09.08.15
PRESENTATO IL 3 AGOSTO A RIO DE JANEIRO IL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL
"Hai ucciso mio figlio!" : omicidi commessi dalla Polizia Militare nella città di Rio de Janeiro
Il rapporto di Amnesty International presenta un'indagine esclusiva sulle esecuzioni extragiudiziali, omicidi e altre violazioni dei diritti umani commessi da polizia militare nella città di Rio de Janeiro.
"La polizia di Rio de Janeiro uccide e resta impunita"
queste le conclusioni del rapporto di Amnesty International
estratto dall'articolo di Matias Maxx, pubblicato su Vice il 04.08.15
Un sondaggio pubblicato la scorsa settimana dal quotidiano Folha de S. Paulo sottolinea che il 62% degli abitanti delle città brasiliane con oltre 100.000 abitanti hanno paura di subire un qualche tipo di aggressione da parte della polizia militare. Il sondaggio evidenzia anche che la maggior parte di queste persone sono giovani, poveri, neri o del nord-est del paese.
È in questo contesto che Amnesty International ha presentato Lunedi (03.08) il rapporto "Hai ucciso mio figlio: omicidi commessi dalla polizia militare nella città di Rio de Janeiro", che riporta dati molto dettagliati sugli omicidi commessi dalla polizia e sul profilo delle sue vittime, quasi sempre uomini (99,5%), neri (70%) e giovani (75%) tra i 15 ei 29 anni.
Il documento di 88 pagine, è stato presentato in un teatro a Rio de Janeiro alla presenza della stampa, difensori dei diritti umani, rappresentanti del movimento delle Mães de Maio (Madri di Maggio) e familiari di alcune delle vittime citate nello studio. Il rapporto presenta i dati raccolti negli ultimi dieci anni che indicano un picco di violenza nel 2007, con 1.330 omicidi da parte della polizia; inoltre, anche se questo numero è calato negli anni successivi, è tornato a salire tra il 2013 e il 2014, del 39,4% nello stato e del 9% nella città di Rio de Janeiro. Lo studio rivela anche una media di 23 agenti di polizia uccisi in servizio ogni anno negli ultimi dieci anni, la maggior parte poliziotti militari. Le morti dovute all'intervento della polizia hanno rappresentato lo scorso anno il 15.55% di tutti gli omicidi nella città di Rio de Janeiro.
La precisione dei numeri è dovuta al fatto che lo Stato di Rio de Janeiro fornisce mensilmente attraverso l'Istituto di Sicurezza Pubblica, i dati degli "omicidi decorrenti dalle azioni di polizia", noto anche come "autos de resistência", un concetto giuridico che risale all'epoca della dittatura militare. Con l'aiuto di vari esempi e statistiche, la relazione illustra la facilità con cui esecuzioni extragiudiziali vengono praticate nello Stato e rivela una rete di cooperazione silenziosa tra le polizie militare e civile, nonché tra il Ministero Pubblico e il sistema giudiziario, affinché non si indaghi o si dia continuità ai processi che coinvolgono i poliziotti.
Amnesty International ha avuto accesso e ha studiato dettagliatamente tutti i casi di omicidio derivanti dall'intervento della polizia nel 2011, partendo dal principio che quattro anni sarebbero stati sufficienti per mettere in atto tutte le misure amministrative e giudiziarie necessarie tra l'inchiesta della polizia e l'eventuale incriminazione o richiesta di archiviazione da parte del Ministero Pubblico. La conclusione è desolante: dei 220 procedimenti amministrativi aperti in quell'anno, solo in un caso è stato fatto ricorso ad un procedimento giudiziario.
Fino ad aprile di quest'anno, 183 di queste indagini erano ancora in corso. Secondo un ricercatore non identificato intervistato nel sondaggio, "questi 183 casi rappresentano il "limbo"- ossia, non c'è la possibilità di richiederne l'archiviazione e nemmeno di rinviarli a giudizio".
Ciò che troverete in questo ping-pong tra i commissariati di polizia (civile) e il Ministero Pubblico è che non ci sono testimoni e nemmeno scene del delitto. Un omicidio si chiarisce nelle prime 48 ore. Dopo di che, si fa sempre più complicato. E la polizia lo sa. "Sarà archiviato, è solo una questione di tempo."
Nell'analizzare i dati dello scorso anno, i ricercatori di Amnesty International hanno cominciato a concentrarsi sull'area amministrativa con più registri di omicidio derivanti da azione di polizia quell'anno, il 41° Battaglione a Irajá, con 68 morti attribuiti alla polizia. Questi omicidi sono stati distribuiti nelle tre stazioni di polizia nella regione: la 39° è stata quella che ne ha registrato di più, 43. Uno dei cinque quartieri controllati da questa stazione è Acari, che ha registrato dieci crimini.
La favela di Acari ha già una lunga storia di violenza: nel 1990, ci fu il tristemente noto "Massacro di Acari", con la conseguente sparizione forzata di 11 persone (delle quali sette minorenni). Attribuito a un gruppo di sterminio formato da poliziotti e anche da un ex deputato statale, questo massacro è rimasto impunito fino ad oggi.
La favela è stata scelta per il lavoro sul campo di Amnesty, che è riuscita a raccogliere informazioni sul contesto specifico di nove di quei dieci omicidi. I nove casi sono presentati in rapporti dettagliati, uno ad uno, e poi separati in distinti modus operandi. Dei dieci omicidi, quattro sono stati commessi da poliziotti del BOPE, due da quelli dello Choque e quattro dal 41° Battaglione.
Oltre ad approfondire questi nove casi, il rapporto evidenzia anche altri episodi emblematici dello scorso anno come quello del ballerino DG, di Edilson Silva dos Santos (ucciso da un colpo di fucile nel corso delle proteste seguite all'assassinio di DG) e Alan de Souza Lima, un giovane che stava filmando con il telefono quando la polizia gli ha sparato da dentro una macchina, uccidendolo e ferendo il suo amico. Successivamente, gli agenti collocarono delle pistole vicino al corpo e arrestarono il giovane che era sopravvissuto, sostenendo che si trattava di narcotrafficanti. La farsa è stata smascherata pochi giorni più tardi, quando le immagini del telefono cellulare di Alan sono venute alla luce.
La lettura delle testimonianze disturba la mente, rovescia lo stomaco e riempie gli occhi di lacrime. In esse situazioni comuni, come le esecuzioni di vittime già arrese o ferite, corpi rimossi dalla scena del crimine, armi collocate sui luoghi dagli stessi poliziotti, testimoni e parenti minacciati, oltre ai lunghi percorsi tra il luogo delle esecuzioni e l'ospedale più vicino, in modo che i feriti vi arrivino già morti. "C'era bisogno di uccidere? Non bastava arrestarli?", frase ripetuta dalla popolazione che compare ripetutamente nelle relazioni in risposta alla giustificazione che la vittima era coinvolta con la criminalità organizzata.
Anche se la pena di morte non esiste nel codice penale, in pratica viene applicata normalmente - non solo per gli spacciatori di droga, ma a qualsiasi giovane nero delle periferie che ha la sfortuna di entrare nella traiettoria di una delle tante pallottole di fucile sparate in ogni incursione della polizia. Nella favela è semplice: si muore e "si viene trasformati in banditi", come se questo giustificasse qualcosa.
Secondo il rapporto, l'affermazione della polizia che le vittime erano coinvolte nel traffico di droga è diventata la giustificazione per mascherare le esecuzioni sommarie.
L'accusa del poliziotto, accompagnata o meno da prove, mette subito in moto, nei commissariati di polizia, una procedura quasi d'ufficio in cui si ascolta solo il poliziotto, non si fanno perizie e non si sentono i testimoni.
Secondo una ricerca della Segreteria per i Diritti Umani della Presidenza della Repubblica, il 43% della popolazione è d'accordo con la popolare frase "Bandito buono è quello morto". A quanto pare, la polizia, il Ministero Pubblico e il sistema giudiziario, anche.
Altra violazione dei diritti umani segnalata dai residenti di Acari è l'invasione delle abitazioni, a volte con l'uso di una sorta di chiave passepartout. Questi raid sono condotti senza un mandato di perquisizione per cercare sospetti e armi o per inscenare le cosiddette "Troia", tattiche assassine che vedono i poliziotti restare rintanati per ore nelle case in cui si sono illegalmente introdotti, in alcuni casi prendendo i loro residenti in ostaggio, in attesa del passaggio della loro vittima, per sorprenderla.
Anche le molestie sessuali fanno parte delle storie raccontate dalle donne della favela di Acari. Molte di loro hanno subito aggressioni verbali o sono state (o hanno temuto di esserlo) violentate da poliziotti militari.
Alla fine del documento, vengono fatte una ventina di raccomandazioni al Governo dello Stato di Rio de Janeiro, al Ministero Pubblico, al governo federale e al Congresso Nazionale.
Tra loro ci sono la richiesta di adeguamenti dei principi e standard internazionali sull'uso della forza letale da parte dei funzionari responsabili per l'applicazione della legge, la determinazione che tutti i casi di omicidio derivanti da operazioni di polizia siano indagati dalla Divisione Omicidi (attualmente, vengono indagati dalle stazioni di polizia locali) e il controllo dell'uso di armi da fuoco ad alta potenza durante le operazioni di polizia nelle favelas e in altre aree urbane densamente popolate.
Al termine della presentazione, un uomo ha chiesto la parola. È José Luis Faria da Silva, padre di Maicon, un bambino di 2 anni ucciso nel 1996 nella favela di Acari da un colpo sparato da un poliziotto militare.
L'omicidio venne registrato come "Auto de Resistencia" e, ad oggi, le indagini non hanno fatto progressi significativi.
Ripetiamo, un bambino di due anni è stato ucciso da un poliziotto che ha allegato a sua giustificazione di essere in pericolo. I delegati di polizia e i procuratori che hanno avuto in carico questo processo iniziato più di 20 anni fa, non hanno avuto il coraggio o la decenza di contestare come un bambino di due anni avrebbe potuto costituire un pericolo per un poliziotto, al punto da farne ignorare l' assassinio.
Il poliziotto militare coinvolto opera adesso nella polizia civile. È stato "promosso", secondo José Luis, che ha anche ricordato che "da qui a un anno, quando l'intera città festeggerà l'apertura delle Olimpiadi, il caso cadrà in prescrizione ... ma non smettetrò mai di lottare per la giustizia."
"Autos de resistência"
Gli "autos de resistência" (atti di resistenza, detti anche "atti di resistenza seguiti da morte") sono un artificio legale della polizia per archiviare senza indagini l'omicidio di "soggetti che hanno opposto resistenza all'arresto". Si tratta di una pratica abituale e quotidiana praticata dalla polizia brasiliana.
Questo strumento, una sorta di vera e propria "licenza d'uccidere impunemente" è stato creato durante la dittatura militare per legittimare la repressione poliziesca dei movimenti che lottavano per riportare la democrazia nel paese.
Una ricerca condotta su 12.000 "autos de resistência" registrati a Rio de Janeiro negli ultimi anni, ha dimostrato che nel 60% dei casi si è trattato di pure e semplici "esecuzioni", molte delle quali con spari alla nuca e alle mani delle vittime, che si trovavano chiaramente in posizione di difesa e non di attacco.
INTRODUZIONE DEL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL
"Hai ucciso mio figlio!": omicidi commessi dalla Polizia Militare nella città di Rio de Janeiro
Questo rapporto di Amnesty International presenta un'indagine esclusiva
sulle esecuzioni extragiudiziali, omicidi e altre violazioni dei diritti umani commessi da polizia militare nella città di Rio de Janeiro.
Esecuzioni extragiudiziali da parte degli agenti di polizia sono comuni in Brasile.
Nel contesto della cosiddetta "guerra alla droga", la polizia militare ha fatto uso di forza letale in forma non necessaria e eccessiva, provocando migliaia di morti negli ultimi dieci anni. Le autorità usano spesso
i termini “auto de resistência” o "omicidio derivante da intervento della polizia" (utilizzati nei verbali di morti provocate da poliziotti in servizio e motivate sulla base della legittima difesa) come una "cortina fumogena" per coprire le esecuzioni sommarie messe in atto dai poliziotti.
Il rapporto si basa su una serie di casi di omicidio commessi da poliziotti militari negli anni 2014 e 2015 nella città di Rio de Janeiro, in particolare nella favela di Acari. Amnesty International ha realizzato interviste con vittime e familiari, testimoni, difensori dei diritti umani, rappresentanti di organizzazioni della società civile, esperti di sicurezza pubblica e autorità locali, e ha raccolto dettagli sulle scene dei crimini, verbali di polizia, certificati di morte, perizie e indagini della polizia. Attraverso questo materiale, Amnesty International ha rilevato che vi erano forti indizi di esecuzioni extragiudiziali e uno standard di uso non necessario e sproporzionato della forza da parte Polizia Militare.
L'Area Integrata di Sicurezza Pubblica (AISP) 41, che comprende la favela di Acari, ha avuto il maggior numero di registrazioni di "omicidi derivanti da intervento della polizia" nel 2014, secondo i dati ufficiali. Sono 68 i casi registrati, su un totale di 244 nella città di Rio de Janeiro. Dieci di loro si sono verificati nella favela di Acari. Amnesty International ha raccolto prove su nove di questi dieci casi di omicidio a causa di intervento della polizia a Acari e tutti contengono forte evidenze di esecuzioni extragiudiziali praticate da poliziotti militari in servizio.
In quattro casi, le vittime erano già ferite o immobilizzate quando i poliziotti hanno intenzionalmente usato armi da fuoco per giustiziarli. In quattro altri casi, le vittime sono state uccise senza preavviso. In uno, la vittima era in fuga dalla polizia quando è stato colpito e ucciso.
L'uso della forza letale da parte degli agenti incaricati di far rispettare la legge crea gravi preoccupazioni per i diritti umani, in particolare per quanto riguarda il diritto alla vita. Il Brasile ha l'obbligo di prevenire e punire la violenza criminale e, allo stesso tempo, si deve garantire il pieno rispetto del diritto alla vita di tutte le persone sotto la sua giurisdizione, come stabilito dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e la Convenzione Americana sui Diritti Umani.
Il Brasile è il paese con il più alto numero di omicidi al mondo: 56.000 persone Sono state uccise nel 2012. Gli stereotipi negativi associati alla gioventù, in particolare ai giovani neri che vivono nelle favelas e altre aree disagiate, contribuiscono alla banalizzazione e alla naturalizzazione della violenza. Nel 2012, più del 50% di tutte le vittime di omicidio avevano tra i 15 ei 29 anni e di questi il 77% erano neri.
Le politiche di sicurezza pubblica in Brasile sono caratterizzate da operazioni di polizia repressive nelle favelas e nelle aree disagiate. La "guerra alla droga" per combattere il traffico di droghe illecite, soprattutto nelle favelas, e l'assenza di regole chiare sull'uso di veicoli blindati e armi pesanti in aree urbane densamente popolate, fanno aumentare il rischio di morte della popolazione locale.
La Polizia è solita giustificare l'uso della forza letale contro le persone allegando il sospetto coinvolgimento delle vittime con gruppi criminali. Queste operazioni militarizzate su larga scala hanno portato ad un alto indice di morti per mano della polizia.
Delle 1.275 vittime di omicidio a causa di intervento della polizia tra il 2010 e nel 2013 nella città di Rio de Janeiro, il 99,5% era di sesso maschile, il 79% erano neri e il 75% avevano tra i 15 ei 29 anni.
Spesso, i discorsi ufficiali incolpano le vittime, già stigmatizzate da una cultura di razzismo, discriminazione e criminalizzazione della povertà. Una parte significativa della società brasiliana legittima queste uccisioni. Il sistema di giustizia penale perpetua questa situazione, visto che raramente indagar gli abusi della polizia.
Quando qualcuno muore a seguito di un intervento della polizia, la Polizia Civile redige un verbale (RO - Registro de Ocorrência) e apre una procedura amministrativa per determinare se l'omicidio è stato per legittima difesa o se si rende necessario un processo penale. In pratica, i registri di "Autos de Resistencia" rendono difficili indagini imparziali e indipendenti che potrebbero determinare se l'uso di forza letale è stato legittimo, necessario e proporzionato.
Descrivendo tutte le morti causate da poliziotti in servizio come il risultato di uno scontro a fuoco, le autorità colpevolizzano la vittima per la propria morte. Generalmente, le dichiarazioni rese dagli agenti di polizia coinvolti in questi casi descrivono contesti di conflitto a fuoco con sospetti criminali. Queste versioni diventano il punto di partenza per le indagini. Quando la polizia mette a verbale che la vittima aveva legami con bande criminali, le indagini si propongono di avvalorare la testimonianza del poliziotto che la morte si è verificata per legittima difesa.
In un periodo di dieci anni (2005-2014), sono stati registrati 8.466 casi di omicidio a causa dell'intervento della polizia nello stato di Rio de Janeiro; 5132 casi, solo nella capitale. Nonostante la tendenza al ribasso osservata da nel 2011, un aumento di quasi il 39,4% è stato registrato tra il 2013 e il 2014. Il numero di persone uccise dalla polizia rappresenta una quota significativa del totale degli omicidi.
Nel 2014, ad esempio, gli omicidi commessi dalla polizia sono corrisposti al 15,6% del numero totale di omicidi nella città di Rio de Janeiro.
La favela di Acari subisce da decenni operazioni di polizia che si concludono con esecuzioni sommarie e altre violazioni dei diritti umani. La scomparsa forzata di 11 giovani nel Luglio del 1990, caso noto come "Massacro di Acari", ha segnato la storia della favela. Malgrado il luogo in cui i giovani sono stati portati non sia mai stato scoperto, l'inchiesta è stata chiusa e nessuno è stato ritenuto responsabile e assicurato alla giustizia.
L'assenza di indagini adeguate e di punizione per gli omicidi causati dalla polizia lancia il messaggio che queste morti sono consentite e tollerate da parte delle autorità, il che alimenta la spirale della violenza.
Nel controllare l'andamento di tutte le 220 indagini per omicidio derivante dall'intervento della polizia nel 2011, nella città di Rio de Janeiro, Amnesty International ha scoperto che era stata presentata denuncia in un solo caso. A aprile 2015 (tre anni più tardi), 183 indagini erano ancora aperte.
I singoli casi documentati da Amnesty International e presentati nel presente rapporto illustrano le mancanze delle polizie Civile e Militare e del Ministero Pubblico nell'indagare e frenare le pratiche abusive della polizia. Amnesty International ha scoperto che le indagini sono frequentemente pregiudicate dalla manipolazione delle scene dei crimini attraverso la rimozione del corpo della vittima senza adeguata diligenza o dall'inserimento di materiale probatorio falso (come armi e altri oggetti) vicino al cadavere. Quando la vittima è sospettata di essere legata al traffico di droga illegale, le indagini di solito si concentrano sul suo profilo penale al fine di legittimare quella morte invece di determinare le circostanze dell'omicidio.
Testimoni di omicidi da parte della polizia raramente vanno a deporre per paura di ritorsioni. La fragilità dei programmi di protezione dei testimoni e la mancanza effettiva di sicurezza per i difensori dei diritti umani a rischio, contribuiscono agli alti livelli di impunità e alla mancanza di indagini appropriate.
RACCOMANDAZIONI PRIORITARIE
Le politiche recenti di sicurezza pubblica non sono state in grado di estinguere la pratica delle esecuzioni extragiudiziale. La polizia militare continua ad utilizzare, regolarmente, la forza in maniera arbitraria, non necessaria ed eccessiva, con totale impunità.
Le autorità a livello statale e federale, devono adottare misure concrete per affrontare la violenza della polizia e l'impunità.
Amnesty International chiede con forza alle autorità del governo dello stato di Rio de Janeiro di adottare misure immediate per adempiere agli obblighi in materia di diritti umani, tra cui:
• Garantire indagini ampie, imparziali e indipendenti su tutti i casi registrati come "omicidio derivante da intervento di polizia / auto de resistência", con l'obiettivo di rinviare a giudizio i responsabili quando necessario.
• Determinare che tutti i casi registrati come "omicidio a causa di intervento della polizia " vengano indagati dalla Divisione Omicidi attraverso indagini ampie, imparziali e indipendenti che possano sostenere i processi penali.
• Fornire le risorse umane, finanziarie e strutturali necessarie alla Divisione Omicidi per consentire indagini imparziali ed indipendenti su tutti i casi di omicidi derivanti da azione di polizia.
• Condannare le violazioni dei diritti umani nel contesto delle operazioni di polizia, assumendo pubblicamente posizione sul fatto che le esecuzioni extragiudiziali e l'uso non necessario ed eccessivo della forza da parte della polizia non sarà tollerato.
• Creare una task force presso il Ministero Pubblico, al fine di dare priorità alle indagini sui casi di derivante da intervento di polizia, per portare a rapida conclusione le indagini che sono ancora in corso e portare i casi in tribunale, quando necessario.
Negli ultimi 30 anni, il Brasile ha vissuto una crisi acuta nel campo della sicurezza pubblica, arrivando a registare 56 mila omicidi nel 2012, il che corrisponde ad un indice di 29 omicidi per 100 mila abitanti. Le pubbliche autorità - tanto a livello federale che statale - non sono riuscite a dare risposte, nel corso degli ultimi decenni, alla crescente violenza letale nel paese e a implementare politiche effettive di sicurezza pubblica, mettendo in campo azioni volte alla riduzione degli omicidi e alla protezione della vita.
Dal 1980 al 2012, il numero di omicidi nel paese è aumentato da 13.910 a 56.337, e l'indice dall'11,7% al 29,0. Questo rappresenta un aumento del 143% nell'indice di omicidi in questo periodo. Il maggior aumento si è verificato tra il 1980 ed il 1997, quando l'indice di omicidi si è stabilizzato all'alto livello di oltre 25 omicidi per 100 mila abitanti, mantenendosi successivamente sempre a questo livello.
Ma la violenza letale nel paese non colpisce tutti in egual maniera.
Delle oltre 56 mila vittime di omicidio in Brasile nel 2012, 30 mila erano giovani tra i 15 ed i 29 anni. Di questo totale di giovani, oltre il 90% erano di sesso maschile ed il 77% neri. La discriminazione razziale e le disuguaglianze che essa genera fanno si che la popolazione nera ed in particolare i giovani neri, vivano una situazione di discriminazione strutturale nella quale i diritti di accesso all'istruzione superiore, alla salute, al lavoro, alla casa, tra gli altri, sono stati gravemente colpiti.