08.08.14
La libertà di manifestazione sul banco degli imputati
Un'analisi perfetta sulla "bassa intensità" della democrazia in Brasile
di Thiago Melo, avvocato e coordinatore del DDH (Istituto dei Difensori dei Diritti Umani)
pubblicato sul sito Revista Virus Planetario il 6 agosto 2014
traduzione di Carlinho Utopia
Chiamano violento il fiume impetuoso.
Ma le sponde che lo comprimono,
nessuno le chiama violente.”
Bertolt Brecht.
Nel momento in cui le piazze rivendicano democrazia reale, ricordano i 50 anni dal golpe civile-militare e mettono in discussione le promesse non mantenute dopo i 25 anni dalla nuova Costituzione, ecco che in Brasile si va evidenziando sempre più una democrazia a bassa intensità.
L'eredità immediata della Coppa del Mondo (la "Coppa delle Coppe" come la ribattezzò la presidente Dilma Rousseff) è la criminalizzazione delle cosiddette "giornate di giugno", con manifestanti processati come criminali, arrestati e/o fuggiti a fronte delle assurde accuse di formazione di banda armata, è la violazione del principio fondamentale della libertà di riunione e di espressione.
Già nei preparativi per la Coppa del Mondo sono emersi chiari segnali di autoritarismo.
Nel 2012, da una linea di credito del Banco do Brasil direzionata all'organizzazione dei mega-eventi sportivi, sono stati costruiti quattro carceri.
Nel 2013, il governo dello stato di Rio de Janeiro ha acquisito otto "caveirões" (mezzi blindati speciali) per rafforzare il sistema di sicurezza della Coppa del Mondo FIFA e delle Olimpiadi. Durante lo svolgimento della Confederations Cup, l'azione congiunta della polizia con le Forze Armate, ha impiegato 3700 militari, 500 automezzi, otto elicotteri, due squadroni di cavalleria anti sommossa e una sezione di Cães de Guerra ("Cani da Guerra").
Nel giorno della finale della Coppa del Mondo, sono stati impiegati 26000 soldati e poliziotti per la sicurezza dell'evento. I manifestanti sono stati assediati dalle forze di sicurezza in Praça Saens Peña e molti mediattivisti sono stati aggrediti.
I manifestanti sono etichettati come violenti, ma quello che ha contraddistinto le proteste dal giugno 2013 in poi sono stati gli abusi della polizia: arresti a scopo di interrogatorio, procedura tipica delle dittature; arresti per oltraggio a pubblico ufficiale, quando viene messo in discussione l'abuso di potere dei funzionari di pubblica sicurezza; false prove fabbricate ad arte; violazione della privacy e spionaggio attraverso intercettazioni telefoniche, anche di avvocati, e monitoraggio di reti sociali; indagini di polizia secretate in spregio al diritto alla difesa legale; uso inadeguato di armi "meno letali" e addirittura l'uso di armi letali.
Sono state 24 le morti avvenute nel contesto delle manifestazioni fin dalle prime proteste. Le cause sono molteplici: esecuzione, investimento, caduta da viadotto, inalazione di gas, arresto cardiaco, ecc. Armamenti antisommossa sono stati gestiti con l'obiettivo di ferire e generare terrore.
Nelle favelas, la polizia ha continuato ad agire secondo gli abituali standard di letalità, facendo di Amarildo l'ennesimo desaparecido della democrazia, anche se, in questo caso, non si è trattato di repressione di un'attività politica. Nella sola favela Complexo da Maré sono stati 10 i morti dopo la repressione della polizia alle mobilitazioni avvenute nel quartiere Bonsucesso, il 24 giugno 2013. La polizia sostenne che "narcotrafficanti si erano infiltrati nella manifestazione per compiere delle rapine".
La tragica morte del cameraman Santiago Andrade è stata l'unica che ha ricevuto l'attenzione dei media mainstream.
A partire da questo episodio, si è fatto in modo di etichettare le manifestazioni come atti di vandalismo, nel tentativo di svuotarle, di cancellarne le rivendicazioni, nascondendo la crescente repressione poliziesca che le impedisce e giustificando la criminalizzazione dei movimenti sociali. Opportunisticamente, il processo degli accusati Fábio Raposo e Caio Silva è dominato dal sensazionalismo mediatico.
Spesso si sono manipolati i fatti per associare questa sfortunata perdita alle violenze subite dai giornalisti che seguono le manifestazioni, quando si sa bene che il razzo che ha colpito Santiago non mirava ad alcun professionista dei media, ammesso che si possa attribuire qualsiasi tipo di obiettivo ad un razzo gettato a terra. È stato un triste incidente, frutto di un'azione irresponsabile, ma senza alcuna relazione con la preoccupante denuncia dell'Associazione brasiliana di giornalismo investigativo (Abraji), già ampiamente smentita, secondo la quale 133 giornalisti sarebbero stati aggrediti nelle manifestazioni, verificato che il 70% di loro sono stati vittime di violenza della polizia, in violazione della libertà di stampa.
La verità è che non sono le pietre o i razzi che minacciano la democrazia.
Le istituzioni bancarie non si presentano in pubblico lamentandosi per le vetrine rotte delle loro agenzie, preferiscono vivere all'ombra dei governi,
mentre contabilizzano profitti da record. I palazzi del potere continuano a rimanere impermeabili alle richieste popolari.
I Comuni sono stati occupati dagli attivisti come di solito non lo sono dai consiglieri comunali, e questo ha costituito almeno una scusa più convincente rispetto alla mancanza di quorum che porta al non svolgimento delle sedute.
I media mainstream mistificano addirittura la quantità di persone presenti alle manifestazioni, trasformano il conflitto sociale in materia penale in modo da spoliticizzare la lotta per i diritti. Mentre la proposta di riforma politica dell' OAB (Ordine degli Avvocati Brasiliani) giace dimenticata al Congresso Nazionale, le elezioni sono mercificate e colonizzate dal potere economico.
L'indagine del DRCI (Dipartimento di Repressione dei Crimini Informatici) che ha incriminato 23 manifestanti a Rio de Janeiro, accusati del reato di associazione a delinquere, è uno dei sintomi che qualcosa sta andando molto male, nello stato brasiliano.
Senza prove e individualizzazione dei comportamenti, per gli imputati è stata ordinata la custodia cautelare, successivamente revocata dal giudice Siro Darlan. Nel corso dell'inchiesta, sono stati elencati 73 movimenti sociali come parte di una presunta banda armata. In assenza dell'individuazione di soggetti che possono aver commesso illeciti nelle manifestazioni, si è deciso di criminalizzare genericamente vari collettivi, organizzazioni della società civile e individui.
Il ministro della Giustizia Jose Eduardo Cardozo, in collaborazione con i segretari della Pubblica Sicurezza
ed i governatori degli stati di San Paolo e Rio de Janeiro, hanno liberato i gorilla della repressione, sempre pronti a fare dell'eccezione la regola, ed ora ci aspetta molto lavoro per riportarli nuovamente in gabbia.
Dal mese di ottobre 2013, esiste una cooperazione ufficiale tra la polizia federale e le polizie militare e civile dei due stati nel monitoraggio e nell'investigazione di gruppi che "promuovono atti di violenza nelle manifestazioni."
Anche l'esercito e l'Abin (l'Agenzia di Intelligence Brasiliana) partecipano ufficialmente a questo sforzo concentrato di spionaggio e contenimento delle proteste. Malgrado le leggi anti-terrorismo e di criminalizzazione del vandalismo non sono siano state votate, una polizia politica, nel senso più stretto, è stata attivata per occuparsi, nella prospettiva della "sicurezza nazionale", delle piazze ribelli.
La retorica di preservazione delle istituzioni non può servire da giustificazione per restringere e criminalizzare la libertà di manifestazione.
Un militante di un movimento sociale che getta un sasso contro una vetrina, se identificato, può essere ritenuto responsabile di danni alla proprietà, come la legge prevede, ma mai come un membro di una organizzazione criminale o terroristica, pena la frantumazione di qualcosa di ben più prezioso: la democrazia stessa.
Il modo corretto di affrontare il dibattito aperto dalle manifestazioni non è il diritto penale, ma l'arena politica. Chi può dubitare che nelle manifestazioni affollate di persone con cartelli e striscioni risiedano le maggiori chances di una vera democrazia?
Una democrazia in divenire, che vada oltre l'ordinamento giuridico, i privilegi e le ingiustizie attuali, con la capacità di dialogare e di assimilare l'utopia di una “vida sem catracas”. (ndt. Letteralmente "vita senza tornelli". Il riferimento è ai tornelli che si trovano su tutti i mezzi pubblici brasiliani, diventati simbolo delle manifestazioni del 2013, nate inizialmente per opporsi all'aumento delle tariffe dei trasporti).
Il processo dei 23 attivisti di Rio per il reato di associazione a delinquere ed i militanti accusati a San Paolo, Porto Alegre ed in tutto il paese sono una grave violazione delle regole democratiche, un tentativo di produrre "un giugno al contrario".
Le indagini del DRCI, che hanno intercettato telefonicamente le voci di decine di manifestanti, vogliono imporre il silenzio e l'obbedienza alle piazze.
La società ha bisogno di reagire a questo arbitrio perché continuino vive le piazze di chi non vuole conformarsi alla logica della "città prodotto", dei grandi eventi e delle grandi opere, tuttavia, quasi senza più alcun diritto per la sua popolazione.