Anche la stampa è responsabile della crisi della democrazia e dell'elezione di Bolsonaro e Trump, dice Eliane Brum*, scrittrice e documentarista brasiliana che è tra le vincitrici del prestigioso Premio Cabot* di Marina Estarque, LatAm Journalism Review (LJR), 01.10.2021 (traduzione di Carlinho Utopia)
LatAm Journalism Review: Quest'anno tutte le vincitrici del Premio Cabot sono donne. Quali sfide ha affrontato in quanto donna giornalista che lavora in America Latina e in Brasile?
Eliane Brum: L'ambiente nelle redazioni dei giornali solitamente era - e in molti casi rimane ancora - molto sessista. Le molestie sessuali e morali sulle donne erano viste come "normali". Ho subito molestie sessuali in diversi momenti, da parte di uomini in posizioni dirigenziali, nei luoghi in cui ho lavorato, ma ogni volta ho reagito con forza e non ho subito ritorsioni per questo, come è successo ad altre colleghe in altri contesti. Ho anche subito quel genere di molestie fatto di battute sessiste, commenti misogini e "lusinghe" e "battutine". Mi sono resa conto negli ultimi anni che, in questi casi, io stessa avevo introiettato la "normalità" dell'anormale e dell'inaccettabile, convivendo con questo tipo di molestie come se non fossero assurde. In questo senso, sono molto grata alla nuovissima generazione di femministe che hanno portato avanti la lotta delle loro madri, nonne e bisnonne, tracciando una linea e stabilendo confini chiari, in movimenti come “Primeiro Assédio”, “Ni Una a Menos” e “Me too”.
Un'altra forma comune di molestia morale è, quando una donna reagisce all'inaccettabile, l’essere chiamata "pazza" o "isterica", essere bersaglio di commenti come "avrà le sue cose" o "ne prende poco". Quando non ti chiamano direttamente "puttana" o "poco di buono". Questo accade non solo all'interno delle redazioni, ma anche fuori.
Nel 2011, un sabato mattina, stavo chiacchierando con mio marito e mia figlia in salotto, quando è arrivato un messaggio sul mio cellulare. Un amico mi faceva sapere che il pastore Silas Malafaia, uno dei leader evangelici neopentecostali del Brasile, ora sostenitore di Jair Bolsonaro ma in precedenza di altri governi, mi aveva chiamato "tramp" (vagabonda, termine molto usato in brasile nell’accezione di “poco di buono”, ndt.) in un'intervista che aveva rilasciato al New York Times. A Malafaia non era piaciuto un articolo che avevo scritto sugli evangelici e ha reagito dandomi della “poco di buono” in uno dei più grandi giornali del mondo.
Per quanto riguarda il lavoro di reporter, una volta sono stata estromessa dalla realizzazione di un reportage in zona di guerra con la spiegazione che, professionalmente, ero la scelta migliore ma, essendo una donna, sarebbe stato troppo pericoloso. Così hanno deciso di mandare un uomo. Ho risposto che avrei potuto capire quella decisione solo se il reporter maschio prescelto avesse dovuto scrivere il pezzo con il suo uccello. Risposi alla discriminazione, ma questo non cambiò la scelta dei capi e così la dovetti subire, sottraendomi un'opportunità importante.
Un altro problema è la mancanza di supporto per le donne che lavorano. Ho avuto una figlia all'età di 15 anni e mi sono ritrovata capofamiglia, come succede a tante in Brasile e in tutta l'America Latina. I miei genitori mi hanno sostenuto, e molto, ma vivevano a sei ore da Porto Alegre, dove ho lavorato come giornalista per 11 anni prima di trasferirmi a San Paolo. Ho dovuto destreggiarmi tra il lavoro e la cura di mia figlia quando non era a scuola, perché non c'era nessuna forma di sostegno o supporto. Alle 8 del mattino, quando iniziavo a lavorare al giornale, avevo già preso quattro autobus e camminato altrettanto fin dalle 5 del mattino. Lasciavo mia figlia dal muro della scuola, dove aspettava l'arrivo del portinaio, sola e intrappolata tra i muri, perché l'orario del giornale non ammetteva cambiamenti.
In tante occasioni mi sono sentita disperata, perché mi ero recata a seguire un'inondazione in una regione a tre ore dalla città o una rivolta in una prigione e non sarei riuscita a tornare in tempo per prendere mia figlia a scuola. Ricordo una scena, con l'acqua fino alla vita, attaccata a un telefono pubblico perché non c'erano ancora i cellulari, cercando di trovare qualche amica solidale che andasse a prendere mia figlia a scuola, perché avrei potuto tornare in città solo a notte fonda e scrivere anche l’articolo.
Sapevamo, senza bisogno che ce lo dicessero, che se avessimo dovuto mancare al lavoro perché nostro figlio era malato, o se rifiutavamo un incarico perché non saremmo tornati in tempo per andare a prenderlo a scuola, o se avessimo avuto bisogno di un orario diversificato, saremmo state estromesse dagli incarichi più interessanti, o addirittura licenziate. Allo stesso tempo, non c'erano asili nido né alcun tipo di sostegno. Ancora oggi, anche se non viene detto, alcuni dirigenti cercano di indagare se c'è una possibilità di gravidanza prima di assumere una donna. La discriminazione passa per molte strade, alcuni esplicite, altre più sottili, ma è comunque ancora molto presente.
È anche fondamentale rendersi conto che se le donne stanno conquistando più spazio nelle redazioni e nel giornalismo, come succede in diversi settori della società, questo non avviene in quanto evoluzione dall'interno. È il contrario. La stampa cambia molto lentamente a causa della pressione che arriva dall'esterno. Con alcune eccezioni, in generale la stampa era - ed è ancora - abbastanza conservatrice e spesso anche sessista, misogina, transfobica e razzista. Se ci sono molte donne bianche nelle redazioni della stampa brasiliana, raramente in una posizione di comando, è obbligatorio rendersi conto che le donne nere e le donne trans sono ancora molto rare.
Le donne non sono una categoria generica. Le donne nere subiscono molta più discriminazione delle donne bianche, per esempio. In un paese come il Brasile, dove il razzismo è strutturale, le donne nere hanno molte difficoltà di accesso all'istruzione e sono discriminate nel mondo del lavoro non solo perché sono donne, ma anche perché sono nere. Sono anche quelle che muoiono di più durante il parto, che più seppelliscono i loro figli a causa della violenza, quelle che vivono nelle case e nelle regioni più malsane e senza servizi igienici di base. E sono anche quelle che meno raggiungono le redazioni dei giornali. C'è ancora molta strada da percorrere verso l'uguaglianza di genere e di razza nei nostri mondi.
LJR: Negli ultimi anni, la situazione dei giornalisti e della stampa in Brasile è diventata più difficile. Qual è la sua visione del giornalismo nel paese per i prossimi anni?
EB: Penso che sia importante tener conto che anche la stampa, in generale, è responsabile della crisi delle democrazie e dell'elezione, tra gli altri, di neofascisti come Jair Bolsonaro e Donald Trump. Sì, c'è il fenomeno della post-verità, dell'auto-verità, delle fake news, ecc. Ma la stampa ha perso credibilità verso la gente anche a causa delle proprie scelte editoriali, commerciali e politiche, molto poco trasparenti. In diversi paesi e anche in Brasile, una gran parte della popolazione non si sente rappresentata dalla stampa e non si riconosce in essa. Senza affrontare queste contraddizioni e responsabilità, sarà difficile andare avanti in un momento così complesso e difficile come quello attuale.
Le forze neofasciste hanno percepito questa crisi di credibilità e l'hanno usata per indebolire la stampa e, con essa, la democrazia. Ma hanno potuto creare solo l'industria dei 'fatti alternativi' perché la crisi di credibilità e rappresentatività era già presente. Nell'affrontare despoti eletti come Bolsonaro, una parte della stampa sta riacquistando la sua credibilità. Ma siccome le responsabilità non sono state assunte o affrontate adeguatamente, ci sono ricadute monumentali che indicano che il problema è molto anteriore e molto più profondo.
Il 29 maggio, per esempio, centinaia di migliaia di brasiliani sono scesi nelle piazze di tutto il paese per chiedere l'impeachment di Bolsonaro, gridando "Fuori Bolsonaro" e "Bolsonaro Genocida". Il giorno dopo, i titoli di due dei più grandi giornali brasiliani hanno ignorato l'evento. Cioè: hanno ignorato le centinaia di migliaia di brasiliani che chiedevano l'impeachment del presidente. Invece, il titolo principale di uno di loro è stato "la ripresa del PIL" e, dell'altro... "turismo". Come riconquistare allora la credibilità dei lettori?
Sempre in quest'anno di crisi profonda, l’Agência Pública, un'agenzia indipendente di giornalismo investigativo, ha fatto un brillante reportage, un’inchiesta di alto livello, sul fondatore di uno dei principali gruppi di grandi magazzini del paese.
Ha mostrato che Samuel Klein, di Casas Bahia, un'icona del mercato in Brasile, è accusato di aver violentato e abusato di ragazze povere minorenni. Il reportage è stato ignorato dalla maggior parte della cosiddetta "grande stampa" o "stampa tradizionale". Come riconquistare allora la credibilità dei lettori?
Ho fatto questa lunga disamina perché credo molto profondamente nel ruolo fondamentale della stampa per una democrazia che meriti questo nome e sono un’appassionata del reportage in quanto documento sulla storia in movimento. La stampa deve essere migliore, più onesta e più inclusiva per recuperare la sua credibilità e le immense sfide del nostro tempo. E ognuno di noi ha un ruolo in questo percorso.
Oggi c'è una parte della popolazione che non legge, non ascolta e non guarda nulla di ciò che viene prodotto dalla stampa. Non c'è nemmeno un conflitto, perché questa parte della popolazione semplicemente la ignora, optando per la scelta dei fatti propri, come se fosse possibile. Sappiamo che la negazione della realtà affronta i limiti della realtà stessa. Quindi l'unico modo per affrontare la crisi della stampa è fare il miglior giornalismo possibile, con un profondo rispetto per i fatti e le persone, affrontando le contraddizioni ed essendo trasparente in relazione ai limiti del giornalismo.
LJR: Nel 2017, lei si è trasferita da San Paolo, la più grande metropoli brasiliana, a una città dell'interno dell'Amazzonia, Altamira, nel Pará. Ora, circa quattro anni dopo, come ha influito questo cambiamento sul tuo modo di fare giornalismo? Come valuta oggi la sua decisione?
EB: Mi sono trasferita da San Paolo ad Altamira nell'agosto 2017 per essere coerente con quello che credo come giornalista e come persona che vive in questo momento limite, esposto all'emergenza climatica e alla sesta estinzione di massa delle specie, entrambe causate dalle azioni di una parte degli umani. Da tutto quello che ho studiato e ricercato come giornalista e da quello che ho imparato in più di 20 anni da reporter delle varie amazzonie (perché ce ne sono molte), mi sembra che sia necessaria una diversa comprensione di ciò che è centro e ciò che è periferia. Mi sembra che le fondamenta naturali della vita, come gli oceani e le foreste tropicali, debbano essere trattati come centri del mondo perché lo sono effettivamente. Le priorità di oggi sono dislocate, ma dobbiamo ricollocarle e riallocarle per essere in grado di affrontare le sfide senza precedenti di quest'epoca.
Come giornalista brasiliana, niente mi sembra più essenziale che seguire ciò che sta accadendo nella più grande foresta tropicale del mondo, che si sta avvicinando rapidamente al punto di non ritorno. Recenti ricerche hanno persino dimostrato che alcune parti della foresta stanno già emettendo più carbonio di quanto ne assorbano, il che è una notizia terribile per chiunque si preoccupi di fermare la nostra stessa estinzione. Quindi, se sostengo che l'Amazzonia è il centro - e non perché me lo dice la mia testa, ma perché è quello che mi dice la mia ricerca giornalistica - allora come potrei continuare ad occuparmi di Amazzonia da San Paolo?
Mi sono trasferita ad Altamira, una delle città più violente dell'Amazzonia e uno degli epicentri della distruzione per poter vedere il pianeta dall’Amazzonia. Questo dislocamento che difendo come concetto e che ho fatto con il mio corpo ha trasformato profondamente il mio modo di intendere la foresta, il pianeta e me stessa. Questo ha migliorato e ampliato la profondità del mio giornalismo, perché non sono più una "inviata speciale" in Amazzonia. Posso eventualmente essere una inviata speciale a San Paolo, Brasilia o Washington. Ma io indago l'Amazzonia dall'interno e guardo il mondo da lì. Questa scelta ha persino cambiato il mio linguaggio e il mio modo di abitare il pianeta. Naturalmente c'è stato un grande costo personale, ma anche un grande guadagno personale. Questo percorso giornalistico è raccontato in un libro che sarà lanciato alla fine di questo mese, in Brasile, da Companhia das Letras, e negli Stati Uniti nel 2023, dalla casa editrice Graywolf.
*Il Premio Maria Moors Cabot è il più antico premio per il giornalismo ancora oggi assegnato. Ideato nel 1938 da Godfrey Lowell Cabot, venne da lui intitolato alla memoria della moglie. Viene assegnato annualmente dal Consiglio della Columbia University, su suggerimento del Rettore della Scuola di Giornalismo della stessa Università, alle eccellenze del giornalismo e fotogiornalismo nelle Americhe. Quest'anno, per la prima volta dalla sua fondazione nel 1938, tutte le vincitrici sono donne giornaliste. Riceveranno una medaglia d'oro e un assegno di 5.000 dollari. Insieme alla Brum, sono state premiate anche Adela Navarro Bello del gruppo messicano Zeta, Mary Beth Sheridan del Washington Post e la fotoreporter Adriana Zehbrauskas, che opera negli Stati Uniti e in Brasile. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 12 ottobre.
*Eliane Brum è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.
Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.
Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).
Site: elianebrum.com
Email: elianebrum.coluna@gmail.com
Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum
Oltre che su questo blog, altri articoli di Eliane Brum tradotti in italiano sono presenti sul sito Il Resto del Carlinho Utopia, qui
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