07.11.15
Le donne brasiliane dicono BASTA!
Migliaia in piazza per il diritto all'aborto e contro la deriva oscurantista del paese. Un movimento inedito capace anche di aggregare le lotte di vari segmenti della società
di Marina Rossi, pubblicato su El Pais il 04.11.15
Centinaia di donne sono scese per le strade del centro di Porto Alegre, nel sud del Brasile, nel pomeriggio di Martedì con cartelli a difesa del diritto all'aborto, contro l'intolleranza e il maschilismo. "Siamo qui perché siamo violentate ogni giorno, in tutto il mondo", ha detto una manifestante al megafono. Uno dei cartelli, suggestivo, metteva in guardia "Se tocchi una di noi Te la vedrai con tutte noi" .
La stessa scena si è ripetuta in altre città fin dalla scorsa settimana. A Rio de Janeiro, il giorno 28, migliaia di donne sono scese in piazza con la stessa determinazione, spinte dall'approvazione del disegno di legge che limita l'accesso alla pillola del giorno dopo negli ospedali pubblici per le donne vittime di stupro. Uno degli autori del progetto è il deputato Eduardo Cunha, indiziato nell'inchiesta "Lava Jato" (*), e che ricopre la carica di presidente della Camera.
Anche per questo, nei giorni scorsi, le brasiliane hanno deciso di lanciare il loro grido: Basta!
*(ndt. Lava Jato, "Autolavaggio". Inchiesta ancora in corso della magistratura brasiliana, una sorta di "tangentopoli" brasiliana, che ha portato alla luce un sistema generalizzato di tangenti versate da almeno un decennio dalle principali imprese edilizie del paese a responsabili della Petrobras, il colosso petrolifero nazionale a maggioranza statale)
Venerdì scorso era stata la volta di San Paolo. Il grido è cresciuto, 15.000 donne hanno ripetuto in piena Avenida Paulista quello che Rio aveva già gridato: "Fuori Cunha!" "Il machismo uccide, il femminismo libera." "Stai attento maschilista! L'America Latina sarà tutta femminista."
La manifestazione è stata replicata anche il sabato. Un movimento inedito in Brasile, ottavo nel mondo per numero di donne assassinate e con più di 500.000 stupri all'anno registrati e ripetuti casi di aggressioni da parte dei loro partner. Le manifestanti di Porto Alegre lo hanno sentito sulla pelle, a quanto pare. Domenica scorsa, alcuni di loro hanno affermato di aver subito aggressioni durante una fiera di libri femministi da parte della polizia militare della capitale, anche se non hanno sporto denuncia alla polizia per paura di ritorsioni, secondo quanto riporta il giornale Zero Hora.
Ma cosa è successo di diverso ora, tanto da indurre finalmente le femministe a scendere in piazza? Una successione di eventi in un breve periodo di tempo che hanno gettato benzina sul fuoco.
È iniziato due settimane fa, con la pubblicazione di innumerevoli commenti con cui pedofili hanno assediato una ragazzina dodicenne che partecipava all'edizione per bambini di MasterChef Brasile.
Le molestie alla piccola Valentina hanno prodotto una reazione quasi immediata. Il collettivo Olga ha lanciato la campagna #PrimeiroAssedio (#PrimoAssedio), sollecitando donne e uomini a riferire della loro prima volta nella quale avessero vissuto molestie sessuali. In quattro giorni, più di 82.000 messaggi. Racconti di donne che sono state molestate ancora bambine da amici, vicini, parenti. Con i dati raccolti, è stato possibile calcolare che l'età media delle prime molestie è di 9,7 anni. Si è trattato di un primo movimento solidarietà femminile sebbene ristretto alla rete.
Quella stessa settimana, la Commissione per Costituzione e Giustizia e Cittadinanza della Camera dei Deputati ha approvato una progetto di legge che rende molto difficile l'accesso alle cure sanitarie per le vittime di stupro. Il PL 5069 del 2013, esige che, per essere assistite, le vittime di stupro debbano prima recarsi in un posto di polizia per sporgere denuncia. Sottoporsi poi ad un esame del (loro) "corpo del delitto" e, solo allora, possano recarsi in un ospedale, con adeguata documentazione comprovante che sono state effettivamente violentate. Anche così, la legge punirà il medico che indicherà la pillola del giorno dopo per le vittime o le orienterà ad avvalersi del diritto di effettuare un aborto legale - permesso in Brasile solo in caso di stupro o quando il feto è anencefalico. L'approvazione del disegno di legge, che deve ancora passare dal voto della Camera, ha fatto si che diversi collettivi femministi si articolassero per organizzare manifestazioni contro la legge e per chiedere l'uscita del presidente della Camera, Eduardo Cunha.
I fatti sembravano orchestrati. Il sabato precedente, quando 5,7 milioni di alunni di tutto il paese hanno dato l'esame "ENEM" - Exame Nacional do Ensino Médio (ndt. esame realizzato a livello nazionale, il cui obiettivo è quello di certificare le competenze acquisite durante l'equivalente delle nostre scuola superiori. L'esame, realizzato in 2 giorni, sabato e domenica, è composto da 180 domande più l'elaborazione di un testo. L'esame è utilizzato principalmente per avere accesso alle università pubbliche federali (Universidades Federais), ma serve anche come certificato di conclusione dell'ensino médio ed è requisito necessario per avere accesso a programmi di studio del Governo), una domanda sul movimento sociale cui contribuì la femminista Simone de Beauvoir ha suscitato molte reazioni.
La domanda partiva da una celebre citazione della Beauvoir: "Donne non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l'aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell'uomo; è l'insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna." Gli alunni dovevano identificare il movimento sociale degli anni 60 che si identificava in questa definizione. Il tema è esploso sui social network. In molti non se ne sono fatti una ragione. Ma protestare non è servito a nulla. Il giorno seguente, l'ultimo giorno di prove, il tema conclusivo ha messo ancora il dito nella piaga "La persistenza della violenza sulle donne nella società brasiliana". E ancora una volta una valanga di commenti maschilisti hanno invaso la rete.
Tutto questo ha rafforzato il movimento femminista che è stato il primo a scendere in piazza per reclamare l'uscita di Eduardo Cunha dalla presidenza della camera, riuscendo ad aggregare molta gente in questa lotta.
Per Pablo Ortellado, filosofo e professore all'Università di San Paolo, questo è un riflesso del successo di questo gruppo, capace di comunicare con settori più ampi della società. "Da tempo le donne stanno svolgendo un lavoro di sensibilizzazione", ha detto. "Le altre cause, come quella indigena, ambientale, la legalizzazione delle droghe e, in certa misura, addirittura il movimento nero, stanno fondamentalmente parlando solo per loro stessi".
Ha richiamato l'attenzione nelle manifestazioni la forte presenza di ragazze adolescenti. A San Paolo, la studentessa Marina Yazbek Mourão, 17 anni, che ha partecipato alla manifestazione, ha detto: "Sono qui perché non vogliamo
più essere private di nessun diritto. Quando ho saputo dell'approvazione del progetto di legge mi sono indignata. Ho letto la notizia in un sito e ho cominciato a cercare su internet perché mi sembrava una barzelletta".
Secondo Jaqueline Vasconcellos, una delle organizzatrici della manifestazione, il progetto di legge è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. "L'approvazione del PL è stata la molla che ha fatto scattare la protesta", dice. "Siamo scese in piazza per chiedere l'uscita di Cunha dalla Presidenza della Camera perché queste temi fondamentali vengono messi in discussione e vengono votati solo perché lui sta lì. E siamo qui anche per la legalizzazione dell'aborto".
Marisa Sanematsu, direttrice dell'Instituto Patrícia Galvão, crede che le donne stiano riuscendo ad aggregare altri segmenti della società nella loro lotta. Ecco il perché di tanta gente in piazza. "La sensazione è che stiamo vivendo un periodo molto ricco e importante di mobilitazione, e la società nel suo insieme si sta mobilitando intorno alle questioni poste dalle donne". La presenza di ragazze molto giovani, come Marina Yazbek e di molti uomini alle manifestazioni - lo scrittore Marcelo Rubens Paiva era presente, tra gli altri, alla manifestazione di venerdì a San Paolo - illustra bene questa diversità. "La lotta per i diritti delle donne sembra aver la capacità di sensibilizzare le persone. Staremo forse vivendo qualcosa di simile a quanto successo con le manifestazioni del 2013?", domanda Marisa.
È ancora presto per fare dei paragoni tra il momento attuale e ciò che si è vissuto nel 2013, quando centinaia di migliaia di persone scesero nelle piazze di tutto il paese in un primo momento per protesta contro l'aumento delle tariffe dei trasporti pubblici, ma che si diluì ben presto in altre rivendicazioni. "Per arrivare a un nuovo Giugno (ndt. il mese ormai diventato storico delle manifestazioni del 2013), la mobilitazione deve essere di maggiore entità, ma credo che il tema abbia il potenziale per crescere ancora di più nelle piazze", dice Ortellado.
Jaqueline Vasconcellos dice che una riunione sarà realizzata tra i collettivi questo mercoledì per decidere le prossime scadenze di lotta. "La prossima manifestazione sarà molto più grande", dice. "Troveremo una data unica per la manifestazione che si svolgerà nelle varie città".
Manoela Miklos, dottore di ricerca in relazioni internazionali, dopo aver partecipato alla manifestazione delle donne a Rio de Janeiro, il 28 ottobre, è rimasta impressionata da un elemento particolare: il suono.
"Non mi ero mai soffermata per pensare a quanto fosse naturale che la voce delle piazze sia sempre maschile. Quel giorno, il suono delle donne che gridavano insieme è stato impressionante ", dice. Quando il giorno dopo ha letto le notizie sulla manifestazione, ha provato un senso di frustrazione. "Sono rimasta molto infastidita dal fatto che le narrazioni sono tutte maschili. Gli uomini stavano parlando di quanto fosse importante ascoltare le donne, ma erano loro che stavano parlando! ", dice.
Da questo fastidio, è nata la campagna # AgoraÉqueSãoElas (ndt. hashtag che ha questo significato: Adesso sono loro, le donne, a parlare!) . Nel corso di tutta la settimana, editorialisti, scrittori e giornalisti sono stati provocati ad invitare una o più donne a occupare i loro spazi e a scrivere al loro posto. La campagna è diventata virale e diversi editorialisti vi hanno aderito. «Non immaginavo che sarebbe stato così grande", dice Manoela. "Si è trattato di un manifestarsi molto forte, ma anche di molto arrabbiato. Per me, è restato quel suono. Un suono che non avevo mai sentito."