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Chi muore, chi uccide e chi soffre nel genocidio delle periferie di San Paolo

Dieci anni dopo i 'Crimini di Maggio' del 2006, i giovani continuano a morire nelle periferie di San Paolo

 

di Iuri Salles e Thiago Gabriel, pubblicato il 13.05.16 su Vaidapé

traduzione di Annalisa Marchini per il Resto del Carlinho Utopia

Il mese di maggio del 2006 è rimasto profondamente impresso nella memoria dei parenti delle vittime di una serie di oltre 500 omicidi di civili nella regione metropolitana di San Paolo, compiuta da gruppi di paramilitari come risposta agli attacchi del PCC. (ndt. "Primo Comando della Capitale", organizzazione della criminalità organizzata di San Paolo)

 

Dopo gli attacchi del PCC, che fecero 43 vittime tra le forze dell'ordine, la Polizia Militare iniziò una lunga serie di esecuzioni sommarie di giovani in modo del tutto casuale nelle periferie della città, in un tentativo di vendetta per gli agenti uccisi dalla fazione criminale. La morte di tanti innocenti segnò quell'operazione.

 

Il 12 di maggio 2016, si sono compiuti 10 anni dai Crimini di Maggio. La notizia, tuttavia, è stata oscurata sui media dai titoli dedicati alla caduta della Presidente Dilma Rousseff (PT) e all'assunzione della presidenza ad interim di Michel Temer (PMDB). La voce di quelli che soffrono continua ad essere silenziata dal teatro politico, giuridico e mediatico, ma la marcia funebre continua il suo cammino malato nelle periferie del paese.

San Paolo. Manifestazione delle Madri di Maggio nel 10° anniversario dei Crimini di Maggio

I FIGLI

 

Grajaù, estremo sud di San Paolo. Ore 22:30. Venerdì, 16 ottobre 2015. Alla fermata, annoiati dall'attesa dell'autobus, c'erano circa 20 persone. A 50 metri, otto o nove colpi di pistola annunciavano ancora una notte di morte nel distretto della zona sud. La vittima segue la regola: nero, povero, giovane. L'autore della tragedia anche, eccetto che per l'abbigliamento diverso, qualcosa di più casual per il momento. L'agente della PM (Polizia Militare), Evandro Gonçalves Xavier, ha ucciso, fuori servizio, lo studente Yago Ikeda Barreto Pedrosa Araujo, di soli 16 anni. Di fronte alla disperazione e anche all'incoscienza, alcuni passeggeri in attesa dell'autobus, si dirigono verso il corpo di Yago per aiutarlo. Tra loro, la nostra testimone, la cui storia sta alla  base della ricostruzione del caso in questo articolo, e la cui identità rimarrà anonima.

 

Lei è stata una delle prime persone ad arrivare, un minuto dopo gli spari. La prima impressione era stata che il rumore fosse di fuochi artificiali. Il giovane già non rispondeva più. Era stato colpito alla schiena. Il poliziotto "in borghese" è apparso solo dopo i passanti. Lui si è identificato, ha raccontato di aver subito un tentativo di rapina da parte di Yago, e che aveva già chiamato la polizia. Mostrando calma e naturalezza, Evandro non sembrava essere turbato, e dava la sensazione di "avere compiuto il suo dovere".

Ogni 5 persone uccise

nello stato di San Paolo,

2 sono lo sono per mano

della polizia.

La possibilità di difesa per Yago: "Nessuna. Per come correva, è caduto a terra." Secondo la testimonianza, il giovane non era armato quando cadde morto a terra, contraddicendo la versione presentata dalla polizia. La versione ufficiale, registrata dal verbale della polizia, riferisce che l'agente Evandro Xavier aveva acquistato un telefono cellulare su un sito internet, e si era dato appuntamento per prendere il telefono in un vicolo, tra le vie Domênico Cimarosa e la Avenida Grande São Paulo. Al suo arrivo, si era presentato ad un giovane come l'acquirente.

Il giovane avrebbe annunciato un tentativo di rapina, intimando al poliziotto di dargli i soldi, dicendo che un suo complice armato stava alla fine della strada. Evandro disse di aver estratto la pistola e di essersi identificato come poliziotto.

In quel momento, Yago, secondo il rapporto, dalla fine della strada, ha sparato a Evandro, che a sua volta rispose al fuoco colpendolo. Yago iniziò a correre ma, subito dopo, cade morto a terra. Sempre secondo il verbale, due giovani si avvicinarono al corpo del ragazzo, presero la sua arma e fuggirono in auto. Yago risultò scomparso per 4 giorni dopo l'azione della polizia. Il suo corpo è stato identificato solo il 20 di ottobre.

 

Interpellato dai nostri giornalisti, la Segreteria di Sicurezza Pubblica, ha risposto solo tramite una dichiarazione ufficiale, informando che "il DHPP (Dipartimento  Omicidi e Protezione delle Persone) sta indagando sul caso. Agenti del Dipartimento sono alla ricerca di altri testimoni e di altre immagini delle telecamere di sorveglianza nel quartiere di Grajaú ".

 

La zia della vittima, Rosângela Gonçalves de Araújo, ha dichiarato in un'intervista a Ponte Jornalismo: "Come nipote, come essere umano, Yago è stato un bambino meraviglioso. Era rispettoso, affettuoso, non ha mai avuto una discussione. Solo pace e amore. La madre di Yago è una grande lavoratrice. Per questo lui ha vissuto molto con la nonna. Quello che più fa male, come zia, è che di non essermelo potuto godere abbastanza. La  sua vita è stata troppo breve. Già mi manca".

Nel 2015 la media di persone

uccise dalla polizia di San Paolo è di 2 al giorno.

Secondo i dati della Segreteria di Sicurezza Pubblica dello Stato di San Paolo, sono state 750 le persone uccise dalla polizia militare e 48 da quella civile.

In totale sono 780 morti.

Nello stesso periodo sono stati uccisi in servizio 13 poliziotti militari e tre civili

GLI ASSASSINI

 

"Un poliziotto che ho intervistato, mi ha detto che ha iniziato con idealismo, ovvero, fare giustizia a tutti i costi con le proprie mani, che lui non credeva nel sistema. Ma poi questo si trasformò in un disturbo del comportamento, al punto che aveva bisogno di uccidere qualcuno tutte le settimane, diventò un vizio. Quindi è un disturbo del comportamento molto grave." La dichiarazione è del tenente colonnello in pensione della polizia militare, Adilson Paes, che, per  realizzare la sua tesi presso l'Università di San Paolo, ha intervistato diversi agenti di polizia coinvolti in situazioni criminose.

La tesi è diventata il libro "Il Guardiano della Città", che indaga sulle ragioni strutturali della violenza della polizia.

"Sono arrivati a dichiarare che l'esercizio dell'autorità permetteva  loro di poter fare di tutto in nome della sicurezza, e che questo attributo di potere dato polizia significava avere super poteri, ovviamente per poter fare qualsiasi cosa in nome della sicurezza", racconta Paes, basandosi sulle interviste che ha realizzato. "Tanto è vero, che quando vengono arrestati, si sentono vittime d'ingiustizia: "Io faccio di tutto, ho messo a rischio la mia vita, quella della mia famiglia, la mia libertà, in nome della società. E adesso la società mi critica quando sono arrestato".

 

Nella sua ricerca, Adilson ha riscontrato caratteristiche comuni nei comportamenti dei poliziotti che praticano esecuzioni: "I poliziotti coinvolti in  esecuzioni sommarie dichiaravano: 'non potevamo non renderci conto che stavo agendo in un modo differente, e non potevamo non renderci conto che stavamo facendo una cosa sbagliata. Ma, nonostante tutto questo, nessuno ha mai preso alcun provvedimento per fermarci. Abbiamo smesso solo quando siamo stati arrestati'". A questo riguardo, Adilson, analizza la responsabilità del corpo della polizia: "Penso che le cause di queste pratiche risiedano proprio in queste omissioni, in questa insensibilità".

 

Il tenente colonnello rileva inoltre motivazioni di carattere finanziario alla base delle azioni dei gruppi di sterminio: "Commercianti o persone dalla periferia che non si fidano del sistema contrattano poliziotti militari  per eliminare autori di reati nei loro locali o che delinquono in una determinata zona" spiega Adilson. Quando gli è stato chiesto se agivano, quindi, come dei killer assoldati, lui afferma: "Sì".

 

LE MAMME

 

Gli occhi da guerriera di mamma Débora Silva Maria mostrano una lotta intensa e che non vuole abbandonare. Lei ha perso suo figlio nei Crimini di Maggio del 2006, dove almeno 564 persone vennero assassinate durante una rappresaglia della Polizia Militare seguita gli attacchi del PCC. La maggior parte delle vittime furano ragazzi neri della periferia, uccisi tra il 14 e il 17 maggio, da gruppi di sterminio legati alla polizia militare.

Tra i giovani uccisi c'era anche  Edson Rogério Silva dos Santos, figlio di Debora, morto il 15 maggio, il giorno dopo la festa della mamma.

Débora Silva Maria

"Dopo che aveva finito la sua giornata di otto ore di lavoro, la polizia del governatore Geraldo Alckmin ha ucciso mio figlio. Lui era un netturbino, spazzava i rifiuti della nostra società, ma non è riuscito a spazzare i rifiuti del potere. Noi non vogliamo che i poliziotti premano il grilletto, chi ce lo deve mostrare è il governatore", racconta la madre, che dalla morte del figlio, insieme ad altre madri, lotta contro "una cultura di pulizia della povertà, che sta sulla punta della mitragliatrice della polizia e dello stato".

 

Dal 2006 Debora è una delle fondatrici  e coordinatrici del Movimento Mães de Maio (Madri di Maggio) . Il gruppo si batte perché sia fatta giustizia contro gli assassini dei loro figli, e dei "figli" non di sangue, tutti i giovani delle periferie, che sono vittime delle azioni della  polizia che fanno scorrere il "nostro sangue!" afferma Debora.

La lotta è sofferta. Debora racconta che, in dieci anni di movimento, "abbiamo già perso tre mamme di maggio, stiamo continuando a perdere mamme di maggio. Queste donne stanno morendo di cancro. Il cancro è un'angoscia. La nostra angoscia verso l'indifferenza dello Stato per queste donne. Noi non abbiamo alcuna assistenza medica. È un grido, è un diritto"

 

Così come il supporto medico e psicologico alle vittime della violenza dello stato, le rivendicazioni delle mamme di maggio sono allo stesso modo trascurate. "Noi non abbiamo modo di combattere i gruppi di sterminio, perché i potenti che dicono di essere a favore dei diritti umani, di umano non hanno niente. Loro non hanno il coraggio di prendere le madri per mano e dire "Abbattiamo questo sistema". I diritti umani siamo noi, noi per noi, che soffriamo nel ghetto. Le madri sono le vere proprietarie dei diritti umani".

 

Le difficoltà affrontate  dal movimento passano attraverso minacce, intimidazioni, invisibilità, e soprattutto l'angoscia di assistere al perpetuarsi dello sterminio dei giovani neri, tanto combattuto dalle madri. La polizia militare di San Paolo ha  ucciso 11.358 persone negli ultimi 20 anni. Deborah analizza: "In 20 anni, solo passi indietro. Ma la periferia  ancora non si è svegliata . Il giorno in cui si sveglierà, tutti loro scapperanno. Il mio sogno era quello di vedere le favelas prendere il loro spazio, che è la strada. Occupare le strade di diritto, e questo ancora non succede. Tutti paralizzati dalla cultura della paura. È in questo che  il sistema guadagna potere, perché la cultura della paura è al primo posto".

 

Lettera Finale del I° Incontro Internazionale delle Madri delle Vittime della Violenza di Stato
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