28 maggio 2014
I Mondiali sono uno spazio della politica
"A Brasilia, dentro al Palazzo del governo, nel momento delle proteste, la presidente Dilma, conversava con gli imprenditori. Le sue dichiarazioni, dopo gli scontri, sono state sempliciotte. «Non è possibile utilizzare la Coppa del Mondo per fare politica", si è lamentata. Sì, perché la Coppa del Mondo è una questione politica. E il governo sta facendo politica con la Coppa proprio come i lavoratori, i senzatetto, gli indios. Tutti stanno facendo politica. Quindi è necessario che l'opinione pubblica lo sappia, ne abbia coscienza e prenda posizione. Non si può stendere un velo protettivo sopra la Coppa come se si trattasse di una festa popolare bella e allegra che alcuni "malfattori" vogliono rovinare. Non lo è. Vi si gioca anche il gioco della politica, delle alleanze, degli accordi, dei tornaconti e degli impegni futuri."
di Elaine Tavares, Brasil de Fato (28.05.14)
traduzione in italiano: Carlinho Utopia
Improvvisamente, come se si trattasse di una novità sorprendente, i giornalisti brasiliani aprono le prime pagine dei giornali informando il pubblico che gli "indios tirano frecce in segno di protesta nella capitale federale." Come sempre succede, da 500 anni, i popoli indigeni, finché se ne stanno al loro posto, ossia, bene in silenzio, nelle riserve loro assegnate, al massimo lamentandosi piagnucolosamente, sono oggetto di commiserazione. E, semmai, il 19 aprile (ndt. la giornata nazionale loro dedicata), si può parlare di loro, ma al passato, come se costituissero una tappa già superata sulla strada dell'integrazione nazionale. Ma basta che scendano in lotta per la demarcazione delle loro terre, o contro i ripetuti attacchi portati dalle multinazionali dell'agro-alimentare nel tentativo di impossessarsi delle loro terre più ricche, perché subito le forze di supporto dello "stato delle cose" incomincino le loro crociate contro quelli che considerano "arretrati". Gli indios sono arretrati, sempre.
Le voci che si esprimono nei giornali e nelle TV mettono in discussione la necessità di destinare così tanta terra per così pochi indios. Ce ne sono circa 896.000 nel Brasile di oggi. Considerando che la nazione ha 180 milioni di anime, questi 896.000 sono come una ferita, di quelle che non si rimarginano, che "infastidiscono" la vertiginosa avanzata del progresso. C'è una chiara volontà da parte dei latifondisti e delle industrie minerarie di appropriarsi di grandi appezzamenti di terra indigena, ancora protetti, e che custodiscono ricchezze infinite, per non parlare delle fonti d'acqua o dei giacimenti di minerali.
Da qui la necessità di inoculare nell'opinione pubblica l'idea che loro rappresentano l'arretratezza. Sarebbe meglio che si "integrassero" nella società brasiliana, smettendola una volta per tutte con questa idea "fastidiosa" di voler ridefinire le aree dei loro territori per poter, poi, vivere "isolati". E come se non bastasse tutta questa campagna contro il diritto degli indigeni ad avere la loro terra, li condannano anche per voler continuare a restare nella "preistoria", perché è in questi termini che definiscono il diritto di avere una propria cultura.
Non è un caso che l'opinione pubblica venga bombardata dalle argomentazioni sul "quanto sia insensato" questo bisogno degli indios di volere più terre per vivere. Dopo tutto, non hanno già le loro riserve? Che altro vogliono? I media non segnalano però che dal 2012 la Commissione di Costituzione e Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato l'emendamento costituzionale 215 - ancora in corso al Congresso - un terribile passo indietro legale voluto dalle forze vicine agli interessi dei latifondisti e dagli evangelici. Con questo emendamento si rimette nelle mani dei deputati la decisione nel merito della proprietà delle terre non solo indigene, ma anche dei quilombolas (ndt. le comunità ancora diffuse in Brasile che furono formate dagli schiavi fuggitivi).
Queste lobbies parlamentari sono emanazione del capitale internazionale incarnato in aziende come la Monsanto, Bayer, Syngenta, Cargill e altri, tutti legati al settore agroalimentare che sta aprendo nuove frontiere negli stati agricoli come il Mato Grosso do Sul e l'Amazzonia, aree dove ancora vivono molti indios. Da qui la necessità di avere il controllo sulle demarcazioni. Ed è contro questo che i popoli indigeni stanno lottando.
È la vecchia battaglia per le demarcazioni che ancora devono essere fatte che ha portato gli indios a Brasilia questo 27 maggio. Perché i governi di Lula e Dilma Rousseff sono stati quelli che hanno portato a termine meno omologazioni di terre fin dall'epoca del primo governo civile negli anni '80. Dilma ha realizzato solo 7 omologazioni, malgrado esistano oggi 339 terre indigene già individuate ma senza che sia stato preso alcun provvedimento. Per non parlare delle altre 293 aree in fase di studio.
È chiara, dunque, la completa omissione del governo federale davanti alla tragedia vissuta dalle famiglie indigene. Oltretutto nel 2012, secondo la relazione del Consiglio Missionario Indigeno (CIMI), sono aumentati i casi di conflitto e di morte che coinvolgono gli indios, frutto delle invasioni dei fazendeiros (ndt. proprietari terrieri/latifondisti) per lo sfruttamento illegale delle risorse naturali.
È con queste premesse che le comunità originarie si inseriscono all'interno dell'universo delle priorità del governo in questi tempi di Coppa del Mondo. Loro sanno bene che il governo federale ha definito in fretta e furia una legge che dà superpoteri alla FIFA e ai suoi partner commerciali. Ora, se hanno tutta questa fretta per servire gli interessi delle multinazionali perché non dovrebbe averne per demarcare quelle terre che loro attendono da decenni?
Ed è stata questa la lotta che gli indios hanno portato in questo maggio a Brasilia. Essendoci poi una manifestazione indetta da senzatetto, sindacalisti e altri lavoratori legati al Comitê Popular da Copa (ndt. movimento articolato su tutto il territorio nazionale che si batte contro gli abusi e le violazioni di diritti causati dalla Coppa del Mondo FIFA in Brasile), gli indios si sono uniti al coro di proteste.
Era chiaro che i media commerciali avidi di sensazionalismi avrebbero dato risalto ad una freccia che è andata a finire sulla gamba di un poliziotto. Che importa sapere che i poliziotti erano pesantemente armati, che hanno lanciato gas lacrimogeni e sparato proiettili di gomma e che sono intervenuti con la cavalleria per impedire che i manifestanti raggiungessero lo Stadio Mané Garrincha recentemente ristrutturato per la Coppa del Mondo.
Il corteo voleva arrivare proprio là, dove è stato eretto il grande Tendone della Coppa del Mondo, per approfittare del pubblico in visita all'esposizione del trofeo mondiale, per poter dialogare con la gente sui loro reali bisogni. Gli indios avevano programmato di inscenare un rituale con la coppa ma, così come agli altri manifestanti è stato loro impedito di raggiungere il sito.
Le foto sui giornali mostrano gli indigeni in atteggiamenti "minacciosi", con le loro frecce di legno contro poliziotti pesantemente armati e a cavallo. E nell'immaginario di chi guarda, i "pericolosi", sono ovviamente gli indios. È anche ovvio che "quella gente là", inclusi i senza tetto, i senza lavoro ed i lavoratori in lotta, sono persone senza un minimo di "patriottismo", dal momento che si ribellano contro un evento che porterà così tanti benefici al paese.
La presidente Dilma, nel Palazzo del governo, nel momento della protesta conversava con gli imprenditori. Le sue dichiarazioni, dopo il conflitto, sono state sempliciotte. "Non è possibile utilizzare la Coppa del Mondo per fare politica", si è lamentata, così come si sono lamentati anche i sostenitori del PT (ndt. il PT, ovvero il Partido dos Trabalhadores, il Partito dei Lavoratori è il partito di Dilma e dell'ex presidente Lula che è attualmente al governo in Brasile) ed altri sostenitori del governo.
Ma non è forse una nozione di base della lotta politica, approfittare di momenti come questi appunto per fare politica? È il momento perfetto per la grande politica, quella che ragiona in termini complessivi sui problemi strutturali del paese, come appunto le concentrazioni di terre, sia nelle campagne che nelle città. Se non ora, quando i movimenti possono ottenere visibilità?
Non sono stati i lavoratori che hanno deciso questo mega-evento. Ma visto che ormai c'è, con tutte le sue magagne presenti e future questo è il momento perfetto in cui le domande della gente affiorino e si esprimano. Un governo con sufficiente sensibilità dovrebbe saperlo e agire di conseguenza. Se ha avuto la forza di portare la Coppa del Mondo in Brasile deve essere in grado di dialogare con i movimenti e discutere sui perché dell'immobilità di certi argomenti mentre altri, invece, vanno avanti spediti come treni. Le persone vogliono sapere perché le aziende straniere avranno priorità ed esclusività nei profitti in questo grande banchetto dei Mondiali. E il governo dovrebbe avere la dignità di rispondere.
Il fatto è che adesso è tempo di festa, dei turisti, della borghesia nazionale, dei tifosi di calcio che non si preoccupano della politica che sta dietro all'evento. Sì, perché la Coppa del Mondo è una questione politica. E il governo sta facendo politica con la Coppa proprio come i lavoratori, i senzatetto, gli indios. Tutti stanno facendo politica. Quindi è necessario che l'opinione pubblica lo sappia, ne abbia coscienza e prenda posizione. Non si può stendere un velo protettivo sopra la Coppa come se si trattasse di una festa popolare bella e allegra che alcuni "malfattori" vogliono rovinare. Non lo è. Vi si gioca anche il gioco della politica, delle alleanze, degli accordi, dei benefici e degli impegni futuri.
E' per questo che anche la gente per le strade fa politica. La grande politica. Quella che svela le ferite aperte di un paese dipendente che si sviluppa all'interno del sottosviluppo generato dal sistema capitalista, che esige sempre che uno sia povero in modo che l'altro possa accumulare ricchezza. E ' evidente che se le destre approfittano di questa incapacità del governo di dialogare con le masse, non può certo essere un problema imputabile ai lavoratori e agli attivisti sociali.
Il fatto è che lì al di là dei sensazionalismi, della freccia nella gamba del poliziotto, c'è un numero significativo di brasiliani che sanno qual è il gioco politico che si nasconde nella Coppa del Mondo e, giustamente, fanno il loro.