13.04.16
"Vedove di marito vivo": come vivono le famiglie delle vittime della schiavitù
In uno dei municipi brasiliani da cui emigrano lavoratori che saranno vittime di lavoro schiavo, le donne allevano da sole i loro figli, che restano mesi senza vedere i padri
di Stefano Wrobleski, da Codó (Maranhão), pubblicato su Reporter Brasil il 29/03/16
traduzione di Clelia Pinto per il Resto del Carlinho Utopia
L’estrema povertà e la mancanza di prospettive lavorative a Codó, un comune di 118.000 abitanti nello stato di Maranhão, porta ogni settimana decine di lavoratori a lasciare le loro case e ad attraversare il paese in cerca di lavoro.
Chi rimane sono le donne - spose e sorelle dei migranti - che da sole si prendono cura, per mesi o anni, dei figli. Poiché il denaro inviato dagli uomini è poco, il principale mezzo di sopravvivenza di queste famiglie è la "Bolsa Familia" (ndt. sussidio governativo), che raggiunge due terzi delle 27.000 famiglie del comune.
“Un giorno c’è soltanto riso, un altro non c’è niente da mangiare. La vita qui è troppo dura”, dice Andreia Pires da Conceição,che vive in una piccola casa della periferia di Codó. Il padre di cinque dei suoi sei figli si è trasferito a S.Paulo in cerca di lavoro ed è rimasto lì. Dopo la separazione, si sentono soltanto per telefono e non invia denaro ai figli.
In casa di Andreia oggi sono in diciassette a condividere sei stanze e a dipendere dalla Bolsa Familia che lei, sua cognata e sua madre ricevono per fare andare i bambini a scuola. Oltre alla frequenza scolastica, anche il reddito mensile è un criterio del programma di assegnazione dei sussidi e non può superare i 154 reais per ogni persona del nucleo familiare (ndt. meno di 40 euro)
Raggiungendo due terzi delle famiglie di Codó, la Bolsa Familia è il principale mezzo di sopravvivenza del comune, che non offre opportunità di lavoro
Oltre alla Bolsa Familia e al riso piantato dal padre di Andreia, il reddito in casa è integrato da quel che i tre fratelli di Andreia, che lavorano nello stato del Mato Grosso, riescono a inviare. Lavorano scaricando camion di soia, per giornate massacranti che iniziano a mezzogiorno e spesso non finiscono prima delle 23, come racconta la madre, Tereza, di 57 anni.
Ma non sempre il denaro arriva. Non tutti i mesi i fratelli riescono a risparmiare parte del salario per inviarlo a Tereza, Andreia e i bambini.
Oltre alla soia, i lavoratori emigrati trovano lavoro principalmente nell'edilizia e nelle coltivazioni di canna da zucchero.
È tra i lavoratori di questi settori che si trova la maggior parte delle 413 vittime di lavoro schiavo riscattate in tutto il Brasile tra il 2003 e il 2014 che provenivano da Codó - uno dei maggiori poli di uscita di emigranti interni del paese.
Di questi, solo quattordici erano donne, secondo i dati della Commissione Pastoral da Terra. La proporzione riflette una tendenza di tutto il paese: sono soprattutto gli uomini che lavorano fuori e le donne si occupano della casa e dei bambini.
I lunghi viaggi di questi lavoratori lasciano nostalgia in quelli che restano e riducono la rete di protezione di quelli che vanno via. Nel caso di Tereza, la madre di Andreia, il contatto con i figli che sono partiti per il Mato Grosso è difficile. Valdivino, uno dei ragazzi, non dà notizie da dicembre del 2015, quando gli hanno rubato il cellulare. “È rimasto solo, mentre gli altri sono tornati tutti. Solo al loro ritorno abbiamo saputo che è lì e sta lavorando. Sono più di tre mesi dall’ultima volta che ci siamo sentiti”, racconta Tereza.
Espulsi dalla terra
La casa di Andreia e Tereza si trova a Codó Novo, uno dei quartieri più degradati della città, dove le fogne a cielo aperto attraversano le strade di fango.
Prima di trasferirsi nel quartiere periferico, la famiglia viveva nella zona rurale, dove la coltivazione della terra garantiva un minimo di cibo a tavola.
Ma la famiglia è stata espulsa da un latifondista ed ha affittato, per 50 reais al mese (ndt. poco più di 12 euro), la casa dove abitano ormai da tre anni. “Stiamo in questo quartiere perché non abbiamo casa in nessun posto”, dice Tereza.
Nonostante l’espulsione dal posto dove vivevano, José Rocha, padre di Andreia, ha trovato un piccolo pezzo di terra a 60 km da casa, dove coltiva il riso che garantisce il sostentamento della famiglia.
Foto: Lilo Clareto/Repórter Brasil
Foto: Lilo Clareto/Repórter Brasil
Foto: Lilo Clareto/Repórter Brasil
Foto: Lilo Clareto/Repórter Brasil
Foto: Lilo Clareto/Repórter Brasil
Foto: Lilo Clareto/Repórter Brasil
Il quartiere di Andreia è uno di quelli che ricevono più nuove famiglie, le quali sono costrette a lasciare la zona rurale per la città, e che, senza spazio per l’agricoltura di sostentamento, vedono viaggiare i loro uomini per garantire la sopravvivenza grazie alle rimesse. Nel comune, secondo l’Atlante di Sviluppo Umano in Brasile, la popolazione in area urbana è salita dal 56% al 68% tra il 1991 e il 2010, nonostante una crescita demografica dello 0,86% . Il dato mostra, con una popolazione quasi stagnante, l’aumento dei cittadini è legata principalmente dalla migrazione di famiglie delle aree rurali.
Sono queste nuove famiglie della città che concentrano il maggior numero di emigranti che partendo da Codó saranno schiavizzati in tanti luoghi del Brasile. Circa un terzo dei 413 lavoratori riscattati hanno dichiarato agli addetti del Ministero del Lavoro di risiedere a Codó Novo o a Santa Teresinha, un quartiere vicino.
Quando vivevano nella zona rurale, il padre di Andreia lavorava con l’aiuto di figli e nipoti coltivando la terra e facendo crescere gli alimenti che avrebbero sostentato la famiglia per un anno.
Invece Andreia e Tereza, oltre a occuparsi della casa, si occupavano della raccolta del cocco, presente in tutta la regione. Dal frutto ricavavano olio e carbone. È un’attività tradizionale per le donne dei campi di questa zona del Maranhão, che usano i prodotti derivati dal cocco per la casa o per la vendita in città, arrotondando il reddito di famiglia.
Quartieri vulnerabili
Gli indirizzi di origine dei riscattati dalla schiavitù di Codó mostrano che un terzo proveniva dal vicinato di Andreia
Brasile: Il lavoro schiavo è una realtà, ma le condanne no
Migliaia di lavoratori sfruttati in condizioni analoghe alla schiavitù, ma nessun responsabile ha pagato con un solo giorno di prigione, mentre c'è chi pensa di indebolire le leggi di contrasto esistenti. Tra il 1996 e il 2003, più di 50 mila lavoratori sfruttati in condizioni analoghe alla schiavitù sono stati liberati in Brasile. Tuttavia, nel 2016, non uno dei responsabile di questi crimini è stato arrestato. Nessuno dei pochi condannati ha scontato l'intera pena. Nel frattempo, la "bancada ruralista" mette in discussione l'attuale definizione di "lavoro schiavo" nel Codice Penale, anche se questa è già approvata da organi nazionali, come il Ministero Pubblico del Lavoro e dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT). Nonostante le politiche pubbliche di lotta al lavoro schiavo siano riconosciute a livello internazionale, gli esperti temono che la legge stia facendo dei passi indietro.