Curitiba, se da un lato è lodevole, dall'altro è anche indicativa del fallimento, anche etico, della società brasiliana. 

È anche dai suoi limiti che capiamo la logica di una società. E il limite qui è: si può umiliare un professore, pagarlo male, sottometterlo a condizioni insalubri di lavoro. Non puoi ferire esplicitamente il suo corpo.

 

Certo l’ampliamento dell’accesso all’educazione formale è molto recente in Brasile. E il salto che avrebbe dovuto esser fatto è rimasto a metà. 

Massacro insegnanti a Curitiba
Massacro insegnanti a Curitiba
Massacro insegnanti a Curitiba
Massacro insegnanti a Curitiba

Per molti genitori delle classi più povere, loro stessi analfabeti o figli di analfabeti, il solo fatto di riuscire a immatricolare il figlio in una scuola, anche se in un’istituzione di cattiva qualità, già è un passo avanti. Così come lo è stato per i genitori di "Classe C" avere un figlio con un diploma universitario, anche se ottenuto in una facoltà di terz’ordine.

 

La via d'uscita trovata dai più poveri, lezione imparata dalla classe media tradizionale, è individuale. Per questo, una delle prime misure di ascensione sociale è riprodurre il ciclo: iscrivere il figlio in una scuola privata, lasciando quella pubblica ai più fragili, ai meno visibili, quelli con poca o nessuna voce. Il passo successivo di chi è stato storicamente sottomesso non è diventare cittadino, ma cliente. Sembra più facile aderire alla logica del mercato. Chi non è ancora riuscito a fare la conversione, ambisce a farla. Accetta la versione perversa che il miglioramento sta nelle sue mani, che sono il padre o la madre di famiglia che devono cambiare classe se vogliono dare una buona educazione ai figli.

 

In un Brasile ancora infettato dalla mentalità della "Casa Grande" e della "Senzala" (ndt. Ai tempi della schiavitù, la "casa grande" era la villa dei padroni bianchi, mentre gli schiavi vivevano in alloggiamenti chiamati "senzala"), così spesso riattualizzata per mantenersi in vigore, per molti è ancora difficile intendere l'educazione quale diritto fondamentale che è. Ed esigerlo dallo stato attraverso un percorso di cittadinanza. Ed è sempre a causa di questa mentalità, secondo la quale la qualità dell'educazione diventa un problema dalla soluzione individuale e privata e non una lotta pubblica e collettiva, che la rivolta è soffocata e gli insegnanti saranno sempre più emarginati, svuotati di dignità, luogo e significato.

 

È così che va avanti il "Brasile, patria educatrice", paese che ha uno dei peggiori salari degli insegnanti del mondo. Il motto del secondo mandato della presidente Dilma Rousseff (PT) è solo un altro segnale dell'assurdo, di una specie di realismo della distruzione. (ndt. "Brasile patria educatrice" è lo slogan del governo federale brasiliano scelto dalla presidente Dilma Rousseff e presentato durante la cerimonia d'insediamento del suo secondo governo, avvenuta il primo gennaio del 2015. Nel corso del discorso d'insediamento, la presidente promise solennemente che l'educazione sarebbe stata la "priorità delle priorità" dei suoi prossimi 4 anni di governo.)

 

La depredazione delle scuole da parte degli studenti è anche una risposta tortuosa alla depredazione originale, quella dello Stato, che lascia marcire le scuole, dando prova evidente che chi vi si trova è considerato un cittadino di seconda o terza categoria. La violenza diretta degli studenti e, talvolta, anche dei genitori degli studenti nei confronti degli insegnanti è anche il segnale che la lezione data dallo Stato è stata ben compresa: l'Insegnante vale poco, quasi nulla.

Massacro insegnanti a Curitiba

E mentre studenti ed insegnanti si violentano mutualmente, coloro che hanno la responsabilità di cambiare questa situazione non si dimostrano infastiditi.

È  conveniente che le vittime si aggrediscano tra di loro, spesso all'interno di scuole che assomigliano sempre più  a dei bunker in cui proteggersi dalla comunità, il che, da solo, già evidenzia la dimensione della tragedia. Se questa realtà oltrepassa i muri della scuola per occupare spazi geograficamente e simbolicamente più centrali, si chiama la polizia militare. E allora uomini pubblici come Beto Richa si sentono a loro agio nel dichiarare, con il volto addolorato: "Non c'è nessuno più ferito di me. Sono ferito nell'anima. Il più colpito oggi sono io." No, governatore. Ma proprio no. Capisco che ci abbia provato, ma non funziona.

 

Ora, la seconda domanda che ho posto all'inizio di questo articolo, e che allude al gioco tra il visibile e l'invisibile. O, ripetendo: quello che è diventato visibile rivela appena e rinforza l'invisibilità di fondo? Il sangue degli insegnanti nel massacro di Curitiba li ha resi visibili al paese, ma è una visibilità illusoria. In questo momento, scioperi d'insegnanti svuotano le classi scolastiche di vari stati e comuni brasiliani. E dov'è la sorpresa? Dov'è lo spavento? Dove sono i titoloni sui giornali? Dov'è l'indignazione?

È molto minore di quello che il buon senso e la catastrofe educazionale brasiliana suggerirebbero.

Per questo. Perché si puo'. In pratica è diventato accettabile che i più poveri restino senza lezioni o abbiano un'educazione di cattiva qualità. L'importante è che non si soffochino gli insegnanti con i lacrimogeni e non li si ferisca con le pallottole di gomma in centro. Questo  no, così si esagera, non vi pare?!  E la società si indigna. Nulla di più che una diversa versione del: "stupra pure, ma non ammazzare".

 

Il paradigma è forse lo Stato di San Paolo, governato da più di 20 anni dal PSDB. A San Paolo, gli insegnanti sono in sciopero da quasi due mesi, ma il governatore Geraldo Alckmin è arrivato ad affermare: "In realtà non esiste sciopero degli insegnanti". Non ha spiegato di quale realtà stesse parlando.

Geraldo Alckmin è forse il politico che al momento maggiormente merita l'attenzione del paese, ancor più del suo collega Beto Richa. Sottostimato con il soprannome di "picolé de chuchu" (ndt. un gelato da passeggio al gusto di chuchu, il frutto di un ortaggio coltivato in america latina noto per il suo scarso sapore), il che alluderebbe ad una supposta mancanza di personalità, si vede da lontano che è una delle personalità più nebulose del Brasile di oggi. Su Alckmin, gli accademici dovrebbero essere impegnati a scrivere delle tesi e la stampa articoli di peso. Quel sopranome non ha alcun riscontro nella pratica concreta del suo governo.

Il governatore di San Paolo ha scelto nella sua espressione pubblica, nel relazionarsi con la popolazione e con la stampa, la politica della negazione. Tutto quello che pregiudica la sua immagine ed i suoi ambiziosi piani elettorali, non esiste. Non esiste il razionamento dell'acqua, non esiste lo sciopero dei professori. E, cosa sorprendente: funziona.

 

Geraldo Alckmin è stato rieletto al primo turno in piena crisi idrica, dicendo che la crisi idrica non esisteva. Ora, affronta lo sciopero degli insegnanti con la stessa flemma. Mentre Beto Richa, che si apprestava a diventare un esponente del PSDB, manda la sua polizia militare a massacrare gli insegnanti, Alckmin preferisce far finta che gli insegnanti in sciopero non esistano. Qual è la perversità maggiore? O la maggior furbizia? 

Geraldo Alckmin - Beto Richa - Dilma Rousseff

Beto Richa, con la popolarità in caduta libera, sopranominato addirittura "Ritler" in articoli e post sui social media; Alckmin, soprannominato "picolé de chuchu" che continua ad avanzare, malgrado tutte le crisi, con gli occhi puntati alle elezioni presidenziali del 2018.

Posso solo suggerire che Geraldo Alckmin conosce bene i suoi elettori.

Eliane Brum

Eliane Brum

 

è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.

Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.

Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).

 

Site: elianebrum.com | Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum

 

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