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Eliane Brum | Volevo tornare ad abitare dentro di me

Updated: Nov 14, 2021

"In natura, è impossibile fuggire dal corpo. Ci reincarniamo in noi stessi e ci reincarniamo come natura nella natura".

Nel suo nuovo libro, Eliane Brum mescola racconti personali e reportage giornalistici per denunciare la crescente devastazione in Amazzonia. In quest’articolo scritto per Vogue, l'autrice parla del suo profondo e duraturo legame con la foresta e della sua lotta per difendere il luogo che ha adottato come sua casa quattro anni fa

di Eliane Brum*, Vogue–Globo, 02.11.2021

(traduzione di Carlinho Utopia)

Eliane Brum | foto: Lilo Clareto
Eliane Brum | foto: Lilo Clareto

Cammino lungo il sentiero sterrato che porta al fiume Xingu, come faccio ogni fine pomeriggio con i miei cani, Babaju e Flora. Apro il cancello blu della mia casa di campagna, i cani cominciano a correre. Io seguo lentamente. Uso questo tempo per liberare la mia testa e cercare risposte che trovo solo quando accetto di perdere il controllo dei miei pensieri. Quel giorno, stavo cercando la risposta per questo testo.


Poi sento un latrato diverso, qualcosa ha agitato i cani. Potrebbe essere un armadillo o un camaleonte o anche una paca (un roditore tropicale, ndt.). O un jaraca o un corallo (jaraca e corallo sono specie di serpenti velenosi, ndt), sono apparsi con le piogge. Mi affretto, ma trovo la strada bloccata da un tucum, un albero della famiglia delle palme. Cerco di trovare un modo per sollevare quel groviglio di rami perché voglio passare. Ma non riesco a far altro che riempirmi la mano di spine.


Torniamo, io e i cani, improvvisamente derubati e persi. Il fiume è proprio laggiù, ma non possiamo più raggiungerlo. Più tardi scoprirò che il tucum era un cadavere ucciso di recente, il vicino aveva aperto una strada e tagliato un pezzo di foresta. C'era un mondo lì al mattino. E nel pomeriggio già non c'era più. È così che scompaiono i mondi delle persone. E scompaiono le persone dal mondo.


Quando la redattrice di Vogue mi ha chiesto di raccontare com'è stato scrivere il mio nuovo libro, "Banzeiro òkòtó, un viaggio neli'Amazzonia centro del mondo" (Companhia das Letras), ho pensato di dover parlare del desiderio che ha mosso la mia scrittura, il desiderio che forse ha mosso tutta la mia vita fino a questo punto, quello di ricongiungermi al fiume. O il desiderio di abbattere tutte le barriere che mi impediscono di scorrere nelle vene del pianeta. Questo libro racconta quel viaggio personale per diventare un qualcuno capace di lasciarsi navigare dal fiume, io acqua, io fiume anche. Io-natura. Un percorso che è esistito solo perché popolato da incontri con esseri visibili e invisibili della foresta amazzonica. Un percorso che è iniziato più di 20 anni fa, quando ho percorso la Transamazonica nel 1998, e che ora, da quando ho lasciato San Paolo e mi sono trasferita ad Altamira, sta in pieno epicentro della distruzione della più grande foresta tropicale del pianeta.


Sono approdata ad Altamira nel 2017 non come "inviata speciale", ma per fare delle rovine della foresta, che ogni città amazzonica è, la mia casa. C'è sempre qualcosa di molto cosciente nelle nostre decisioni, e ciò che è cosciente ci sembra sempre la cosa principale. E c'è qualcosa che vive nel profondo di noi, che si manifesta come intuizione e desiderio. Questo "qualcosa" lo possiamo chiamare inconscio, e a poco a poco scopriamo che è molto più potente. Avevo paura di questo cambiamento, una paura conficcata nel corpo dei giorni come una spina di tucum. Allo stesso tempo, sentivo il potere d'attrazione del banzeiro, che mi prendeva, mi prendeva. Scrivendo questo libro, avrei scoperto che il viaggio senza ritorno ad Altamira era la scelta di staccare le mani dai parapetti d'acciaio di San Paolo e consegnarmi al vortice. (In un altro articolo, Eliane Brum spiega che: "...sente un "banzeiro" dentro di sé. Spiega che "banzeiro" è come la gente dello Xingu chiama il vortice del fiume, la forza circolare che fa girare le barche come giocattoli, e descrive anche il turbinio personale che si è impossessato di lei da quando ha deciso di guardare il Brasile dal suo centro: il cuore dell'Amazzonia.", ndr.)


Ho scelto di abitare al centro del mondo. Spiego. Per anni ho sostenuto, insieme ad altri, la necessità di spostare il concetto di ciò che è centro e ciò che è periferia. In un pianeta in collasso climatico, i centri sono le enclave naturali della vita, come gli oceani e le foreste tropicali, la cui sopravvivenza è essenziale per fermare la nostra stessa estinzione su un pianeta che si sta surriscaldando. E in questi centri ci sono anche le persone che per migliaia di anni hanno convissuto con la natura senza distruggerla, essendo natura loro stessi.


Come giornalista, volevo stare al centro del mondo e raccontare il pianeta dal centro. Così mi sono trasferita da San Paolo, il più grande centro del Brasile, in senso convenzionale, all'Amazzonia, uno dei principali centri del pianeta, in quest'altra prospettiva.


In un modo molto meno cosciente, desideravo riforestarmi. E desideravo tornare ad avere un corpo. In Amazzonia, nella natura, è impossibile, come facciamo nelle città, far finta di non avere un corpo, seduti in ambienti climatizzati davanti allo schermo di un computer o di un tablet o di un cellulare, disponendo del corpo come se fosse un oggetto separato da noi o al nostro servizio. In natura è impossibile fuggire dal corpo. Ci reincarniamo in noi stessi e ci reincarniamo come natura nella natura. Volevo tornare ad abitare dentro di me.


Questo libro è allo stesso tempo la storia di qualcuno che cerca di tornare alla natura e la storia di una foresta in un atto di resistenza. È la storia di come mi sono consegnata al banzeiro e, alla fine della scrittura, mi sono scoperta òkòtó. È anche un appello alla più grande lotta nella traiettoria della nostra specie nell'unica casa-pianeta che abbiamo, una lotta contro l'autoestinzione che potrà essere vinta solo se saremo capaci di diventare un altro tipo di persone, capaci di vivere con tutte le altre persone, umane e non umane.


Mi chiamano al cancello blu. La comunità riaprirà il sentiero verso il fiume e riforesterà la terra violata. So che ci saranno altre barriere il giorno dopo. So anche che continueremo a lottare. Come una foresta. In piedi. Non voglio dover chinare il capo di fronte agli occhi della prossima generazione.


*Eliane Brum è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista, vive ad Altamira, città amazzonica nella quale si è stabilmente trasferita nel 2017. Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo ed è la reporter brasiliana più premiata della storia.

Nel 2021 è stata tra le vincitrici dell'antico e prestigioso Premio Cabot di giornalismo della Columbia University. In Brasile, nel 2019, con il suo libro “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro”, ha vinto il Premio Vladimir Herzog de Anistia e Direitos Humanos, che riconosce il lavoro di giornalisti, reporter fotografici e disegnatori che attraverso il loro lavoro quotidiano difendono la democrazia, la cittadinanza ed i diritti umani.

Collabora con El País e The Guardian. Ha pubblicato un romanzo, "Uma Duas" (2011), ed altri sette libri. Ad ottobre del 2021 ha pubblicato la sua ultima opera "Banzeiro òkòtó: Uma viagem à Amazônia Centro do Mundo". I suoi libri sono stati tradotti in diversi paesi. In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere" (Feltrinelli 2011).


Email: elianebrum.coluna@gmail.com

Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum


Oltre che su questo blog, altri articoli di Eliane Brum tradotti in italiano sono presenti sul sito Il Resto del Carlinho Utopia, qui

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