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Lula libero, sì, ma senza falsare la storia

Updated: Nov 14, 2021

Il PT (Partito dei Lavoratori) non contribuirà alla creazione di un futuro migliore se il suo leader continuerà a cancellare la memoria di Belo Monte.

di Eliane Brum*, El Pais 24.10.2019 (traduzione di Carlinho Utopia e Clelia Pinto)


Nota: questo articolo è stato pubblicato due settimane prima della scarcerazione di Lula, avvenuta finalmente il giorno 8 di novembre del 2019


Inácio Lula da Silva, in prigione da più di un anno, deve essere liberato. E questo probabilmente accadrà, in un modo o nell’altro. Lula deve essere liberato, perché il processo che lo ha portato in carcere è ricco di abusi del potere giudiziario e povero di prove. Come ho già scritto su El País, la prigione di Lula non ha dimostrato che in Brasile persino i potenti possono finire in carcere, bensì che persino loro possono vedere violati i loro diritti. Quel che si ritiene circa la colpevolezza o l'innocenza di Lula non importa, quel che importa sono le prove e il compimento del rito legale. È questo che ci protegge tutti, ed è anche ciò che separa la democrazia dalla dittatura. Ma è fondamentale fare una distinzione. Come qualsiasi brasiliano, Lula ha diritto alla giustizia. Ma Lula non ha il diritto ai fatti suoi.

Sempre più vicino alla possibile liberazione, Lula ha già iniziato la sua campagna in un paese lacerato da odi che anche il suo partito ha contribuito a creare. Ha già annunciato il suo desiderio di viaggiare per il Brasile. È una volontà legittima. Anche perché era lui il candidato che i sondaggi davano per vincente alle elezioni del 2018 e la magistratura, che ha deciso di cambiare in maniera arbitraria la direzione del paese, gli ha impedito di presentarsi. Il PT non deve né può essere cancellato dalla scena elettorale e dal dibattito politico del Brasile, come vorrebbero alcuni gruppi. Chi decide se il partito può rappresentarli sono gli elettori.

Il problema che si annuncia è il tentativo da parte del PT di recuperare lo spazio perso, cancellando le contraddizioni di quando era al potere. E, principalmente, tentando di rimuovere, o per lo meno aggirare, la "pietra nel mezzo del cammino" (ndt. citazione di un celebre verso del poeta e scrittore brasiliano Carlos Drummond De Andrade) chiamata Belo Monte. Non c'è modo di cancellare Belo Monte. Questa pietra è troppo grande.

Belo Monte non è un errore, ma quello che i popoli del fiume Xingu chiamano, sin dai tempi del governo Lula, “crimine contro l’umanità”. È anche ciò che il Ministero Pubblico Federale chiama “etnocidio”. E più recentemente anche “ecocidio” e “genocidio”. È anche il luogo in cui si disegna quella che potrebbe diventare la maggiore tragedia dell’Amazzonia brasiliana: la morte della Volta Grande dello Xingu, dove vivono i popoli Juruna e Arara, oltre ai popoli fluviali, provocata da una gestione predatoria dell'acqua dalla centrale di Belo Monte.

L’autoritarismo distrugge un paese. Per tutti gli ovvi motivi e anche perché interrompe il dibattito pubblico ed i movimenti in corso. In una quotidianità d’eccezione, come quella che il Brasile sta vivendo, le differenze tra i progetti politici sono cancellate in nome dell’obiettivo superiore, quello di impedire la completa distruzione della democrazia. Il processo di miglioramento delle istituzioni e della società è sospeso e si spende ogni energia nell'intento di bloccare la rapida erosione dei diritti.

Il Brasile è un presente continuamente interrotto affinché le élite economiche e politiche (e a volte anche intellettuali) possano mantenere - o riposizionare - il passato. In genere, lo fanno alleandosi a nuovi attori che nulla vogliono cambiare ma solo garantirsi l’accesso al ristretto gruppo di quelli che detengono i privilegi di classe, "razza" e genere. Tra i nuovi attori del momento ci sono, per esempio, i fondamentalisti evangelici.

L’autoritarismo uccide la potenza di una generazione, obbligandola appena a reagire.

La costante interruzione comporta la perdita di tutta l’energia di una generazione di brasiliani nella creazione del futuro. Blocca anche il protagonismo di gruppi storicamente ridotti al silenzio che erano arrivati a contestare il presente, come nel caso dei neri negli ultimi anni. È così che si uccide la potenza di un paese. Obbligando le persone ad esaurire tutte le proprie forze in azioni di contenimento, di riduzione del danno, senza spazio per azioni di avanzamento. È quel che il Brasile, e altri paesi governati da despoti eletti, vivono oggi.

Se il PT è stato fortemente colpito dalle manovre autoritarie delle forze con le quali ha stretto alleanze in passato e con cui potrebbe stringerle ancora, come il MDB (Movimento Democratico Brasiliano), è anche evidente che la truculenza del bolsonarismo al potere ha aperto una possibilità perché il partito possa operare, ancora una volta, per cancellare le sue impronte dai crimini commessi durante i tredici anni di potere. Persone che sono state al governo con il PT o l’hanno appoggiato attivamente, negli ultimi anni hanno dovuto affrontare la dura realtà di un partito che si è corrotto. Più recentemente, però, sembrano essere tornate allo stato di autoillusione: gli abusi commessi dal potere giudiziario rispetto alla prigionia di Lula hanno dato una forte motivazione a tornare a sentirsi dalla parte giusta della storia e far cadere nell'oblio gli atti arbitrari del PT. Per l'ennesima volta si sente dire da parte della sinistra che non è ora di criticare il PT. Non è mai stata l’ora, come sappiamo.

È nell'essenza del manicheismo cancellare le complessità. In un paese polarizzato, il manicheismo serve ai due poli. O tutto è male o tutto è bene. L’adesione alla politica per fede, in cui gli elettori si comportano come fedeli, anche se atei, coinvolge tutto lo spettro ideologico del Brasile. Da destra a sinistra.

La fragilità della democrazia brasiliana è causata, in gran parte, dall’impunità dei responsabili dei crimini della dittatura. Da questo cancellare la memoria è nata una democrazia dall’anima deformata. Uno dei principali obiettivi dei gruppi al potere, in particolare quello dei generali, è di cancellare le tracce delle loro violenze durante il regime militare (1964-1985). Jair Bolsonaro si è sforzato di ribaltare i fatti e riformulare il passato a suo piacimento, trasformando torturatori in eroi e violenze di stato in atti di eroismo. In genere, i governi autoritari investono nella cancellazione della storia come primo atto, sostituendola con la mitologia. Gli stati totalitari del ventesimo secolo sono lezioni complete su questa falsificazione. È proprio per l'aver compreso la grande dimensione di questa violenza che parti della società brasiliana si sono mobilitate per impedire la distruzione della storia della dittatura.

Avremmo già dovuto capire il gravissimo equivoco rappresentato dalla cancellazione della memoria dei fatti in nome dell’opportunismo o, se preferite parole più digeribili, del pragmatismo politico, della strategia elettorale, della governabilità o come volete chiamarlo. Avremmo già dovuto capire che omissioni e silenziamenti ci portano in luoghi ancora più oscuri. Avremmo dovuto, ma tutto indica che non è cosi.

È triste un paese in cui gli uomini politici vogliono essere “miti” e non uomini politici

Nelle interviste rilasciate per preparare la sua possibile uscita dal carcere, Lula lascia intendere chiaramente che continuerà a scommettere sul rafforzamento del suo stesso mito, gonfiato ora dall’ingiustizia subita. Ha detto agli alleati che ha intenzione di girare per il Brasile ed assumere il ruolo di “filo conduttore della pacificazione nazionale”. La “pacificazione”, parola usata anche da Michel Temer (MDB) all’inizio del suo governo, è una parola ricorrente nella storia del Brasile. Come abbiamo già testimoniato, è servita a cancellare asimmetrie, disuguaglianze razziali e iniquità. È la proposta di conciliazione senza giustizia politica. Una delle tragedie del Brasile è l’ossessione per i “miti” quando quel che più ci servirebbe sarebbero un uomo o una donna con abbastanza spirito pubblico da mettere il paese al di sopra delle proprie ambizioni personali.

Quando Lula lascerà la prigione, si troverà in un paese diverso. Con la crisi climatica che si va velocemente aggravando, l’Amazzonia sta raggiungendo rapidamente la centralità che avrebbe sempre dovuto occupare. Senza la foresta in piedi - e per foresta ci si riferisce non solo agli alberi ma a tutte le vite, perché tutto in essa funziona in connessione - non c’è possibilità di affrontare il super riscaldamento globale. In questo contesto, la disastrosa politica dei governi del PT rispetto all’Amazzonia appariranno ancora più (e non meno) evidenti. Questa politica è segnata soprattutto dai “grandi monumenti alla pazzia", come suol dire Antonia Melo, una tra le più importanti leader popolari del Medio Xingu: le centrali idroelettriche di Belo Monte, sul fiume Xingu, Santo Antonio e Jirau, sul fiume Madeira e Teles Pires, sul fiume dallo stesso nome.

Belo Monte, il più grande simbolo di questa politica che ha violato sistematicamente i diritti dei popoli della foresta, sarà, da programma, conclusa quest’anno. Le conseguenze della sua costruzione sono appena iniziate. Ma il peggio potrebbe ancora dover arrivare, nel caso in cui il Ministero Pubblico Federale non riuscisse a impedire che la Norte Energia, impresa concessionaria, metta in atto una gestione delle acque che potrà condannare a morte la Volta Grande dello Xingu, dove vivono i popoli Jaruna e Arara. Altri popoli della ragione travolta da Belo Monte, i Parakanã, Araweté e Assurini, hanno pubblicato un documento lo scorso 22 ottobre nel quale “si pretende la sospensione dell’autorizzazione di Belo Monte e una richiesta formale di scuse per i problemi già causati alle etnie”.

E Lula cosa dice di Belo Monte, un’opera che neppure la dittatura era riuscita a costruire per via della resistenza dei movimenti sociali e dei popoli dello Xingu, ma il PT si, perché ha tradito i suoi alleati?

In un’intervista alla BBC Brasile, a fine agosto, Lula ha dichiarato: “Sono orgoglioso di aver fatto Belo Monte”. E, in seguito: “Non si tenti di incolpare Dilma per quanto sta succedendo a Belo Monte oggi. Ognuno di noi è responsabile per il periodo in cui ha governato il paese”.

A ottobre, in un’intervista alla Uol, Lula ha dichiarato ai giornalisti Flávio Costa e Leonardo Sakamoto: “Non so che farò quando uscirò da qui, ma avrei voglia di tornare allo Xingu, a Belo Monte, io non ho conosciuto Belo Monte. Sono stato lì per un dibattito, per spiegare che sarebbe stato un bene per lo sviluppo. Se tu hai, dopo anni, l'informazione che lì ad Altamira le cose non stanno andando per il verso giusto, l’ho detto in un’intervista, bisogna vedere che cosa sta succedendo ora. Se queste persone stanno rispettando l’accordo fatto nel 2009, se stanno rispettando tutte le condizioni. Quindi quel che ti propongo è, anche per aiutarmi, di cercare i ministri che hanno fatto l’accordo all’epoca e chiedergli di andarci con te per sapere sul posto cosa non viene rispettato."

Sul serio. Lula ha detto proprio questo. Non è dato sapere se sia almeno lievemente arrossito.

Lula può iniziare il suo programma di studi su Belo Monte leggendo le venticinque azioni mosse dal Ministero Pubblico Federale

Nel caso in cui fosse necessario ancora un po’ di tempo per la sua scarcerazione, Lula può organizzare un programma di studi per approfondire le violazioni occorse durante la costruzione di Belo Monte con il PT al governo. Può iniziare dalla stessa gara d'appalto, da lui architettata con l’aiuto dell’amico ed ex ministro della dittatura Delfim Neto.

Vinse un consorzio formato in tutta fretta per simulare una gara, composto da piccole imprese senza nessuna esperienza in progetti di questa portata. In seguito, le grandi imprese - quelle che avevano preferito non concorrere (Odebrecht e Camargo Correa) e quella che ha partecipato e perso (Andrade Gutierrez) - hanno formato il Consorzio Costruttore Belo Monte. Anche le piccole, successivamente, sono migrate verso il consorzio. È nella costruzione che c’è il lucro e anche le tangenti. Questa parte della storia la sta indagando e documentando l’Operazione Lava Jato.

In seguito, Lula può leggere le 25 azioni mosse dal Ministero Pubblico Federale per denunciare tutte le violazioni che si sono verificate nella realizzazione di Belo Monte, alcune delle quali durante il suo stesso governo. Potrà continuare il suo programma di studi leggendo il libro “L’espulsione dei popoli fluviali a Belo Monte” organizzato e pubblicato dalla Società Brasiliana per il Progresso della Scienza (SPBC). In 499 pagine, scienziati e ricercatori di aree differenti documentano le atrocità commesse e le conseguenze che vanno dalla minaccia di estinzione delle specie alla distruzione della salute mentale delle persone che sono state espulse dalle loro terre, isole e case.

Terminato questo libro, il presidente che ha materializzato Belo Monte può approfondire le sue conoscenze sul proprio governo e su quello successivo, di Dilma Rousseff, studiando il dossier pubblicato dall’Istituto Socioambientale in cui si narra come i popoli indigeni siano stati corrotti dalla Norte Energia SA con una “specie di salario mensile da 30.000 reais in mercanzie” facendo sì che persino gli indigeni di recente contatto (ndt. tribù indigene che da poco tempo si sono aperte al contatto con il mondo esterno) passassero a mangiare cibo fast food e a bere bibite gassate anziché alimenti della loro terra e pesci del fiume, potrà anche leggersi i documenti del Ministero della Salute del governo di Dilma Rousseff che dicono quanto segue:

«A partire dal settembre 2010 (ultimo anno del governo Lula), con la costruzione della Diga idroelettrica di Belo Monte, gli indigeni hanno iniziato a ricevere ceste alimentari, composte da alimenti non deperibili e industriali. A causa di ciò, i popoli indigeni hanno smesso di coltivare i loro campi, di piantare e produrre i loro alimenti. Però, a settembre del 2012 (primo mandato di Dilma Rousseff), questo «beneficio » è stato tagliato, gli indigeni hanno perso il rifornimento di cibo e non avevano più campi per la raccolta, il che ha portato all'aumento del numero di casi di grave denutrizione infantile, arrivando a 97 casi pari al 14,3%".

In un altro punto del documento, l’aumento dei casi di “malattia diarreica acuta” nel 2010 è posto in relazione alla presenza della Norte Energia nei villaggi:

"Nel 2010 abbiamo registrato un aumento considerevole, visto che in una popolazione di 557 bambini con meno di 5 anni, si sono verificati 878 casi, l’equivalente del 157% di questa popolazione o di 1.576,3 bambini ogni 1000 [..] Cambiamenti nelle abitudini alimentari con l’introduzione di alimenti industriali provenienti dalle risorse finanziarie delle condizionanti per la costruzione della diga di Belo monte è un altro fattore che contribuisce all’alto indice esistente."

La denutrizione infantile nei villaggi della regione, secondo i dati del dossier, è aumentata del 127% tra il 2010 e il 2012. Un quarto dei bambini era denutrito. Nello stesso periodo, sempre secondo il dossier, gli interventi d'assistenza sanitaria agli indigeni è aumentata del 2000% (duemila per cento) nelle città che rientrano nel raggio di Belo Monte. La situazione è così spaventosa che, nel 2014 (anno dell’elezione di Dilma per il secondo mandato), tecnici della Funai (ndt. Fundação Nacional do Índio - Fondazione Nazionale del'Indio, un'agenzia del governo brasiliano che si occupa di tutte le questioni riguardanti le comunità indigene e le loro terre) hanno raccomandato l’acquisizione di ceste alimentari per affrontare la vulnerabilità alimentare delle comunità. In altre parole: ceste alimentari per impedire che gli indigeni, che prima di Belo Monte avevano un’autonomia alimentare, oggi possano morire di fame o di malattie causate dal consumo improvviso e indiscriminato di prodotti industriali, così come dall’interruzione delle semine, della pesca e della raccolta di alimenti, causata dall’ingresso degli stessi prodotti.

Gli indici di sfruttamento illegale del legname sono saliti alle stelle nell’area interessata dalla grande opera. Nella Terra Indigena Cachoeira Seca, una di quelle coinvolte dalla diga, sono stati estratti 200.000 metri cubi di legno solo nel 2014 (governo Dilma Rousseff). Questa quantità è sufficiente per riempire più di 13.000 camion con rimorchio. Nel 2013, questa terra indigena è stata la più disboscata del Brasile.

Un’indigena del popolo Araweté (osservando l'ingresso delle merci nel suo villaggio), disse all’antropologo Guilherme Heurich: “Le merci sono la contropartita della nostra morte futura”

Dov’era la Funai in quel momento? Ah sì. Era stata opportunamente indebolita in quella regione dal governo del PT, con chiusura dei presidi territoriali giusto quando erano più necessari.

Nella costruzione di Belo Monte, i governi del PT hanno trasformato i popoli della foresta in poveri urbani e hanno inviato l'esercito per reprimere gli scioperi di lavoratori

Visto che Lula è preoccupato dall’opera che ha imposto ai popoli di Altamira e dello Xingu, può anche leggere le testimonianze di abitanti delle aree fluviali costretti a firmare col dito documenti che non erano nemmeno in grado di leggere, documenti che li condannavano a perdere tutto. Quando in migliaia ricevettero l'ordinanza di sgombero non c'era alcuna assistenza legale disponibile per la popolazione colpita, in parte analfabeta.

E ancora, Lula può riflettere su come i governi del Partito dei Lavoratori hanno inviato l’esercito a reprimere gli scioperi dei.. lavoratori. In questo caso, gli operai della centrale idroelettrica e anche le manifestazioni delle popolazioni coinvolte.

Chissà che Lula non voglia proseguire oltre e indagare su come sia stato possibile che la ABIN (ndt. Agência Brasileira de Investigação, i servizi d'inteligence brasiliani) abbia infiltrato, nel 2013, una spia all'interno del movimento sociale Xingu Vivo Para Sempre. Se gli rlmanesse ancora del fiato, può ricordare l'accidentata evoluzione delle licenze di Belo Monte all'IBAMA (ndt. Istituto Brasiliano dell'Ambiente e delle Risorse Naturali Rinnovabili) durante i governi del PT, con alcune dimissioni scandalose di presidenti che si erano rifiutati di firmare permessi inaccettabili.

L’opera è vasta. É impossibile approfondire la distruzione dovuta alla «grande opera del PAC» (ndt. Programma di Accelerazione della Crescita), senza seguire l’esplosione di violenza urbana provocata da Belo Monte, che ha trasformato Altamira nella città più violenta d’Amazzonia. Così come la connessione tra questa violenza e il secondo maggior massacro carcerario della storia del Brasile, avvenuto nel luglio scorso, nel quale 58 persone sono state decapitate o bruciate vive, e altre quattro uccise nel percorso di trasferimento. È essenziale conoscere gli effetti della routine di pallottole e morte sui bambini dei «Risanamenti Urbani Collettivi», i quartieri costruiti dalla Norte Energia per ammassare gli espulsi da Belo Monte. C’è molto, molto di più. Ce n'è da occupare anni e anni di prigione con tutti questi orrori.

E allora, forse, Lula potrà capire la frase detta da Dom Erwin Kräutler, vescovo emerito dello Xingu, nel 2012 “Lula e Dilma passeranno alla storia come predatori dell’Amazzonia”.

Lo sfruttamento predatorio dell’Amazzonia non è rottura, è continuità

Il Brasile recente può essere raccontato dalle rotture. Ma anche da una continuità: lo sfruttamento predatorio dell’Amazzonia come politica di stato. Questa era la politica dei governi della dittatura militare. Ed ha continuato ad essere la politica dei governi della democrazia, nonostante la Costituzione del 1988 garantisse i diritti dei popoli indigeni. Ci sono somiglianze tra la politica per l'Amazzonia sviluppata dalla dittatura e quella implementata dai governi del PT, da Lula, accelerata a partire dall’uscita di Marina Silva dal governo, a Dilma.

Con Bolsonaro, lo sfruttamento predatorio ha raggiunto livelli incomparabili. A una velocità inedita si realizza attraverso una strategia di non protezione della foresta e di rifiuto dell’obbligo costituzionale della demarcazione delle terre indigene. Il bolsonarismo tenta anche di disfare quel che di positivo è stato fatto dai governi precedenti. Il risultato appare visibile già prima della fine del primo anno di governo, con l’esplosione del disboscamento e degli incendi che hanno angosciato il mondo intero.

Sull’Amazzonia sembra non esserci polarizzazione. Sono tutti in sintonia. Dilma ha inaugurato Belo Monte esplodendo d’orgoglio poco prima del suo empeachment, Bolsonaro ha promesso di rendere memorabile la cerimonia in cui sarà messa in funzione l’ultima turbina, i militari di prima e quelli di ora invocano la fake news della minaccia alla sovranità nazionale per continuare a sfruttare la foresta e, solo poche settimane fa, Lula si è dichiarato orgoglioso di quello che gli abitanti dello Xingu chiamano, con un gioco di parole, Belo Mostro.

La Lava jato ha molti significati (ndt. "Operazione Autolavaggio". Inchiesta della magistratura brasiliana, una sorta di "tangentopoli" brasiliana, che ha portato alla luce un sistema generalizzato di tangenti versate da almeno un decennio dalle principali imprese edilizie del paese a responsabili della Petrobras, il colosso petrolifero nazionale a maggioranza statale). Ho sempre criticato i suoi clamorosi abusi, così come i comportamenti inaccettabili dell’allora giudice Sergio Moro. Lui e il procuratore Deltan Dallagnol sono i maggiori nemici della Lava Jato. Per via della loro mancanza di limiti e di una sconfinata vanità, hanno compromesso anche il lavoro dei procuratori seri dell'inchiesta, che avevano smascherato il funzionamento dello schema di corruzione tra partiti e aziende nel paese e messo in galera milionari che fino ad allora godevano dell’impunità come diritto di classe. Tra i lavori seri in corso c'è quello di aver svelato lo schema di corruzione che ha garantito la costruzione di Belo Monte malgrado tutte le violenze visibili a occhio nudo. Questa violazione dello stato di diritto è definita da Thais Santi, procuratrice federale di Altamira, “il mondo del tutto possibile”

Lula ironizza nei confronti di chi chiede autocritica al PT. Ritiene di non dovere nessuna spiegazione a chi lo ha portato al potere grazie al voto, credendo al discorso sull'etica fatto dal suo partito fin dalla sua formazione. Dobbiamo allora capire che il progetto che si è mostrato in tutta la sua immensa distruzione a Belo Monte continua a essere la proposta del partito per l’Amazzonia. Se Lula anela ad elevarsi al ruolo di “pacificatore” del Brasile, deve avere una frase in mente: “Se la pace non sarà per tutti, non sarà per nessuno”.

Non ci sarà pace in Amazzonia senza giustizia. Non permetteremo si cancelli la memoria. Non dimenticheremo. E non lasceremo dimenticare.

*Eliane Brum è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista si occupa in particolare di Amazzonia e di periferie urbane. Collabora con El País e The Guardian e i suoi articoli appaiono anche sulla rivista Internazionale. Ha pubblicato un romanzo, Uma Duas (2011), e varie raccolte di interviste e reportage, tra cui “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro” (Arquipélago). In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere (Feltrinelli 2011). Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo. “Le vite che nessuno vede” è stato selezionato per il National Book Award 2019 ed è stata tradotta in numerosi paesi.


Email: elianebrum.coluna@gmail.com

Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum


Oltre che su questo blog, altri articoli di Eliane Brum tradotti in italiano sono presenti sul sito Il Resto del Carlinho Utopia, qui


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Documentario indipendente diretto da André Vilela D’Elia. Brasile, 2012.

Traduzione, edizione e sottotitoli: Carlinho Utopia e Clelia Pinto


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