Negoziando con l'estremista di destra che governa il Brasile, il presidente democratico rischia di commettere la più grande ingerenza nel destino del Brasile dai tempi della dittatura di Eliane Brum*, El País 14.04.2021 (traduzione Carlinho Utopia)
L'appoggio decisivo degli Stati Uniti alle dittature latinoamericane nella seconda metà del XX secolo è noto e ben documentato. Quello che non ci si aspettava è che, proprio in questo momento storico, in cui gli Stati Uniti hanno appena affrontato il più grande e traumatico attacco alla propria democrazia, Joe Biden possa decidere di rafforzare l'autoritario Jair Bolsonaro. I governi di Bolsonaro e Biden stanno negoziando a porte chiuse un investimento miliardario in Amazzonia che potrebbe essere annunciato al vertice sul clima del prossimo 22 aprile. Ampi settori della società brasiliana vedono la negoziazione come una mossa inaccettabile per legittimare Bolsonaro nel momento in cui è riconosciuto dal mondo democratico come una "minaccia globale" e registra un importante calo della sua popolarità a causa della media di oltre 3.000 morti giornaliere di covid-19. Chi conosce Bolsonaro è anche sicuro che se Biden metterà dei dollari sul conto del governo brasiliano, il presidente e la sua banda troveranno un modo per rimpinguare le tasche dei depredatori dell'Amazzonia, una importante base elettorale per rilanciare le possibilità di una rielezione nel 2022. Non è una situazione confortevole per il governo democratico di Joe Biden. Nel suo discorso inaugurale, il presidente americano ha annunciato che la lotta contro il cambiamento climatico sarà una delle sue massime priorità. Ancora in campagna elettorale, aveva già annunciato la sua intenzione di investire 20 miliardi di dollari nella protezione dell'Amazzonia. Non c'è possibilità di controllare il surriscaldamento globale, una bandiera cara all'ala più progressista del Partito Democratico, senza la più grande foresta pluviale del mondo. Sull’altro fronte, la deliberata inerzia del Congresso brasiliano, seduto su oltre 100 richieste di impeachment di Bolsonaro, rende difficile qualsiasi azione da parte del leader americano: da un lato, la protezione dell'Amazzonia è già diventata emergenza, data la crescente savanizzazione della foresta; dall’altro, l'urgenza obbliga il governo americano a negoziare con il principale responsabile dell'accelerazione della distruzione. E allora cosa fare? Certamente non negoziare a porte chiuse con un Governo che, tra agosto 2019 e luglio 2020, ha disboscato più di 11mila chilometri quadrati di foresta, un'area equivalente a 30 città delle dimensioni di Madrid. I tassi di deforestazione del marzo 2021 sono già i più alti degli ultimi sei anni, con l'estinzione di 367 chilometri quadrati di foresta. E non negoziare, inoltre, con un estremista di destra denunciato dai popoli indigeni e da altri settori della società brasiliana e internazionale come “genocida” alla Corte Penale Internazionale. E ancora, non negoziare con un capo di stato indicato da ricerche internazionali come il peggior gestore della pandemia, le cui azioni volte a diffondere il nuovo coronavirus con l'obiettivo di ottenere l'immunità di gregge, oggi minacciano il controllo globale del covid-19, trasformando il Brasile in un incubatore di nuove varianti. Il primo a propagandare la sorprendente amicizia con il governo Biden è stato proprio il ministro dell'Ambiente, Ricardo Salles, un pregiudicato truffatore ambientale. Salles, che aveva dichiarato con orgoglio in un programma televisivo di aver assunto l'incarico senza mai aver visitato l'Amazzonia e di non sapere chi fosse Chico Mendes, ha tra le sue credenziali una condanna per aver frodato documenti e mappe a beneficio di compagnie minerarie quando era segretario dell'ambiente dello stato di San Paolo. Quando il covid-19 ha raggiunto il Brasile, in una riunione del governo ha proposto che si approfittasse del fatto che la stampa era distratta dalla pandemia per allentare ulteriormente la legislazione ambientale senza rischiare reazioni nella società. Nella sua gestione, il quadro di protezione giuridica, così come gli organi di controllo, sono stati indeboliti. Ribattezzato in Brasile e in parte del mondo come l'anti-ministro dell'ambiente o come ministro contro l'ambiente, Salles era così ansioso di pubblicizzare le trattative con gli americani che ha rilasciato un'intervista alla giornalista Giovana Girardi, giornalista del quotidiano O Estado de S. Paulo, a casa di sua madre. Si è vantato di aver chiesto agli americani 1 miliardo di dollari ogni 12 mesi per ridurre del 40% la deforestazione in Amazzonia. La millanteria di Salles non è piaciuta ai negoziatori americani e ha suscitato una forte reazione da parte di ampi settori della società brasiliana. La scorsa settimana 199 organizzazioni, dagli indigeni agli scienziati, dagli ambientalisti ai giornalisti, hanno firmato una lettera in cui affermano: “Il presidente americano deve scegliere tra il tener fede al suo discorso d'insediamento e il dare a Bolsonaro risorse e prestigio politico. È impossibile sostenere entrambe le cose”. Tra le tante sorprese della trattativa tra i governi Biden e Bolsonaro c'è il fatto che nessuno dei protagonisti della società civile, quelli che da decenni lottano e muoiono per l'Amazzonia, è stato invitato a partecipare.
Lunedì, l'APIB (Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile) ha diffuso un video in inglese indirizzato al presidente americano: “Caro Joe, sappiamo che la Casa Bianca sta stringendo un accordo segreto sul clima con Bolsonaro. Noi brasiliani dobbiamo avvertirti: non fidarti di Bolsonaro. Non lasciare che quest'uomo negozi il futuro dell'Amazzonia. Ha dichiarato guerra contro di noi. Contro i popoli indigeni. Contro la democrazia. Sta diffondendo covid, bugie e odio”. E conclude: “O l'Amazzonia o Bolsonaro. Non puoi conciliare una con l'altro. Da quale parte stai? ". Di fronte alla reazione critica, l'ambasciatore degli Stati Uniti in Brasile, il texano Todd Chapman, si è affrettato a cercare di uscire dall'imbarazzo dichiarando alla stampa che il governo Bolsonaro dovrà "mostrare preoccupazione per l'ambiente per recuperare la fiducia degli americani e espandere i rapporti con la Casa Bianca”. Secondo il quotidiano Folha de S. Paulo, l'ambasciatore statunitense ha classificato il vertice sul clima come “un'opportunità” per il Brasile di ribaltare la situazione e riscattare il proprio impegno per l'ambiente davanti agli occhi del mondo. E qui arriva la parte più interessante. L'ambasciatore ha affermato che il Paese "diventerà eroico" se farà una "dichiarazione forte", riprendendo il suo ruolo di protagonista nel dibattito sull'ambiente. Poiché il Brasile oggi è governato e rappresentato da Jair Bolsonaro, Chapman, una scelta di Donald Trump per l'ambasciata brasiliana, sta alludendo ad un Bolsonaro eroe dell'Amazzonia. Il problema è che nemmeno nella mente degli sceneggiatori più fantasiosi di HBO o Amazon questa trasmutazione suonerebbe lontanamente verosimile. Quello che si sta disegnando, al contrario, è più una trama nello stile di Al Capone. Bolsonaro e il suo fedele lobbista Salles smantellano la legislazione ambientale e indeboliscono gli organi di protezione, incoraggiano i "grileiros" (ndt. "land grabbers", accaparratori di terre; si appropriano illegalmente e quasi sempre con violenza di terre publiche), i "madeireiros" (ndt. taglialegna illegali, trafficanti di legname.) e i "garimpeiros" (ndt. cercatori d'oro e minerali) a invadere le aree pubbliche della foresta, lasciano che il covid-19 si diffonda attraverso i territori indigeni e quando la pressione internazionale si fa più stretta, mettono in scena uno spettacolo pirotecnico con l'Esercito e/o la Forza Nazionale, ignorando ancora una volta gli ispettori dell'Ibama (Istituto per l’ambiente e per le risorse naturali rinnovabili). I risultati sono lì, ben visibili a qualsiasi americano. Con la decisiva collaborazione di Bolsonaro e Salles, le più recenti ricerche mostrano che aree di foresta amazzonica stanno già iniziando a emettere più carbonio di quanto assorbono. Se la distruzione della foresta ancora in piedi continua e se la foresta degradata non viene recuperata, significa che presto l'Amazzonia diventerà parte del problema e non più parte della soluzione. Bolsonaro e Salles distruggono l'Amazzonia e attaccano i popoli della foresta in proporzioni viste solo nella dittatura civile-militare (1964-1965) e poi chiedono soldi per fermarsi. C'è ancora un'altra mascalzonata nella proposta del cosiddetto "sinistro ambientale": solo un terzo delle risorse andrebbe direttamente alla tutela della foresta. Gli altri due terzi sarebbero investiti nello "sviluppo economico" della regione. Qualcuno ha già visto questo modus operandi da qualche parte? Infatti. Il comportamento da gangster non finisce qui. Per alcuni negoziatori esperti, gli Stati Uniti potrebbero anche pagare affinché Bolsonaro non distrugga qualunque possibilità di accordo ai prossimi vertici sul clima. Ricardo Salles, come ha ironizzato un ambientalista, non si alza dal letto la mattina a meno che non sia per mettere mano ai soldi che può controllare. Ed è stato proprio così con il Fondo Amazônia, che garantiva al Brasile un volume di risorse nell’ordine di miliardi dalla Norvegia e anche dalla Germania e che ha finito per essere congelato perché Salles cercava di distrarlo. Salles voleva quello che lui stesso ha definito "un cambiamento nel modello di gestione delle risorse". Gli europei hanno schivato la buccia di banana. Può essere un tanto insolito negoziare con un personaggio del genere. La giornalista Marina Dias, del quotidiano Folha de S. Paulo, racconta che in una delle slides presentate da Salles in un incontro con i membri del team di John Kerry, Inviato Speciale per il Clima del governo Biden, c'era un'immagine di ciò che i brasiliani popolarmente chiamano "La TV del Cane": un bastardino affamato che guarda i polli mentre girano e arrostiscono sullo spiedo. I polli di Salles avevano il simbolo del dollaro stampato sui loro corpi. Sopra c'era scritto: “Payment Expectation” (pagamenti previsti). È facile immaginare chi fosse il cane e chi il pollo. Si potrebbe pensare che Biden e il suo team non abbiano imparato abbastanza come funziona la banda di populisti di estrema destra che corrodono la democrazia mondiale, di cui Bolsonaro, dopo la sconfitta subita da Trump, è l'esempio più eclatante. Ma nessuno è così ingenuo da credere all'ingenuità dei negoziatori americani. A questo tavolo ci sono ancora molte carte coperte: tra queste, la paura che la Cina possa avanzare nell'Amazzonia brasiliana e in altre parti del pianeta, cosa che sta già accadendo, gli ostacoli che ruotano intorno alla tecnologia 5G e anche la pressione delle grandi corporations degli alimenti ultra processati, che vogliono continuare a fare profitti senza subire boicottaggi per l'utilizzo di materie prime originate dalla deforestazione. In questo gioco, il più lento vola. È comprensibile, necessario e auspicabile che Biden voglia investire nella protezione dell'Amazzonia anche per le ragioni più corrette e lodevoli. È, tuttavia, incredibile, inaccettabile e abietto che Biden lo faccia dando soldi al più grande nemico dell'Amazzonia e dei suoi popoli. In loro difesa, i negoziatori americani hanno affermato che Bolsonaro è stato eletto democraticamente e che c'è un urgente bisogno di proteggere l'Amazzonia. Sì, come Donald Trump, Jair Bolsonaro è stato eletto democraticamente. Bolsonaro, tuttavia, come Trump, non è un democratico, in nessun senso che questo termine può avere. Bolsonaro e la sua banda rimangono al governo dopo tutte le atrocità che hanno commesso solo perché il Congresso è dominato da un gruppo di “parlamentares de aluguel” (ndt. Letteralmente “parlamentari in affitto”, che si vendono al miglior offerente) chiamato “Centrão” (ndt. Grande Centro). Anche perché le masse di persone che chiedono l'impeachment non possono scendere in piazza perché il Paese è invaso dal covid-19 e, grazie alla diligenza di Bolsonaro, senza garanzie di vaccini sufficienti. Gli occhietti avidi di Bolsonaro hanno sempre brillato davanti a Donald Trump. Insieme al dittatore nordcoreano Kim Jong-un, il brasiliano è stato uno dei leader mondiali che ha impiegato più tempo per riconoscere la vittoria di Joe Biden sul suo idolo dal ciuffo arancione. Ha anche giustificato l'invasione del Campidoglio del 6 gennaio, sostenendo la menzogna trumpista della "frode" nelle elezioni. Trump, tuttavia, ha sempre lisciato il pelo del suo ragazzotto, ma non ha mai nemmeno pensato di dare quello che gli americani chiamano "serious money" - una cifra decisiva - al suo governo. L'investimento in Amazzonia voluto da Biden, nei modi in cui viene negoziato, potrebbe significare un sostegno per il governo Bolsonaro che nemmeno lui stesso si era mai sognato. Se l'urgenza di proteggere l'Amazzonia non può aspettare la fine del governo predatorio di Bolsonaro, è necessario garantire la partecipazione alle trattative di chi realmente protegge la foresta - contro le aggressioni di Bolsonaro. Come i leader indigeni e le organizzazioni socio-ambientali, quelle che Bolsonaro definisce "cancro". È inoltre obbligatorio subordinare lo sblocco di denaro ad azioni reali e risultati concreti. Fondamentalmente, nei campi dell'etica, della decenza e dei diritti umani, poco popolari nei negoziati internazionali, la sfida di Biden è quella di dare una risposta coerente a una domanda ben più che spinosa: è possibile negoziare con un estremista di destra chiamato "genocida" da gran parte del suo popolo, responsabile di migliaia di morti evitabili e dell'accelerazione della deforestazione in Amazzonia? Se le trattative proseguiranno nei toni attuali, Biden potrebbe sporcarsi le mani proprio all'inizio della sua pretesa di guidare il mondo democratico nella lotta contro la crisi climatica. E, con la giustificazione di proteggere l'Amazzonia, rischia di commettere la più grande ingerenza nel destino del Brasile che un governo statunitense abbia operato dopo la dittatura. L'Amazzonia, sempre più vicina al punto di non ritorno, ha urgente bisogno che la società globale la protegga. Ma questo non sarà possibile donando miliardi di dollari al suo più grande predatore e alla sua banda di distruttori ambientali. *Eliane Brum è nata a Ijuí, nel sud del Brasile, nel 1966. Scrittrice, reporter e documentarista si occupa in particolare di Amazzonia e di periferie urbane. Collabora con El País e The Guardian e i suoi articoli appaiono anche sulla rivista Internazionale. Ha pubblicato un romanzo, Uma Duas (2011), e varie raccolte di interviste e reportage, tra cui “Brasil, Construtor de Ruínas: um olhar sobre o país, de Lula a Bolsonaro” (Arquipélago). In Italia ha pubblicato “Le vite che nessuno vede” (Sellerio 2020) ed un suo testo in "Dignità! Nove scrittori per Medici senza Frontiere (Feltrinelli 2011). Ha vinto moltissimi premi nazionali e internazionali di giornalismo. “Le vite che nessuno vede” è stato selezionato per il National Book Award 2019 ed è stata tradotta in numerosi paesi.
Site: elianebrum.com
Email: elianebrum.coluna@gmail.com
Twitter, Instagram e Facebook: @brumelianebrum
Oltre che su questo blog, altri articoli di Eliane Brum tradotti in italiano sono presenti sul sito Il Resto del Carlinho Utopia, qui
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