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10.09.15

Cristian, 12 anni. Un altro bambino ucciso dalla polizia militare a Rio de Janeiro

Cristian stava giocando a pallone nel campetto della favela di Manguinhos. Negli ultimi dieci anni, più di 50 bambini sono stati uccisi dalla polizia a Rio de Janeiro

estratto dall'articolo di Douglas Belchior, pubblicato sul suo Blog, il 09.09.15

Nel mese di aprile 2015, in risposta all'omicidio di Eduardo de Jesus Ferreira, 10 anni, colpito da un colpo di fucile a distanza ravvicinata sulla porta di casa, nella favela Complexo do Alemão, il governatore di Rio de Janeiro, Luiz Fernando Pezão (PMDB) promise: "Agiremo con più forza, faremo una rioccupazione con più polizia". Il risultato di questa manutenzione dell'attuale politica di occupazione è emerso lo scorso martedì 8 setembre: un altro bambino è stato ucciso dalla polizia militare di Rio de Janeiro.

 

Questa volta è stato Cristian Soares da Silva, 12 anni. È nato nero, nelle favela di Manguinhos, impoverito dal sistema economico e stigmatizzato dal razzismo strutturale. Risultato: lo Stato, la polizia e una pallottola di fucile lo hanno trovato. Non fosse stato lui, sarebbe stato un'altro. Non fosse stato ora, lo sarebbe stato in seguito. Il fatto è che, così naturalizzato e "pre visto", difficilmente questo argomento sarà oggetto di commozione nazionale.

 

Cristian giocava a pallone con i suoi coetanei, appena prima. Per aiutare una signora caduta a terra, è stato colpito dal famoso proiettile vagante che accidentalmente e per coincidenza, ha incontrato il suo bersaglio di sempre. Cristian sarebbe stato vittima di uno scontro a fuoco avvenuto durante un'operazione di polizia, alla ricerca di quattro sospetti dell'omicidio di un poliziotto militare, giorni prima.

Cristian Soares da Silva, 12 anni

Potreste obiettare: "Ma non ci sono prove che è stata la polizia!". Il contesto in cui la polizia agisce dimostra che la discussione è più profonda di questo. L'occupazione territoriale violenta; l'uso sproporzionato della forza; l'azione diretta alla vendetta; l'impreparazione; pratiche specifiche messe in atto nelle periferie e nelle favelas, ben diverse da quelle in uso nelle zone residenziali della città. Uno stato che uccide e lascia morire. Responsabile in qualunque ipotesi!

 

Nel 2014, il 15,6% dei 56.000 omicidi in Brasile sono stati commessi dalla polizia. A Rio, tra il 2010 e il 2013, il 99,5% delle persone assassinate erano uomini; il 79% neri e 3 su 4 avevano tra i 15 ei 29 anni, secondo i dati di Amnesty International. La polizia rrasiliana è quella che più uccide al mondo.

 

Negli ultimi dieci anni, più di 50 bambini sono stati uccisi dalla polizia a Rio de Janeiro, il che equivale al 60% di tutti i casi del paese. In Brasile, 82 tra bambini e adolescenti sotto i 14 anni sono stati uccisi dalla polizia; di questi, il 73% erano neri.

 

Recentemente, abbiamo vissuto una giusta commozione mondiale, davanti all'immagine violenta triste del corpo senza vita del bambino siriano Aylan Kurdi. Tutti le morti sono tristi, c'è sempre una madre, un familiare che piange.


In Brasile, i bambini e gli adolescenti neri e poveri annegano in un mare di fuoco di colpi di fucile e di calibro punto 40.

Un naufragio infinito che dura da 515 anni di genocidio nero-indigeno-periferico. Poco per la sensibilità razzista delle nostre élite, della nostra stampa e dei nostri governanti.

 

Una domanda cristiana, rivolta con pochissime eccezioni: comandanti di polizia, segretari di Sicurezza Pubblica, deputati, senatori, governatori, signora presidente, come dormite? Come riuscite a convivere con la colpa di tante morti?

 

Colpa, sì. Poiché lo stato, genocida e oppressore per sua stessa natura, non funziona da solo. È diretto e retroalimentato.

Sarà la certezza del perdono o dell'impunità? Sarà la fiducia nell'apatia delle masse? O sarà la sua storica convinzione razzista?

Credete, arriverà il giorno. Il Brasile diventerà Palmares e i nostri Cristian saranno ricordati. Sempre! 

COMUNICATO DEL FORUM SOCIAL DE MANGUINHOS SULLA MORTE DEL PICCOLO CRISTIAN

 

Manguinhos, 8 settembre 2015

 

Noi del Fórum Social de Manguinhos - FSM. comunichiamo con dolore, ma principalmente con molto odio, che un altro bambino è stato assassinato dallo stato brasiliano, per mano della polizia dello Stato di Rio de Janeiro. Intorno alle 10 della mattina di oggi, a seguito di un'incursione delle forze speciali della polizia militare, CORE, BOPE, si sono sentiti i primi spari nella favela di Manguinhos.


Cristian Soares da Silva, di 12 anni, un bambino, nero, come potete immaginare, è stato ucciso dai poliziotti nel corso dell'operazione. Giocava a pallone, attività quotidiana di qualunque bambino, tanto nelle favelas come nelle zone bene della città. La differenza è che nelle zone bene i bambini bianchi non devono scappare per proteggersi dalla polizia, tanto meno dalle pallottole che vengono dai loro fucili. Christian ha cercato di mettersi in salvo, ma è stato ucciso alle 11.30, vicino al campetto in cui stava giocando a pallone.


Gli abitanti della favela di Manguinhos, conoscendo bene il modus operandi della polizia carioca, hanno tentato di proteggere il corpo e la dignità di Christian (è quello che resta ai favelados quando vengono colpiti). La difesa del corpo e pertanto della dignità di quel bambino, che non potrà mai più giocare a pallone e crescere, è stata difesa a costo di molta violenza, lacrimogeni e fucili impugnati di fronte a quelli che lì vivono e non sopportano più il massacro di questo maledetto stato genocida. (ndt. per protezione del corpo si intende l'evitare che i poliziotti, come d'abitudine, rimuovano il cadavere per eliminare prove e per alterare la scena del delitto)

 

Noi del Forum Sociale di Manguinhos siamo mobilitati insieme agli abitanti della favela perché la favela non resti in silenzio davanti all'ennesima morte. Cristian, come Matheus, Paulo Roberto, Mauricio Afonso, Johnatha, non sarà dimenticato, come tanti altri che sono caduti per mano di questo maledetto stato genocida.

 

Continueremo a lottare, in mezzo alle granate e ai fucili puntati sulle nostre facce, e le tante minacce che il nostro popolo soffre ogni giorno.

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