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13.05.15

INFERNO BRASILE

13 anni dopo, il muro che raccontavo in un mio reportage di "C'era una volta", è sempre più alto e crudele.

di Silvestro Montanaro pubblicato sulla sua pagina Facebook | 13 maggio 2015

Il cartellone, chilometrico, ribadisce nelle più grandi arterie di Salvador de Bahia la fedeltà e l'amore della polizia militare al popolo brasiliano. Una grande bugia, una delle tante.

 

Un procuratore della repubblica, finalmente, con coraggio, ha messo a nudo il cuore nero di questa istituzione voluta dalla dittatura che per tanti anni ha avvelenato questo grande paese.

L'inchiesta è quella che riguarda la morte di 12 ragazzi di uno dei tanti quartieri poveri della capitale bahiana.

 

Per i vertici della polizia militare sono morti perché armati di tutto punto avevano attaccato una loro pattuglia. L'inchiesta del magistrato, confortata da infinite prove e testimonianze, invece stabilisce che si è trattato di un'esecuzione a freddo. Un massacro. Uno dei tanti.

 

Altri cartelloni, sparsi un pò ovunque, raccontano di un paese regno del sole e dell'allegria. 

 

Passi per il sole, ma di stare allegri ci sono ben poche ragioni. 

"Il muro - Salvador de Bahia" di Silvestro Montanaro, da "C'era una volta" Rai 3 - 21.11.2002

Salvador de Bahia, Brasile, è la capitale del meticciato, dell'incontro più avanzato tra culture e razze diverse, proclamata città del sorriso e del divertimento. Ma è solo apparenza: la patina festaiola serve a nascondere una realtà spietata. Un muro divide per sempre il 20 percento dei ricchi, di coloro che partecipano dello sviluppo, dall'80 percento della popolazione, costretto a condizioni di vita disumane. E per chi si ribella c'è la fine per mano degli squadroni della morte. Questo lavoro di Silvestro Montanaro rappresenta la denuncia serrata degli effetti perversi di un certo modello neoliberista.

Le statistiche, fredde ed incolori, come al solito spiegano che negli ultimi anni una quota importante della popolazione è fuoriuscita dalla miseria. Sarà, ma i numeri della quotidianità raccontano altro.  Ed è solo la quotidianità a poter raccontare la verità di un paese.

 

La scuola pubblica è un disastro senza fine. Strutture fatiscenti, professori malpagati, risultati zero. Se vuoi che tuo figlio apprenda e studi devi andare in una scuola privata. Costo medio mensile 200 euro. Costo dei libri, 600 euro. Un muro per chi ha la fortuna, perché per molti è una fortuna, di ricevere a fine mese il salario base, 230 euro.


Sanità pubblica da inferno in terra. Inefficiente, superaffollata, impossibilitata ad offrire anche un minimo servizio. Fondi in diminuzione ed a Rio si rischia, ad esempio, la chiusura di tanti nosocomi perché non si riesce ad assicurare neanche il ritiro dei rifiuti ospedalieri.

Il potere finanziario che domina il paese ha nelle sue mani la sanità privata. Accedervi, per una famiglia media ha un costo di almeno 300 euro mensili. Un altro gigantesco e crudele muro. E ce ne sono mille altri...


Ogni voce che si levi contro questo crimine verso l'umanità è repressa con infinita brutalità. Ogni sciopero di insegnanti e medici del settore pubblico è occasione di bastonature di massa ed assurdi arresti.

 

Contro i più poveri, poi, la maggioranza del paese, è guerra. Nelle favelas polizia ed esercito ergono trincee come in guerra.
Raccontano di volerle bonificare da violenti e trafficanti di droga, ma intanto sparano ed uccidono. Massacrano. Ed in nome di altrettante bugie.
 

La povertà, la miseria, con tutti i problemi che portano avrebbero bisogno di una seria revisione dell'intero sistema politico, sociale ed economico al potere in Brasile. Non di pallottole.


In quanto al traffico di droga, ma chi ci crede che il problema sia nelle favelas, tra i poveri e la popolazione nera? È un affare miliardario e chi ne tira i fili risiede nelle stanze del potere ad ogni livello e nei condomini di lusso, circondati da filo spinato e protetti da vere milizie armate, in cui una minoranza dispotica, corrotta e fascista protegge il suo potere di vita e di morte su di un popolo intero.

 

13 anni dopo, il muro che raccontavo in questo mio reportage, è sempre più alto e crudele.

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