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Fino a quando questo sterminio del popolo nero, povero e delle favelas?

 

"Io non sono libera, mentre un'altra donna è imprigionata, anche se le sue catene sono diverse dalle mie ... " [Audre Lorde]

 

di Sheila Dias, dal sito Blogueiras Negra              

Claudia da Silva Ferreira, donna, madre, figlia della classe lavoratrice, povera, favelada e NERA... Trentotto anni e il compito di allevare quattro figli/e e quattro nipoti. La traiettoria di vita di Claudia da Silva Ferreira non sarebbe uscita dall'anonimato se la vita non le fosse stata brutalmente strappata alla piena luce del sole. Non era un giorno qualunque, era una domenica. Probabilmente era stata sfruttata per tutta la settimana nel suo posto di lavoro e attendeva con ansia il fine settimana per lavorare il doppio a casa, ma questo lavoro, per tanto faticoso che fosse, lo faceva con soddisfazione, perché circondata dai figli, dal compagno, dalla famiglia e dagli amici.

 

Oltre all'errore di essere nata nera, donna e povera, Claudia portava nelle sue mani un bicchiere di caffè e pochi spiccioli. Quello che stava trasportando, doveva assomigliare così tanto ad una pistola, da dare il diritto ai poliziotti in servizio nella favela di spararle alla testa e al torace. Con raffinata crudeltà, hanno trascinato il suo corpo per le strade del quartiere, come facevano all'epoca della schiavitù, quando si trascinavano i neri ribelli per dare l'esempio agli altri insorti. Ciò che è scioccante in questa scena brutale, è che si trattava di una giornata di sole, di una domenica mattina (fosse stata notte, il suo corpo probabilmente sarebbe stato gettato in qualche angolo nascosto e, se casualmente rinvenuto, lo si sarebbe giustificato con la solita menzogna del suo coinvolgimento con i "banditi" così come hanno cercato di fare con Amarildo e come fanno ogni giorno con i nostri giovani), le strade erano affollate, i negozietti lavoravano, i bambini stavano in piazzetta, altri, chissà, se ne stavano andando alla spiaggia... nonostante la sparatoria, in quel quartiere la vita cercava di seguire il suo corso.

Ho saputo di questa barbarie solo ieri sera, ma ricordo che domenica è stata per me una giornata pesante, soffocante e con una sensazione enorme di qualcosa di strano nell'aria. Quando sono venuta a conoscenza dell'accaduto, ho pianto fino allo sfinimento, con un dolore infinito che si propaga da diversi secoli. È stato un mix di brutti ricordi e un forte desiderio di far implodere tutto questo...

La storia di Claudia assomiglia a quella di mia madre, anche lei con quattro figli/e e anche lei con quattro nipotini da crescere. E in quel momento il dolore si è fatto ancora più intenso, perché non potevo smettere di pensare che quella violenza avrebbe potuto essere accaduta a mia madre. Ho chiamato subito a casa, volevo sapere se lei stava bene, ricordo che l'unica cosa che volevo era sentire la sua voce, avrei voluto anche starle in grembo, ma questo la distanza non lo ha permesso. Mi sono ricordata di quando mia madre usciva di casa alle quattro del mattino per lavorare come domestica nelle case, o nelle fiere, con la sua baracchina di verdura e frutta, e anche di quando andava a catturare granchi tra le mangrovie per venderli al mercato e portarci un po' di cibo. Così come Claudia faceva ogni settimana, mia madre ha lavorato sodo per darci il minimo indispensabile per sopravvivere.

Mi sono messa al posto dei figli/e di Claudia, che adesso, oltre alla violenza subita per la morte della madre, devono vederne i video e le foto del suo corpo diffusi sui social network e sui giornali, la sua vita esposta esibita per almeno un paio di giorni da media carnivori e voraci.

Ma ciò che mi preoccupa di più è sapere che in pochi giorni, o forse mesi, questo fatto cadrà nell'oblio, come è successo con Amarildo (il muratore torturato e assassinato dalla polizia di cui ancor oggi la famiglia non ha incontrato i resti mortali). Non voglio il silenzio e nessuna promessa, sono stanca di vedere questo razzismo torbido che violenta il nostro corpo da almeno 500 anni qui in Brasile. Siamo costantemente trascinati da catene e ammanettati da un sistema che ha nello Stato il suo principale alleato nella barbarie perpetrata su di noi ogni giorno. Noi popolazione povera e nera, siamo violentati in ogni modo. Non abbiamo il diritto alla casa, alla salute, all'istruzione, siamo chiamati scimmie nei campi di calcio, assistiamo a scene di stupro di neri corpi di donna, vediamo i nostri capelli comparati alla lana d'acciaio. Assistiamo alle denuncie di bambini che cercano di studiare in scuole precarie dove non esiste la condizione minima possibile perché questo avvenga. Eppure, dobbiamo sentirci dire che il razzismo è nelle nostre teste, che siamo noi la più parte con più pregiudizi e che soffriamo di manie di persecuzione...

Mi chiedo per quanto tempo ancora saremo aggrediti in questo modo, senza neppure avere il diritto di reagire. Quanto tempo durerà questo sterminio del popolo nero, povero e delle favelas? Ditemi come possiamo essere orgogliosi delle nostre radici, se in ogni momento vediamo la nostra identità violata e la nostra storia negata? Fino a quando ingrosseremo le file degli obitori, delle carceri, degli ospedali psichiatrici, la coda ai pronto soccorso pubblici, ai sussidi di miseria, di quei progetti sociali precari e mirati che non contribuiscono in nulla all'emancipazione dell'essere sociale? Fino a quando vedremo i bambini neri vergognarsi del loro capelli crespi e del colore della loro pelle, vittime di abusi nelle scuole e in altri spazi sociali? Fino a quando incrementeremo i numeri delle statistiche che ci vedono le principali vittime di omicidio da arma da fuoco, di violenza ostetrica o negligenza medica? Fino a quando dovrò andare a dormire con il cuore in una mano e l'immagine di un santo protettore nell'altra, pregando per i miei fratelli, fidanzati, mariti, nipoti e tutti gli altri uomini neri che escono di casa e non sappiamo se vi faranno ritorno...

 

Noi continueremo a lottare come chi afferra la vita con le unghie e con il filo di voce che ci resta, urleremo e denunceremo questa piaga. Che il mondo sappia che anche con la mordacchia e con le nostre carni e viscere esposte, continueremo a restare in piedi e a camminare... Non soccomberemo alle navi negriere, ai mezzi blindati della polizia, agli sgomberi e alle rimozioni...  Ho fame e sete di giorni migliori, e per questo sono implacabile nella mia sfida incessante di vivere. Vita è il mio nome e Resistenza il mio cognome.

Per questo e altro, vogliamo la fine di quei programmi televisivi che espongono i corpi di uomini e donne all'ora di pranzo come si faceva per le aste degli schiavi, vogliamo la fine degli "autos de resistências" (ndt. "resistenza seguita da morte" definizione ereditata dai tempi della dittatura militare, che giustifica l'impunità degli omicidi commessi dai poliziotti) la fine dell'occupazione poliziesca delle favelas e delle periferie, la fine delle c.d. UPP (Unità di Polizia Pacificatrici) e la fine della Polizia Militare.

 

Per tutti gli Amarildo, le Sheila, i João, le Maria, Fabíola, Flávia, Allyne, Carina, Jussara, i Júnior, i Felipe, gli Anderson, i Jailson, le Michelle, Helaine, Priscila, Carla, Ana, Júlia, Expedito, gli Alan, i Sebastião, le Larissa, i Bruno, le Deise, Terezinha, i Sergio, le Kátia, i Rodrigo, Marcio, le Claudia tra gli altri e le altre, che vivono sulla sottile linea tra la vita e la morte e che, anche se "TRASCINATI", continuano a rimanere in piedi.

Lotto per la fine di questa società classista, razzista, misogina, omofoba, patriarcale che avanza a grandi passi verso la disumanizzazione della vita! Oltre alle piazze, anche la scrittura è un modo per travasare il dolore...

Claudia by ZanonArt
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