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10/05/14

"DESAPARECIDOS" E DIMENTICATI
Il caso AMARILDO è uno dei pochi investigati tra i più di 6000 "desaparecidos" (scomparsi) nello Stato di Rio de Janeiro tra il 2012 ed il 2013; per gli osservatori esiste una evidente relazione tra la diminuzione del numero di omicidi commessi dalle forze di polizia e l'aumento delle scomparse.

di Giuliander Carpes | 26 febbraio 2014
pubblicato sul sito dell'Agência A Pública

traduzione in italiano di Clelia Pinto e Carlinho Utopia

 

Nel luglio dello scorso anno, un grido è echeggiato nella più grande favela nella Zona Sud di Rio de Janeiro, varcandone i confini. Come se provenisse dagli altoparlanti della radio Rocinha, il grido della vedova del muratore scomparso nelle mani della polizia si è moltiplicato sugli striscioni delle manifestazioni di piazza che hanno scosso il paese dal mese di giugno, acquisendo grande visibilità sui social network.

 

"Dov'è Amarildo?", il mondo ha cominciato a domandarselo, come lo avessero conosciuto da sempre, lì nel baretto di Julio, nella parte bassa della favela. Grazie alle pressioni della società civile, l'inchiesta è andata avanti. Alla fine, ha rivelato che il marito di Elizabeth Gomes, operaio e padre di 7 figli, è stato torturato e ucciso da poliziotti della UPP Rocinha.

 

I 25 agenti incriminati per la partecipazione alle torture che hanno condotto alla morte di Amarildo hanno cominciato ad essere giudicati in questo mese. Il suo corpo, però, rimane scomparso. Tuttavia questo esito è di per sè una rarità tra i casi di sparizione a Rio de Janeiro - molti dei quali non vengono nemmeno indagati. Il caso Amarildo è stato l'unico a ottenere visibilità tra le 6.034 sparizioni registrate tra novembre 2012 e ottobre 2013, secondo l'Istituto di Pubblica Sicurezza (ISP) - non ci sono dati più recenti disponibili. Fin dal primo anno di governo di Sérgio Cabral, le statistiche ISP (collegata alla Segreteria di Pubblica Sicurezza di Rio de Janeiro) indicano quasi 40 mila dispersi.

Oltre alla fragilità delle investigazioni della polizia , la scomparsa del muratore, denunciata da Elisabete, ha svelato le violenze nascoste dietro agli entusiasmi per le UPP, le Unità di Polizia pacificatrice, create nel novembre 2008 con la promessa di “pacificare” le favelas carioca, martirizzate dal crimine organizzato e dalla polizia. “Non smetterò di gridare, lasciando che tutto ciò resti impunito. Già che loro (gli accusati del crimine) stanno nella m... perché non dicono subito dov’è mio marito? La famiglia di Amarildo non molla. Non chiuderemo la bocca. Anche se mio marito fosse stato un trafficante, non era da uccidere, ma da arrestare” dice ancora ora Elisabete, e le sue parole, la sua unica arma fin dalla scomparsa di Amarildo, sono un fiume in piena. Perché quanta più gente sente quel che dice, tanto meglio, "L’altro giorno ero al "Wagner Montes" (programma della TV Record), e poi alla TV Globo... ovunque”, racconta.

 

DITO PUNTATO SULA POLIZIA

 

Dal 15 luglio, Bete insiste: suo marito è scomparso per mano dei poliziotti della UPP, insediata dieci mesi prima per sostituire il dominio territoriale del traffico di droga nella favela della Rocinha. Le voci per screditare la versione della moglie di Amarildo sono iniziate quel giorno. Il poliziotto Douglas Vital, responsabile del fermo aggressivo del muratore, disse di non conoscere Amarildo e di averlo scambiato per un narcotrafficante di nome Guinho, nonostante avesse già arrestato uno dei suoi figli e nonostante ci siano testimoni che minacciasse Amarildo. Il comandante della UPP, maggiore Edson Santos, disse che il muratore era stato liberato dopo un interrogatorio di routine e che era uscito dall’unità dalla "scala di Dionéia" . Le telecamere di sorveglianza non confermarono la sua versione.

L’allora delegato aggiunto della 15° Delegazione di Polizia ( Gávea), Ruchester Marreiros, disse che Amarildo e Bete erano al servizio del narcotraffico e chiese addirittura la prigione per Elisabete. Per lui, il caso avrebbe dovuto chiudersi già dopo una settimana: Amarildo sarebbe stato ucciso dai narcotrafficanti, che ancora sono presenti nella comunità (favela).

In una falsa intercettazione telefonica inscenata dai poliziotti militari, un presunto trafficante ammetteva il crimine. Ma Bete non si è arresa. "Abbiamo cercato da tutti i parenti. Siamo stati a Nova Iguaçu, Alcântara... niente. Allora abbiamo iniziato a rivolgerci ai posti di polizia", ricorda Bete, mentre cammina per le strade della Rocinha, sotto gli sguardi dei poliziotti della UPP, e con al fianco tre dei suoi figli più giovani che, dalla scomparsa del padre, si rifiutano di lasciare la madre sola. Ricorda la storia: “Arrivammo al commissariato e subito fummo maltrattati da un funzionario di là. Si rivolse a me con prepotenza. Disse che noi eravamo coinvolti nel narcotraffico.

Disse: “Vai via da qui, sparisci, vai a cercare tuo marito in un altro posto” e aggiunse “Te lo sto dicendo con le buone... " ed io dissi: "Signore, sono alla ricerca di mio marito, un poliziotto è sparito con lui ed anche con i suoi documenti.”

 

In quei giorni di luglio, il Brasile, e specialmente Rio de Janeiro, viveva un’ondata di proteste, che rivendicavano in primo luogo diritti civili. La violenza degli agenti di polizia contro un nero abitante di favela, tante volte ripetutasi, questa volta veniva denunciata da una moltitudine indignata. Il governo fu costretto a dare priorità al caso. A quel punto allora, l'ispettore del 15°Distretto di Polizia, Orlando Zaccone (che oggi è in servizio oggi nel 30° Distretto, il Marechal Hermes) cambiò la direzione delle indagini. Il caso passò ad essere investigato come omicidio e fu trasmesso alla DH (Divisione Omicidi).

 

Gli investigatori specializzati della Div. Omicidi, conclusero che il muratore era stato torturato nella sede stessa delle UPP. Le "tecniche" utilizzate includevano l'asfissia con sacchetto di plastica in testa, choc elettrico sui piedi bagnati e soffocamento nel wc. Ancor più grave: questi “metodi” venivano usati normalmente con i “sospetti” nell’unità diretta dal maggiore Edson Santos, ex agente del Battaglione delle Operazioni Speciali (Bope), secondo le dichiarazioni di ventidue persone sopravvissute alle torture, allegate all’inchiesta di più di 2.600 pagine sul caso Amarildo. La resistenza nel rivelare dove si trovi il corpo di Amarildo da parte dei poliziotti accusati ha richiamato l’attenzione degli specialisti su un fenomeno sempre più evidente a Rio: la crescita del numero di desaparecidos (scomparsi) che alcuni mettono in relazione con un altro indice, questo in calo: il registro delle morti provocate dai poliziotti.

IL "SALI E SCENDI" DEL CRIMINE

 

L’Istituto di Sicurezza Pubblica (ISP) dello Stato di Rio de Janeiro stima che i casi di scomparsa di persone hanno raggiunto livelli significativi fin dall’inizio degli anni 90. Nel 1991 furono registrati 2.616 casi. Nel 2003, il numero è saltato a 4.800 scomparsi e dopo una diminuzione del 19,4 % durante il governo di Rosinha Garotinho, furono 3.877 nel 2006, per riprendere nuovamente a crescere durante il governo Cabral quando gli scomparsi sono passati al 32%.

Dall’altro lato, i numeri dell’ISP riferiti a omicidi dolosi sono diminuiti praticamente nella stessa misura: 35% (dai 6.133 casi, nel 2007 ai 4.543 dal novembre del 2012 all’ottobre 2013). E la discesa è ancora maggiore se si esaminano le percentuali dei cosiddetti "atti di resistenza" comparandoli negli stessi periodi: 72% , da 1330, nel 2007 a 402 tra il 2012 e il 2013. (ndt. Gli "atti di resistenza" detti anche "atti di resistenza seguiti da morte". Si tratta di un sistema legale ereditato dalla dittatura militare ed ancor oggi in vigore, che, non prevedendo alcuna indagine nel caso in cui si certifichi che una morte è avvenuta in un confronto a fuoco, copre di fatto gli omicidi commessi dai poliziotti garantendo loro l'impunità) nel confronto degli stessi periodi: 72% (da 1330, nel 2007 a 402 tra il 2012 e il 2013).

 

Nel 2009 l’ISP realizzò una ricerca per verificare se e in quanti casi, le sparizioni potevano nascondere degli omicidi , commessi o meno da poliziotti, attraverso l’occultamento dei cadaveri. Le conclusioni minimizzarono l’importanza del fenomeno: secondo l’Istituto di ricerca della Segreteria di Sicurezza Pubblica di Rio de Janeiro, con poco più di 400 familiari di scomparsi contattati per telefono, il 71% dei desaparecidos erano già tornati a casa e solo il 7% erano stati trovati morti; il 15% non sono mai stati più visti, né vivi né morti. Poiché i crimini non sono stati investigati, si sa poco oltre questi numeri ottenuti da "uno studio che presenta alcune limitazioni metodologiche, come il ridotto campo di ricerca ed i contatti con i denuncianti avvenuti solo per telefono”, come spiega il sociologo Ignacio Cano, sociologo coordinatore del Laboratorio di Analisi della Violenza dell’Università Statale di Rido de Janeiro.

 

OSCURE STATISTICHE

 

Anche così, le supposizioni che le sparizioni coprano dei crimini hanno acquisito forza. Anche perché, un anno prima della ricerca, l’antropologa Ana Paula Miranda, ex direttrice dell’ISP, dichiarò al giornale O Estado de S.Paulo che “il governo non teneva conto degli atti di resistenza nella somma finale degli omicidi dolosi” e che “alcuni casi di evidenti omicidi stavano venendo registrati come ritrovamento di cadaveri e resti umani”. Il sociologo Gláucio Soares, che ha diretto lo studio del 2009, pubblicò allora un articolo sul giornale O Globo smentendo queste ipotesi e affermando che, secondo le statistiche, Rio non superava altri paesi e che omicidi e sparizioni “non erano farina dello steso sacco”.

 

La difficoltà nell'ottenere cifre ufficiali affidabili continua ad essere, comunque, un ostacolo per coloro che vorrebbero approfondire le ricerche sul tema. “Serve molto lavoro sul campo perché i dati in sé non rivelano niente. I verbali stessi dei fatti avvenuti, non dicono molto. Vengono fatti appositamente per non lasciare tracce delle cose”, sostiene il sociologo Fábio Araújo, che nel 2012 ha presentato una tesi di dottorato all’Università Federale di Rio de Janeiro sulle sparizioni forzate. Un altro motivo che genera la sfiducia dei ricercatori in relazioni alle statistiche della polizia è dato dal fatto che la diminuzione degli omicidi e degli atti di resistenza sono tra le mete del programma di riduzione della criminalità della Segreteria di Sicurezza Pubblica dello stato. Quando gli indici della cosiddetta “Letalità violenta” scendono, sono previsti bonus in denaro per i membri dei battaglioni di polizia militare e per i commissariati della polizia civile. Secondo la Segreteria di Pianificazione e Gestione la somma totale dei bonus elargiti nel 2013 è stata di R$ 59.862.142,64, distribuiti tra 8.036 operatori di polizia.

 

“Naturalmente, chi lavora all'elaborazione di questi dati, non può produrli da solo, occorre un altro schema che garantisca la veridicità di quell’informazione e pertanto può essere interesse dei commissariati stessi il non registrare” dice l’economista Daniel Cerqueira che si è immerso nelle statistiche sulle morti violente per realizzare una ricerca per l’IPEA (Istituto di Ricerche e Analisi). “Non è un’ipotesi di manipolazione del sistema (dei dati) ma piuttosto un’ipotesi di manipolazione dell’essere umano. È quasi naturale se pensiamo che chi sta lavorando sa che in futuro potrà ricavarne un beneficio economico”, fa notare ancora.

 

Nella ricerca “Morti violente non chiarite e Impunità a Rio de Janeiro”, Cerqueira ha incrociato i dati dell’Isp e del Sistema di Informazione sulla Mortalità del Ministero della Salute, considerati a livello internazionale più attendibili. Tutte le morti violente la cui causa non sia stata subito spiegata che vengono comunicate al SIM devono generare delle indagini con la partecipazione di legali e della polizia, per stabilire se si sia trattato o meno di un crimine. Secondo Cerqueira, intanto, dal 2007 il governo Cabral rende difficile il passaggio di informazioni dalle autorità di polizia a quelle della salute, facendo aumentare i casi qualificati come "morti per causa non determinata".

 

“I dati hanno iniziato a perdere molta qualità. Molte morti da arma da fuoco restano registrare al SIM come morti violente per causa indeterminata”, spiega il ricercatore, che considera queste morti violente come “omicidi occulti”. I numeri sono significativi. Sebbene il numero di omicidi sia rimasto stabile tra il 2006 e il 2009, le "morti violente per causa indeterminata" corrispondevano al 62,5% del numero totale di morti registrate nel 2009 dal SIM. In numeri assoluti, questo significa che 3.165 omicidi non sono stati inclusi nelle statistiche dell’ISP di quell’anno.

 

D'altro canto, Rio de Janeiro è la città con il maggior numero di morti violente indeterminate.

Nei registri di S.Paulo, per esempio, il tasso di queste morti è passato da 11 ogni 100.000 abitanti tra il 2000 e il 2006 a 6 ogni 100.000 tra 2007 e 2009, pari alla media nazionale. A Rio, negli stessi periodi, questo tasso è salito da 12 a 22 ogni 100.000 abitanti.

 

L’ ISP ha risposto  alle conclusioni dell’Ipea con una nota. “Le banche dati della Segreteria dello Stato di Sicurezza, compilate dall’Istituto di  Sicurezza Pubblica (ISP) e dalla Segreteria di Stato per la Salute, trattati nel Sistema di Informazione sulla Mortalità (SIM), sono distinti nella loro finalità, temporalità e categorizzazione dei dati. Per questo, qualsiasi confronto tra banche dati della Sicurezza e quelli della Salute che non consideri queste differenze darà risultati equivoci.

 

 

 

 

"AUTO DE RESISTÊNCIA"

Ovvero: come legittimare il genocidio di migliaia di giovani poveri delle periferie e delle favelas, di preferenza neri.

 

Gli "atti di resistenza" detti anche "atti di resistenza seguiti da morte". Si tratta di un sistema legale ereditato dalla dittatura militare ed ancor oggi in vigore, che, non prevedendo alcuna indagine nel caso in cui si certifichi che una morte è avvenuta in un confronto a fuoco, copre di fatto gli omicidi commessi dai poliziotti garantendo loro l'impunità.

 

Questo sistema va in crisi nel momento in cui la famiglia della vittima fa ricorso, fatto questo che accade sempre più spesso, grazie alla progressiva presa di coscienza degli abitanti delle favelas. L’avvocato João Tancredo, che rappresenta la famiglia di Amarildo, conosce bene i crimini commessi dai poliziotti di Rio de Janeiro. Da anni si occupa di casi di violenza delle forze dell'ordine contro la popolazione e non ha dubbi: l’aumento delle sparizioni è strettamente legato alla diminuzione degli omicidi causati da poliziotti.

Al di fuori dei dati  statistici, l’avvocato João Tancredo, che rappresenta la famiglia di Amarildo, conosce bene i crimini commessi dai poliziotti di Rio de Janeiro. Da anni si occupa di casi di violenza delle forze dell'ordine contro la popolazione e non ha dubbi: l’aumento delle sparizioni è strettamente legato alla diminuzione degli omicidi causati da poliziotti.

 

Sono dell'idea che al giorno d'oggi, " l’atto di resistenza " si sia di fatto trasformato in sparizione. Perché? L’atto ha i nomi delle vittime e dei poliziotti militari. Se la famiglia (della vittima) si muove per ottenere giustizia, la società civile si mobilita e il poliziotto colpevole dell'omicidio va in galera. Al governo dello stato conviene mantenere una apparenza di pace. L’aumento delle sparizioni va letto in questo senso. La sparizione non ha autore."

 

Tancredo conosce bene anche le modalità d'azione delle milizie formate principalmente da poliziotti  "giustizieri" e corrotti (ndt. squadroni della morte).  Nel 2008, quando era presidente del IDDH (Istituto Difensori Diritti Umani) la sua macchina blindata fu raggiunta da quattro proiettili mentre investigava su di una denuncia degli abitanti della favela  Furquim Mendes contro un poliziotto,  conosciuto come “Predatore”, che stava commettendo crimini nella zona, un miliziano.

 

NELLA CULLA DEI MILIZIANI

 

I poliziotti di Campo Grande, zona ovest di Rio de Janeiro, sono quelli che più hanno beneficiato dei bonus per la diminuzione, nelle statistiche, delle "morti violente" l’anno scorso. La regione ha avuto il secondo miglior risultato dello Stato di Rio, secondo solo alla piccola Barra do Pitaì, nell'interno dello stato. A dicembre, il governo ha annunciato che ogni poliziotto della regione avrebbe beneficiato di 9.000 reais in più per il conseguimento dell'obbiettivo. Di fatto, da quelle parti gli omicidi sono diminuiti abbastanza.

 

Nel 2011, ne sono stati registrati 149; nel 2012, 106 casi e solo 60 omicidi risultano nei dati disponibili degli ultimi 12 mesi (sei di questi registrati come "atti di resistenza"), una diminuzione, quindi, del 60%. Ma le sparizioni non hanno fatto che aumentare. Sono passate da 212 a 249 tra il 2011 e il 2012 e ci sono già 278 casi negli ultimi mesi. Si tratta del commissariato che registra più casi in tutto lo stato.

 

Campo Grande è conosciuto da abitanti e specialisti come "la culla delle milizie" che continuano ad agire con grande disinvoltura esigendo "il pizzo" dalla popolazione per autorizzare la circolazione di furgoni, dei camion che trasportano bombole di gas, per l'installazione di tv via cavo pirata, e, ovviamente, per fornire “servizi di sicurezza”. Questi “servizi” includono l'eliminazione dei sospettati di piccoli crimini o del disturbo dell’ordine locale. “Molte delle milizie sono formate da poliziotti in attività. I turni della Polizia Militare sono di 24 ore di lavoro e 72 libere. In queste 72 ore libere, il poliziotto militare si trasforma in miliziano, il cui obiettivo è l'eliminazione della marginalità" dice il sociologo Michel Misse, coordinatore del Nucleo di Studi sulla Cittadinanza, Conflitto e Violenza Urbana dell’Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ) e autore del libro “Quando la polizia uccide”.

Il 31 luglio 2012 Donício Alves Vianna Júnior, conosciuto come Dony e abitante della favela Bel Clima, a Campo Grande, è scomparso. Quella notte sarebbe uscito con il cugino e la cantante Anitta (che all'epoca non godeva ancora dei favori del pubblico, ma solo delle attenzioni del Don Giovanni di Bel Clima, con il quale aveva un relazione). Tutto quel che si sa sulla sparizione di quel ragazzo di 22 anni, grossista di un’impresa che offriva servizi alla Michelin, è che quella notte venne prelevato intorno alle 21.30 da un gruppo di quattro uomini.

 

DONY È SCOMPARSO NEL 2012 A CAMPO GRANDE

 

Sono stato a visitare la famiglia di Dony a Bel Clima, una delle grandi isole di povertà che si trovano in questo quartiere di classe media, come succede ovunque a Rio de Janeiro. Nel mezzo di un caldo pomeriggio di gennaio, la piazza era illuminata dal sole incandescente dell’estate e i bambini giocavano tranquilli nel parco giochi. Come ricordano i suoi familiari, la piazza dove Dony è scomparso è molto frequentata, anche di sera. Ma da questo, i sequestratori non si sono fatti intimidire. “Dicono che qui le "milizie" non ci sono, ma non è così. È ancor peggio che in altri luoghi perché qui da noi non danno troppo nell’occhio”, dice Robinson da Silva Heringer, cugino e miglior amico di Dony. Prima della sparizione, i due erano inseparabili e dividevano segreti. Robson racconta che Dony firmò la sua condanna a morte iniziando una relazione con l’amante di uno dei capi della milizia locale, un suo vicino.

 

"Quel ragazzino era in gamba. Ed era un rompiscatole. Andavamo al Camaleão (un locale), dalle parti dello shopping RioCentro e lui se la tirava molto. Non faceva altro che parlare di donne", racconta il cugino mentre parliamo nel posto dove il ragazzo è scomparso. "Dove arrivava lui arrivava un sacco di gente, vero? La maggior parte delle sue amicizie erano con donne”, concorda la madre di Dony, Vera Lucia Viann, con una punta d’orgoglio. Dony ha conosciuto l’Eva del suo Paradiso alcune settimane prima di sparire, nel salone dove andava a tagliarsi i capelli, lì vicino. Raccontò al cugino che quella bionda ci stava. Chiedo a Robson se il cugino sapesse che quella ragazza era impegnata con uno delle milizie. “Credo di no. - mi dice - Se l’avesse saputo, non sarebbe stato tanto stupido. Di donne ce ne sono un sacco, da quelle parti.”

 

Nell’imboscata, i miliziani diedero a Dony pugni e schiaffi e lo minacciarono con un fucile. Almeno uno di loro indossava una camicia grigia su cui si leggeva “Polizia Civile”. Salirono sulla sua macchina l’obbligarono a guidare verso il nulla. La famiglia lo cercò ininterrottamente per due giorni, senza dormire: andarono all’Istituto Medico Legale, cercarono in varie favelas, ed in tutti quei posti della zona est che sono culla dei miliziani. “Abbiamo cercato mio figlio ovunque. Sono entrata in tutte le favelas, a mezzanotte stavo in quella di Cosmos", racconta Vera Lúcia con la voce stanca e lo sguardo perso sul tatuaggio che si è fatta per il figlio sul braccio.

 

Cosmos è una località che fa rima con milizia. Là i componenti di queste bande vanno con un’arma in una mano e donne, alcolici o "pochi di buono" sotto l’altro braccio. "Tutta Campo Grande è di quelli di Cosmos." spiega Robson, “Cosmos è il loro quartier generale”, dice il padre di Dony. La Fiat Siena che Dony guidava è comparsa ancora una volta dopo la sua sparizione. Un altro cugino del ragazzo seguì in moto l’auto che correva ad alta velocità per le strade di Campo Grande. Andò fuori strada in una curva, cadde, si fece male a un braccio e da allora mai più nessuno ha visto quell'auto.

 

Secondo l’inchiesta aperta per investigare il caso, non c’erano poliziotti civili coinvolti, ma quattro poliziotti militari dei battaglioni 27° (Santa Cruz) e 40° (Campo Grande) che sono stati arrestati. Mentre discutiamo sul marciapiede, Robson indica una Renault Sandero con vetri oscurati che secondo lui è la stessa che avvicinò Dony il girono del crimine. Uno dei sospetti starebbe lì dentro, dice. "Hanno disseminato videocamere ovunque, avranno già visto che stiamo discutendo", dice Robson. L’auto passa lentamente, sembra andare a non più di 5 km/h. Non è possibile vedere chi sta dentro la macchina per via dei filtri sui vetri della macchina, più scuri di quanto permesso dalla legge.

PER IL COMMISSARIO SI TRATTA DI UN CASO ISOLATO

 

Il commissario del 35° Distretto di Polizia (Campo Grande), Marcus Drucker Brandão, incaricato dell’indagine, mi riceve nello studio quasi privo di mobili, occupato da un tavolo coperto da una pila di carte. Prendo una sedia per ascoltarlo. Inizia con il criminalizzare la vittima, che secondo lui, "stava facendo tirocinio per il crimine".

 

“Una testimone racconta che era lui alla guida di un’auto dove un amico avrebbe tentato di uccidere un miliziano”, dice. Poi ha detto che il caso di Dony è un “fatto isolato” nel quartiere, nel quale, secondo lui, non ci sono neppure più le milizie formate principalmente da poliziotti. “Oggi questi gruppi sono come quelli che negli USA chiamano gang. La grande maggioranza dei poliziotti ed ex poliziotti che comandavano le milizie sono stati arrestati. In questo vuoto di potere del crimine, sono stati sostituiti da civili. Il problema è che, per continuare ad essere definite milizie, passano alle favelas un'immagine ufficiale o ufficiosa", sostiene.

Secondo la Segreteria di Sicurezza Pubblica dello Stato, che ha incaricato il Draco-IE (Commissariato di Repressione delle Azioni Criminali e Organizzate e Indagini Speciali) di combattere le milizie, tra il 2007 e il 2013, 857 miliziani sono stati arrestati contro i solo cinque del 2006. Brandão dice ancora che la maggior parte delle sparizioni sono di persone che perdono la strada di casa per propria volontà. “Ci sono molte famiglie destrutturate nella zona.”

 

Non è questa la realtà che indicano le ricerche accademiche. Secondo uno studio recente dell’antropologa Alba Zaluar, dell’Istituto di Studi Sociali e Politici (Iesp) dell’ Università Statale di Rio, in collaborazione con Christovam Barcellos, della Fiocruz, la milizia domina 454 delle 1001 favelas localizzate nel municipio di Rio de Janeiro- equivalenti al 45%. "A Campo Grande ci sono le milizie. E c’era anche il maggior tasso di omicidi della cità. Sono le milizie che stanno uccidendo. Cosa vuoi investigare? Da dove iniziare? Il miliziano seppellisce i corpi in mezzo a un bosco e tutto finisce lì. Le famiglie hanno paura. Il massimo che fanno è registrare la sparizione, quando lo fanno. Molte sparizioni non sono registrate. Penso che la maggior parte delle sparizioni siano in realtà omicidi, omicidi non notificati", sostiene Misse.

 

È daccordo con lui Ignacio Cano, autore del libro “No Sapatinho”, sull’evoluzione dei gruppi paramilitari di Rio de Janeiro. “Nonostante il numero delle denunce sia diminuito a partire dal 2009, la repressione non è riuscita a disarticolarle (le milizie). Sappiamo che continuano ad agire normalmente”, afferma. Nel suo studio, Cano propone un modello statistico incrociando dati di denuncia contro miliziani e registri delle sparizioni e degli omicidi fino al 2011. Per lui è evidente la diretta connessione tra le sparizioni a Campo Grande e i gruppi paramilitari della zona. “Stanno uccidendo meno ma sono diventate più discrete nei loro omicidi, ricorrendo alle sparizioni come alternativa. I registri ufficiali delle sparizioni, nonostante i loro limiti, sembrano confermare una tendenza all’aumento dei casi in luoghi e momenti in cui la milizia è più presente."

 

Ci sono abitanti di Campo Grande che approvano e altri che temono l’azione dei miliziani. Uno di loro, ex-compagno di scuola di alcuni miliziani che agiscono con gli pseudonimi dei personaggi del video-gioco Street Fighter, descrive con rigore e con una certa fascinazione uno dei metodi usati dai criminali per far sparire la gente. "Fanno un taglio dal collo all’ombelico e estraggono le viscere. Quindi lo gettano nel fiume Guandu. Senza le viscere il corpo non galleggia, affonda."

 

Il fiume, che passa da Campo Grande e sfocia nel bacino del Sepetiba, dove è localizzata la stazione di trattamento delle acque (ETA) Guandu. La Compagnia Statale di Acque e Scarichi (CEDAE) è orgogliosa della costruzione: è la più grande al mondo, riconosciuta dal Guinness dei Primati. Un funzionario dell’impresa ci dice che non passa giorno che non estraggano un cadavere dai filtri dell’ETA Guandu. Dal 1955 esce da lì l’acqua che rifornisce tutta Rio e buona parte della Baixada Fluminense (l'immensa periferia di Rio). Il liquido sgocciola dai rubinetti insapore, incolore, con odore di morte.

 

NELLE MIRE DEL TRAFFICO

 

Un altro caso di sparizione che indaghiamo in questo reportage è quello di Felipe Rodrigo Pinheiro Venâncio, il 22 novembre 2008, a Duque de Cixias. Felipe abitava a Cruzada So Sebastião, un’isola di povertà nel quartiere Leblon, il quartiere dai metri quadri più cari del Brasile. Costruito nel 1995 per ospitare gli abitanti sfollati dalla favela Praia do Pinto, il complesso abitativo è costituito da dieci palazzi e 945 appartamenti costruiti con standard ben inferiori a quelli degli edifici vicini. Ma quel ragazzo di vent’anni amava stare nel suo appartamento, nel Bloco 5. Ne usciva solo per fare un salto al bar di fianco o per far visita ai familiari di Jacarepagua, nella zona ovest della città. Il giorno fatidico, contro il volere della madre Gracilea de Alcântara Pinheiro, assecondò la richiesta della fidanzata di trascorrere il sabato notte con lei a Nova Campina, nella Baixada Fluminense. Era il compleanno della suocera. Secondo i racconti, fu l’ultima festa a cui partecipò.

Il giorno dopo, il telefono di casa della madre squillò intorno alle 16. Sua sorella, Patrizia, rispose. “Mio fratello no!” ha urlato prima di svenire. All’altro capo del telefono, la fidanzata del giovane diceva che il ragazzo era stato rapito da tre uomini mentre giocava a calcio in un campo di fianco al "Brizolão", una scuola di Nova Campina costruita durante il mandato del defunto governatore. E staccò.

 

Senza il telefono e l’indirizzo della fidanzata, la famiglia di Rodrigo ha faticato a iniziare le ricerche. Al commissariato, accettarono di registrare il fatto solo il giorno 25, tre giorni dopo la sparizione.

 

"Ovunque mancava solo di sentirmi dire che ero una bugiarda. L’ispettore che ci ha ricevuti ha detto: 'Questa storia è molto mal raccontata'. Io non potevo inventare un’altra storia perché era quella che Juliana aveva raccontato al telefono. Lei non parlò con noi direttamente", racconta la madre.

Davanti alla famiglia la polizia attaccava la vittima, un giovane nero abitante di una favela notoriamente sede di spaccio, consumatore occasionale di marjuana. Tutto vale per evitare un’indagine approfondita, come avrebbe scoperto poi la famiglia di Amarildo. “Loro pensano che il figlio di un povero è sempre un trafficante, non può studiare, laurearsi. E così se succede qualcosa è perché è un poco di buono", afferma la madre dello scomparso. “Nessuno poteva dire che fosse un trafficante. Non aveva segnalazioni alla polizia né niente. E se anche fosse, era pur sempre un cittadino”.

 

Nella deposizione all’ispettore, Juliana e suo padre dissero che non sapevano chi poteva aver preso Felipe. Una settimana dopo la sparizione, però, il padre di Juliana arrivò alla Cruzada con tutti i vestiti che Rodrigo aveva portato a Nova Campina: una maglietta azzurra, un pantalone beige, un bermuda, un paio di scarpe da tennis, calze e mutande. Ha restituito anche i documenti del ragazzo. "Ho detto questo alla polizia ma non l’hanno inserito nella denuncia. Non sono riuscita a capire come potesse portare tutti i vestiti del ragazzo e i suoi documenti. Gli dissi almeno di telefonare in commissariato, e raccontare quel che era successo. Lui mi rispose: 'Mi dispiace molto. So chi ha ucciso tuo figlio ma non posso parlare perché stanno di fronte casa mia 24 ore su 24. Se diciamo chi è stato, ci uccideranno tutti. E Juliana l'ho dovuta far andare via, perché vogliono uccidere anche lei."

 

Storie giunte all’orecchio della famiglia raccontano che Juliana avrebbe avuto una relazione precedente con un trafficante di Nova Campina, componente di una fazione rivale ai “padroni” del traffico di droga della Cruzada. L’ex fidanzata starebbe quindi tra le braccia di un nemico. Le indagini della polizia non hanno confermato questa versione né nessun altra. L’ispettore che mi ha ricevuto nel 62° Distretto (Imbaraiê) ha detto soltanto che il caso è stato riferito al Pubblico Ministero l’anno scorso. È fermo da allora dato che non ci sono prove per accusare nessuno della responsabilità del crimine.

 

Sono stato nella casa dove abitano Juliana e la sua famiglia a Nova Campina, il luogo dove Felipe avrebbe passato gli ultimi momenti. È una regione povera, le vie non hanno nome e la loro abitazione è stata costruita con tante tavole di legno di diversa provenienza. Ho mandato un messaggio a una vicina per chiedergli di parlare con loro. Mi ha detto che si sono disperati e le hanno chiesto di dirmi che non era riuscita a trovarli. Non vogliono ritornare su quei fatti. Duque de Caxias è la maggior città della Baixada e risponde di 298 sparizioni, un quarto del totale dei casi registrati tra novembre 2012 e ottobre 2013. È anche il primo municipio fuori da Rio a ricevere un’ Unità di Polizia Pacificatrice, nella favela Mangueirinha, inaugurata a Febbraio.

 

Ho avuto accesso a molti dei casi di sparizione avvenuti tre, quattro, otto, fino a dieci anni fa che non sono stati adeguatamente investigati. Sono finiti come quello di Felipe, senza scoprire i responsabili. Al massimo ci sono degli indizi. Nessuno viene punito. Il vecchio detto “Niente corpo, niente crimine” prevale. Un'ordinanza della polizia civile di Rio de Janeiro del febbraio 2013 cominciò a pretendere che i commissariati inviassero i casi di sparizione non risolti nell’arco di 15 giorni alla stessa Sezione della Divisione Omicidi che ha investigato sulla sparizione di Amarildo. Ma questa procedura non viene sempre rispettata; a volte è la sezione stessa che non è in grado di dar seguito alle segnalazioni. Grazie alla pressione della Corte Interamericana dei Diritti Umani, il Senato ha approvato un progetto di legge sui casi di sparizioni per trasformare quelle forzate in crimine. La votazione si è svolta poco dopo la sparizione di Amarildo. Se approvata anche dalla Camera dei Deputati la pratica sarà inclusa tra i crimini cosiddetti odiosi. La pena detentiva può variare da sei a quarant’anni. Nel frattempo, prevale l’abbandono dei casi.

 

Amarildo stava costruendo una copertura nella baracca dove abitava per fare una stanza per le figlie. Aveva promesso a Milena, di sei anni, che non sarebbe morto prima di aver terminato l’opera. Il giorno in cui Dony è scomparso era il suo ultimo giorno come grossista. il giorno seguente avrebbe iniziato un nuovo lavoro, molto meglio retribuito. Felipe voleva solo uscire a fare un giro sulla moto nuova con la fidanzata. Sono morti inconcluse. Ci sono giorni che i familiari sognano il ritorno degli scomparsi in vita, portando i mattoni per la copertura della baracca, di ritorno dall'ingrosso o su una moto. Altri vorrebbero solo poterli seppellire con dignità, "sette palmi" di pace, la fine dell’angoscia.

 

“Paura? Non ne ho neanche un pò” dice la madre di Dony, che ha cambiato casa da Campo Grande al quartiere vicino, Bangu, per evitare il posto dove il figlio è stato visto l’ultima volta. “Ho voglia di parlare faccia a faccia con chi ha fatto questo. Ha preso la cosa più importante della mia vita. Se mi ammazza, mi fa persino un favore. Vorrei solo dirgli: tu non hai figli, canaglia? Hai tolto la vita a mio figlio così giovane. Tu non sai cosa sia amare”

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