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09.11.15

La meravigliosa dittatura del capitale (III)
UPP/Unità di Polizia Pacificatrice
Come spegnere il fuoco con la benzina

 

di Aldo Santiago, pubblicato su Subversiones il 10.10.15

traduzione dallo spagnolo di Daniela Cavallo per il Resto del Carlinho Utopia

 

Attualmente il governo di Rio de Janeiro ha installato 38 Unità di Polizia Pacificatrice (UPP) con oltre novemila poliziotti effettivi, dislocati su un territorio complessivo di quasi un milione di metri quadrati (a un costo  di quasi 2 miliardi di real).

UPP by Carlos Latuff

L'installazione delle suddette unità è cominciata il 20 novembre 2008 nella favela di Santa Marta, barrio di Botafogo, nel sud della città.

L'idea delle UPP è una replica di quanto è successo negli anni novanta nella città colombiana di Medellin (e in Brasile, dove  progetti  analoghi a quelli di Rio, sono implementati negli stati di Bahía, Paraná, Curitiba, Maranhão e Río Grande del Sur, nonostante le  prove di  violazione dei diritti degli abitanti dei luoghi in cui sono imposti), propinata con l'influenza della strategia nordamericana di controinsorgenza -applicata come principio di governo  in Afghanistan e in Iraq-   e che si traduce in occupazioni poliziesche che militarizzano le comunità.

 

Il progetto promosso dal governatore Sergio Cabral -che si è dimesso dopo le manifestazioni del giugno 2013-, è stato difeso come una misura necessaria per garantire la sicurezza durante i mega eventi  dello spettacolo calcististico del 2014 e le manovre finanziario-olimpiche del prossimo anno. Tuttavia, il vero piano esistente dietro la sua implementazione è quello di risolvere i conflitti violenti che "disturbano" la valorizzazione immobiliare dei quartieri medio-alti della zona sud nonché incentivare nuovi e redditizi progetti edilizi nella regione.

 

Le UPP sono presenti in 38 delle quasi mille favelas di Rio de Janeiro, ma coprono completamente quelle comunità che si trovano all'interno dell'esclusiva zona sud (ndt. l'area più esclusiva di Rio, quella delle famose spiagge di Copacabana, Leblon, Ipanema...) e quasi tutte le località all'interno delle zone olimpiche descritte nel dossier  della candidatura di Rio 2016 (mentre la Baixada Fluminense -ndt. enorme zona periferica della città- che ha il tasso più alto di omicidi dello stato, rimane ignorata).

 

In questi luoghi "i benefici della pacificazione si osservano nel turismo e nell'arrivo di investimenti" come una volta ha dichiarato José Beltrame, responsabile della sicurezza della città carioca, nonché infame autore di quella frase "uno sparo a Copacabana è una cosa... uno sparo nella periferia è un'altra" [Um tiro em Copacabana é uma coisa. Um tiro na favela da Coréia o no Alemão é outra.] con la quale riassume il profondo disprezzo verso la popolazione storicamente emarginata.

E difatti le azioni della polizia non hanno impiegato neanche un anno per trovare conferma. 

 

"I primi casi di gravi violazioni dei diritti umani sono stati registrati alla fine del 2009. In quell'anno, sulla  collina di Cantagalo, c'è stata la prima vittima: un'esecuzione sommaria da parte della polizia pacificatrice. Da allora questo numero non ha fatto altro che crescere ed è diventato pubblico, con ripercussioni  nazionali e internazionali, con il caso della sparizione di Amarildo, nel 2013" 

 

sostengono i membri della Rete delle Comunità Contro la Violenza, durante una manifestazione nell'aprile 2015, nella quale centinaia di persone hanno chiesto  giustizia per Eduardo de Jesus Ferreira, un bambino di 10 anni, assassinato dalle UPP nella favela do Alemão, a nord di Rio.

 

"Prima di questo si sono verificati molti altri casi però non se ne parlava perché le persone avevano molta paura, poiché un'occupazione permanente della polizia nelle favelas crea un tale terrore che impedisce di organizzarsi per denunciare le violazioni commesse"

 

Contemporaneamente, un battaglione di poliziotti effettua l'accerchiamento dei manifestanti per limitare la loro mobilità, manovra che scalda gli animi tra i partecipanti, abituati a difendersi dal brutale modo di agire della polizia militare.   

Deize Carvalho è oggi una leader della favela Cantagalo e una delle principali voci di denuncia degli abusi della polizia pacificatrice. Questo video è stato registrato nel 2013, presso la favela della Rocinha, a Rio de Janeiro, nel corso di una manifestazione di solidarietà alla famiglia di Amarildo, un nome diventato simbolo in Brasile di tutti i desaparecidos nelle mani dello stato. Amarildo de Souza era un muratore, scomparso nel 2013 dopo essere stato portato in una caserma della polizia pacificatrice della favela della Rocinha. La mobilitazione popolare contribuì a rivelare in seguito che Amarildo era stato rapito, torturato e ucciso ed il suo corpo fatto sparire dalla polizia militare.

In pratica, il teatro di lotta contro il traffico [di droga] rimane solo come sfondo illusorio per giustificare l'intransigente permanenza delle UPP

In realtà,  le milizie, un'evoluzione più potente degli "squadroni della morte" degli anni settanta, sono quelle che controllano le favelas per mezzo dell'estorsione,  della tortura, dell'assassinio e, naturalmente , anche per mezzo del traffico di armi e di droga.  In aggiunta a questo, le milizie (integrate da ex poliziotti e da agenti in servizio attivo, anche dell'esercito) hanno diversificato i loro  affari e già da tempo controllano il trasporto, il rifornimento di carburante e servizi come la telefonia e la televisione via cavo. 

 

Le rivolte contro le UPP sono cominciate già nel 2013, mettendo in evidenza il fallimento della  loro artificiosa funzione.  

Il risultato tangibile è la proliferazione di organismi di pressione e di conflitti con le comunità che provocano molteplici violazioni: diventa maggiore non solo la possibilità di aggressione nei confronti degli abitanti ma aumenta anche il livello di corruzione, con la milizia che controlla sia i mercati legali che quelli illegali. Non ha nulla a che vedere con la sicurezza e ancora meno con il rispetto dei diritti umani. Se la popolazione non protesta è per  paura della repressione: madri, fratelli, padri delle vittime delle UPP sono continuamente minacciati dai poliziotti che occupano e controllano le strade delle loro comunità.

 

Questa situazione di pericolo dovuta alla polizia militare è costante e porta le persone a muoversi  con  paura. Oltre all'incubo poliziesco, c'è una criminalizzazione della favela attuata soprattutto dai mass-media, come la Rete Globo, che trasmette in diretta persecuzioni e operazioni che, oltre a far aumentare una curiosità morbosa, producono la stupida idea che in queste comunità "tutti sono banditi"

 

Di conseguenza, i tentativi  di associazione politica da parte delle comunità, sono rapportati al crimine e pertanto screditati dalla società brasiliana razzista. Nella quotidianità viene applicata la politica del terrore per poter dominare i territori attraverso attività "legali": una strategia  che trasforma i corpi  in moneta di scambio ed annienta la popolazione attraverso  uno stato d'eccezione continuo.

Bambini uccisi dalle UPP

Herinaldo (11 anni), Eduardo (10 anni), Cristian (12 anni), Alan (15 anni),  bambini vittime della brutalità delle UPP nelle favelas

In realtà i poliziotti non sono complici bensì  artefici dei crimini, poiché agiscono impunemente mediante il "monopolio" della violenza con il fine di negoziare con le comunità, emarginate in una frontiera fittizia nella quale le azioni della polizia rendono legale una situazione criminale, che agisce contestualmente sia dentro che al di fuori della legge.

 

È su questo punto che le UPP preparano le favelas per predisporre l'architettato  flusso   discorsivo e materiale tra capitale, crimine, sicurezza e tanto profitto.

L'arrivo degli investimenti privati viene realizzato assieme all'installazione delle UPP nelle favelas carioca.  "

 

Seguiamo  più di un'installazione delle UPP ed è bizzarro. Entra la polizia e assieme a questa arrivano lo stesso giorno le équipes di Sky, le aziende telefoniche o entra l'azienda di pulizia municipale: sono le imprese che dicono di voler eliminare l'informalità con il fine di poter imporre un loro mercato", commenta la Rete contro la Violenza.

 

In un'altra intervista sottolineano inoltre che:

 

"Da ciò si vede la portata delle cose, il perché utilizzare l'occupazione militare per rendere più profonde le relazioni di mercato. Questo è più di quanto  viene detto apertamente poiché il suo falso obiettivo sarebbe quello di portare servizi pubblici nelle comunità; quello che è stato realizzato in qualche comunità occupata è poco: non sono state migliorate né l'educazione né la salute, bensì il mercato".

Il progetto più cinico è quello che si è verificato con le trattative del 2013 per la costruzione della "Favela Shopping": un investimento di 20 milioni di real per l'installazione di 500 negozi, con l'impiego di manodopera locale per la costruzione di un centro commerciale in una ex fabbrica di 15 mila metri quadri; un piano perfetto per  lo "sfruttamento" delle regioni e dei loro abitanti. Nelle aree pacificate, sono previsti investimenti di un miliardo e 800 mila real, per fantasmagoriche attività relative, tra le altre,  all'educazione, alla salute e all'urbanizzazione; la facciata migliore per lucrare con la violenza, la repressione e il lavoro delle comunità: il tutto messo al servizio delle grandi imprese.

 

Di fronte  a questo, gli abitanti di Alemão non rimangono impassibili. Una delle espressioni per creare strategie all'interno e a partire dalla comunità è il gruppo "Juntos Pelo Complexo do Alemão" che riunisce 17 organizzazioni e 12 associazioni di abitanti oltre a collettivi autonomi.

 

"Gli elementi di repressione nelle favelas sono diversi  soprattutto per quanto riguarda il traffico di droga, perché i ragazzi vengono coinvolti attraverso   un processo esterno alla comunità ma la politica della sicurezza  rende visibile solo la punta, perché nelle favelas non esistono trafficanti ma solo spacciatori; chi traffica sta nella Barra de Tijuca, nell'Avenida Presidente Vargas, sta a Brasilia" commentano i membri della rete dei collettivi di Alemão, durante una conferenza  sulla violenza dello Stato,che si è tenuta in un'università del centro di Rio. Uno dei punti fondamentali nel lavoro dell'iniziativa di Alemão è la diffusione di conoscenze in merito soprattutto alla sicurezza pubblica.

 

"La droga entra nella comunità in un contesto di negazione dei diritti e come cooptazione di interessi  che non sono propri delle favelas. Per questo è nata l'idea di produrre i nostri propri dati, perché quelli  "ufficiali" sono manipolati e non sono attendibili" aggiungono, prima di elencare e confrontare i dati raccolti dalla comunità.

Il lavoro è stato realizzato con i dati ottenuti dai mezzi di comunicazione indipendenti che seguono gli accadimenti all'interno della comunità, nonché direttamente dagli abitanti dei quali annotano nome, età e luogo. Durante il 2014, in un periodo di solo nove mesi,  hanno registrato  26 persone assassinate e  43 persone ferite  da proiettili.  La strategia è stata attuata come uno strumento di lotta poiché questi dati non esistono presso gli uffici di polizia e quando viene realizzata "un'analisi con le cifre ufficiali", i dati vengono sempre manipolati per poter essere interpretati  come indice di riduzione degli omicidi. 

 

"Nessuno ha preso in considerazione il numero delle persone scomparse perché quando la curva delle persone assassinate "scende", sale quella dei desparecidos; quello che cambia è solo il modus operandi" 

affermano indignati mentre riferiscono che per il 2015 la mappatura è stato un lavoro quasi impossibile in quanto le morti sono quotidiane. 

 

"Vogliamo proseguire con questo lavoro, anche in maniera retroattiva, a partire dall'occupazione militare del 2010, perché questo aiuta nell' analisi  di quanto succede con le UPP in occasione dei "grandi" eventi della città. Nelle favelas, quanti morti, feriti e desaparecidos comportano la Coppa del Mondo di Calcio o le Olimpidiadi, il carnevale, i periodi elettorali? Perché sappiamo che questi eventi sono direttamente correlati al governo in ragione del livello di repressione"  dichiarano  gli abitanti della favela, riconoscendo  che in alto la priorità non è la comunità e  che questa  è usata solamente per generare risorse per il finanziamento privato e per il capitale politico nelle farse elettorali.

UPP

Riconoscendo ciò, gli abitanti di Alemão hanno insistito nel chiedere cambiamenti drastici nelle "politiche pubbliche" fino ad ora imposte nelle comunità. Prova di questo è stata l'udienza pubblica dell'assemblea legislativa di Rio de Janeiro che si è tenuta il 4 maggio 2015 nella comunità di Nova Brasilia. All'assemblea legislativa, integrata dalle commissioni dell'educazione, assistenza sociale e sicurezza statale,  e alla quale hanno partecipato anche abitanti  di altre favelas come Pedreira, Acarí, Manguera, Maré, Manguinhos, gli abitanti di Alemão hanno ricordato la promessa non mantenuta del Programma di Accelerazione dello Sviluppo (PAC) del 2011, che prevedeva la costruzione di 600 case e hanno chiesto l'uscita delle UPP che sono causa di  disgregazione  nella comunità:  fatto comprovato dal  caso dell'occupazione da parte della polizia della scuola Teophilo de Souza Pinto, dove da due anni la violenza è espressa dalla presenza di elementi della vigilanza e della sicurezza nel cortile della scuola.

 

In una lettera, letta dagli insegnanti della scuola per la paura degli alunni di parlare in pubblico di fronte ai loro aggressori, le parole dei ragazzi manifestano la precarietà delle loro vite e chiedono l'uscita immediata dell'UPP. 

 

"La prima cosa che fa male è perché provoca una sensazione di insicurezza, i nostri alunni stanno abbandonando i loro studi, lo abbiamo capito ma non ci vogliamo abituare. Da un totale di 1400 alunni, adesso ce ne sono 700, la scuola sta a poco a poco morendo. La presenza della polizia trasforma la scuola in un obiettivo di conflitti a fuoco, ci sono i muri e le finestre che lo dimostrano; o è  scuola o è  UPP, perché insieme non è possibile" grida un insegnante di fronte a insensibili comandanti della polizia che eludono lo sguardo di coloro che li contestano, mentre altri funzionari pubblici simulano preoccupazione mentre scarabocchiano alcune carte che tengono  in mano.   

 

Le parole sono spontanee, sincere e piene di rabbia, perché in una realtà dove di fronte a qualsiasi domanda,  l'unica risposta che si ottiene è "polizia", la pazienza si esaurisce.

 

"Il diritto alla vita dovrebbe essere garantito da quando si nasce e noi non abbiamo accesso a un cazzo, a niente. Perché ci venite a parlare di legge quando non abbiamo neanche il diritto di uscire dalla porta di casa?" chiede una delle abitanti di Alemão che prende il microfono quasi alla fine dell' udienza. "Voglio chiedere alle madri presenti: chi è disposta a rappresentare se stessa, a creare un consiglio di madri e a non permettere più che qualcun altro parli per noi?" aggiunge per fare un appello all'azione ed irridere  la farsa del presunto dialogo con la polizia, compresa  la sola presenza del comandante generale della polizia militare di Rio, colonnello Ibis Silva, che esibisce la sua ipocrisia quando si rivolge agli abitanti utilizzando un logoro discorso di "lotte di classe" e pretende di far passare la polizia come vittima di una "politica di guerra della quale loro non sono responsabili".

Manifestazione contro le UPP in una favela di Rio

Di fronte a questo, la furia con cui la risposta colpisce con la verità, fa risuonare la fragilità dei discorsi semplicistici delle autorità.

 

"La polizia non è male addestrata, sta eseguendo esattamente la funzione sociale che è destinata a compiere. La polizia è un'istituzione fallita, non solo per come agisce, ma perché viviamo in una società fallita, è molto facile chiedere pazienza, quando non si prova sulla propria pelle, è molto facile venire a dire che la polizia ha un ruolo di  "pedagogo" quando non è stato suo figlio quello che ha ricevuto uno sparo nel petto; è stato per il figlio di Denize che  è morto, che può essere solo uno scherzo. Dovreste chiedere scusa a tutte le madri presenti"

dice un giovane del movimento Ocupa Alemão per il quale  la questione  è riassunta in domande ancora oggi senza risposta:

"se ne andrà la polizia da questa scuola? esattamente quando? se ne andrà la polizia dal complesso scolastico?"

rafforza le sue parole mentre scoppiano gli applausi e gli slogan che chiedono la fine dell'occupazione da parte della polizia.

 

Così come si rafforzano le reti interne, il resoconto storico delle lotte ha come  precedente il 2013, quando la comunità di Alemão ha esortato ed  ha organizzato un incontro delle periferie del Brasile. Per  cinque giorni, gruppi di indigeni amazzonici dello stato di Acre, abitanti delle Palafitte di Belém, popolazione nera di Espíritu Santo, movimenti indigeni tupinambá del sud di Bahía, tra gli altri, hanno condiviso esperienze e hanno discusso strategie di lotta, riconoscendo le somiglianze del permanente stato di eccezione che sono costretti a subire.

 

In quel periodo, durante quattro mesi, sono stati assassinati 23 indigeni a seguito dello sgombero dei loro territori: niente di diverso da quanto succede ad Alemão. Le lotte sono vicine, che siano i proprietari terrieri che vogliono appropriarsi dei boschi dell' Amazzonia o che siano i poliziotti che violentano a Belém; la resistenza del movimento nero a Espíritu Santo, le favelas carioca o i tupinambá di Bahía, l'importante è avere spazi dove, attraverso le reti, condividere  opportunità: perché la lotta è una sola. 

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