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21.01.15

La battaglia per la frontiera Munduruku

Gli indigeni proclamano l’auto demarcazione della terra che può fermare la diga di São Luiz do Tapajós, il nuovo progetto di punta del governo federale. Situata su suolo che gli indigeni considerano sacro, l’area verrebbe allagata dalla diga.  

"Noi non ce ne andiamo", dice il cacique (il capo indigeno).

La frontiera Munduruku è il maggior ostacolo sulla rotta del governo Dilma Rousseff nel progetto di sfruttamento dell’area del Tapajós.

 

Reportage di Ana Aranha e Jessica Mota pubblicato sul sito Pública 

Agência de reportagem e jornalismo investigativo, pubblicato l'11.12.14

traduzione in italiano per il Resto del Carlinho (Utopia) di Clelia Pinto, 

traduzione e sottotitolazione dei video di Carlinho Utopia

La battaglia per la frontiera Munduruku

Sulle rive del fiume Tapajós, ovest dello stato del Pará, la foresta stride sotto i passi dei guerrieri Munduruku. Sono circa venti uomini, forti, le braccia dipinte con tratti uguali a quelli del guscio di Jabuti  (ndt. la Jabuti-tinga é uma specie di tartaruga che si incontra solo nell'est e nel sud dell'Amazzonia).

 

Lavorano in silenzio, le poche parole vengono dette nella loro lingua madre, il Munduruku. Avanzano con attenzione sull'insidioso manto che ricopre il suolo: liane, rami ricoperti di spine e tronchi in decomposizione. I passi sono lenti e fermi. Senza fretta, i guerrieri aprono la foresta per il campo di battaglia. I Munduruku sperimentano una strategia nuova, inedita per questo popolo i cui trascorsi di guerra sono antecedenti al primo contatto con i portoghesi, nel 1768.

 

Muniti di falci e machete, aprono una "picada", un varco di quattro metri di larghezza e sette km di lunghezza. Si tratta dell’auto-demarcazione della terra indigena Sawré Muybu. Ritagliata  in mezzo alla foresta alta, quell’apertura rappresenta una trincea difensiva contro l’avanzata delle dighe idroelettriche progettate per il bacino del Tapajós. Appoggiata da ambientalisti e da alcuni rappresentanti del potere giudiziario, la frontiera Munduruku è il maggior ostacolo sulla rotta del governo Dilma Rousseff nel progetto di sfruttamento dell’area del Tapajós.

 

Gli indigeni hanno dichiarato l’auto-demarcazione della propria terra a ottobre, dopo sette anni di attesa per un’azione della Funai (Fondazione Nazionale dell’Indio). È stato il tempo che l’istituzione ha impiegato per elaborare un documento che riconosce quest’area come sito di occupazione storica e definisce il perimetro della demarcazione: il "Rapporto Circostanziato di Identificazione e Delimitazione della Terra Indigena Sawré Muybu". Da quando è stato terminato, settembre 2013, giace alla presidenza della Funai.

I reporter di Pública hanno avuto accesso in esclusiva al rapporto e lo pubblicano per intero. Si tratta di 193 pagine che dimostrano minuziosamente i vincoli storici tra i Munduruku  e questo pezzo di terra. Il documento indica che le 113 persone che vivono lì vedono minacciata la loro “riproduzione fisica e culturale” dal progetto delle dighe idroelettriche.

E conclude che "il riconoscimento dell’area Sawré Muybu da parte dello stato è imprescindibile per offrire sicurezza giuridica agli indigeni e garantire che i loro diritti vengano rispettati".

 

Si tratta di un rapporto sensibile, perché la demarcazione della terra Sawré Muybu può ostacolare la costruzione di una diga strategica per il governo federale: quella di São Luiz do Tapajós, che sarebbe la terza maggiore nel paese con una spesa prevista di 30 miliardi di reais ed una potenza massima prevista di 8.040 megawatts.

 

Il problema è che il progetto prevede l’allagamento di parti significative della terra indigena Sawré Muybu, rendendo impossibile la vita nell’area. Come soluzione, studi recenti della centrale idroelettrica hanno suggerito lo sgombero dei Munduruku dalla zona. In risposta, la Funai ha definito questa soluzione incostituzionale e ha raccomandato la sospensione della autorizzazione ai lavori della diga, come si legge nella nota ufficiale del 25 settembre alla quale Pública ha avuto accesso.

La rimozione degli indigeni è vietata dall’articolo 231 della Costituzione. In difesa della diga, il governo usa l’assenza di demarcazione come argomento per sostenere che la terra Sawré Muybu non è mai stata ufficialmente riconosciuta come Munduruku. Il che suscita l’ira di tutti i guerrieri e capi indigeni del bacino del Tapajós.

 

Il portone di entrata del mondo

 

Uno dei gruppi etnici più numerosi del Brasile, il popolo Munduruku è composto da più di tredicimila uomini, donne, bambini che vivono sulle rive degli 850 km del fiume Tapajós e dei suoi affluenti. La maggior parte dei villaggi risentirà degli impatti del progetto su quest’area. Sono previste sette dighe nel bacino, oltre a due già in costruzione sul fiume Teles Pires, affluente del Tapajós alla frontiera con il Mato Grosso. Uno dei cambiamenti previsti è la grande diminuzione della quantità di pesce e delle specie cacciabili, elementi essenziali per la sopravvivenza di questo popolo.

Per questo, lungo tutta l’estensione del fiume capi indigeni e guerrieri si sono mobilitati contro le dighe. Ci sono anche gruppi favorevoli, formati da una minoranza che vive nelle città.

 

Preoccupati dall’impatto sul loro territorio inteso come un tutt’uno, gli indigeni Munduruku di differenti aree del bacino si sono uniti e hanno eletto Sawré Muybu come un luogo fondamentale da difendere. Oltre alle famiglie che ci vivono, questa terra ospita il suolo sacro Daje Kapap’ Eipi, inteso come il luogo dove nacquero i primi Munduruku, gli animali e il fiume Tapajós.

Data la sua importanza spirituale e il contesto di conflitto politico, il luogo è comparabile ad una sorta di Gerusalemme Munduruku.

 

“Questo è l’ingresso al nostro territorio, siamo venuti a proteggere la terra per i nostri figli e nipoti. Per il futuro”, dice Saw Rexatpu, guerriero e storico Munduruku, alla fine di un giorno di lavoro nell'area di auto-demarcazione. “I nostri avi sono morti lottando qui e noi andiamo nella stessa direzione. Se muoio qui, lascio la mia storia”. Ha viaggiato tre giorni per rispondere alla chiamata di Juarez Saw Munduruku, il "cacique" (capo del villaggio) Sawré Muybu.

 

Ma se la strategia fallisce e il governo ordina di andar via? “Noi non ce ne andiamo”, risponde il cacique, senza scomporsi. E se la polizia vi porta via con la forza? “È  la fine del nostro mondo, perché noi usciamo da qui solo morti”.

 

Guarda anche la linea del tempo: Decadi di lotta per il Tapajos

Se la Funai non demarca, lo facciamo noi

Il progetto delle dighe ha unito i Munduruku ai "ribeirinhos" (le popolazioni fluviali), che ne subiranno a loro volta gli impatti. Nella "picada" (ndt. il varco che i Munduruku stanno aprendo nella foresta) l’alleanza è stata suggellata con l’aiuto fondamentale del saggio Francisco Firmino Silva, detto Chico Catitu, della comunità Montanha e Mangabal , esperta guida forestale

Chico è stato il primo ad inoltrarsi nel bosco, lasciando dei segni affinché i Munduruku sapessero dove aprire la picada.

 

La sua tecnica si è unita agli orientamenti del sociologo Mauricio Torres e dello storico Felipe Garcia, volontari che hanno utilizzato il GPS. Come riferimento per la picada il gruppo segue le coordinate esatte della mappa per la demarcazione fatta dalla Funai e ancora ferma a Brasilia.

 

A parte il carattere ufficiale, sono poche le differenze tra il lavoro di questa equipe e una demarcazione ufficiale. Quel che maggiormente rende diverse le attività è l’assenza di condizioni minime di sicurezza.

 

Senza l'avallo ufficiale del governo sono tanti i rischi sulla rotta dell’equipe di auto-demarcazione. I reporter di Pública hanno visto un albero di circa cinque metri di diametro e più di trenta d’altezza caduto nel mezzo alla foresta. Al lato della base segata un piccolo ramo indicava la direzione del "madereiro "(ndt. "tagliatore di legno, trafficante di legname)

 

Una settimana prima, in un altro punto della "picada", i Munduruku erano stati accerchiati dalle moto e dai camion di un gruppo di madereiros. Giorni dopo, hanno avvicinato un gruppo di 300 "garimpeiros" (ndt. i cercatori d'oro e di pietre preziose) che estraevano diamanti dalla terra indigena. Avvisati dell'auto-demarcazione, i garimpeiros hanno detto che se ne sarebbero andati via solo se e quando la demarcazione fosse stata ufficiale.

 

I Munduruku hanno già resistito a ripetuti cicli di pressione sul loro territorio e sul loro modo di vivere. All’inizio del ventesimo secolo, furono le spedizioni missionarie. Senza successo, tentarono di interrompere la trasmissione della lingua madre e delle tradizioni. Tra gli anni ’40 e ’60 l’antico Serviço de Proteção ao Índio (Servizio di Protezione dell’Indio) installò un centro di estrazione della gomma in terre Munduruku, in un tentativo mal riuscito si trasformarli in "soldati della gomma". Più recentemente, la preoccupazione venne dall’invasione dei madeireiros e garimpeiros. Ora, la diga si aggiunge a loro.

 

Nel demarcare la foresta, indigeni e ribeirinhos hanno materializzato la frontiera fisica di una disputa bloccata in tribunale da oltre due anni. Simile alla guerra giuridica che ha segnato l’apertura della diga di Belo Monte (stato del Para), il Ministero Pubblico Federale ha già avviato otto azioni per esigere che i lavori sul Tapajós rispettino i diritti delle popolazioni locali.

 

La differenza in questo caso può essere proprio quel che si è imparato sul fiume Xingu.

Dopo aver aiutato a occupare i cantieri di Belo Monte nel maggio 2013, i Munduruku hanno iniziato a seguire il modo in cui gli indigeni di là hanno negoziato con quelli della centrale idroelettrica: rinunciando a pesca, caccia e agricoltura in cambio di aiuti alimentari basici, fuoristrada e altri beni offerti in compenso.

L’attuale stato di dipendenza finanziaria dei villaggi prossimi a Belo Monte è una lezione che spaventa gli indigeni del Tapajós.

 

La vita nel villaggio Sawré Muybu è divisa oggi in due turni.  Tra le attività di auto-demarcazione e le riunioni, capi e guerrieri corrono a piantare mandioca e zucche. Devono conciliare la routine del villaggio con il monitoraggio dei movimenti del governo e della giustizia.

Soffrono per le sconfitte giuridiche, festeggiano le vittorie ma non smettono di organizzare il loro fronte di difesa.

L’auto-demarcazione ha avuto inizio dopo una tesa discussione con l’ex presidentessa ad interim della Funai, Maria Augusta Assirati. 

 

In una riunione filmata dagli indigeni a settembre, l'Assirati ha ammesso che le dighe costituiscono il più grosso ostacolo all’auto-demarcazione dell’area Sawré Muybu. "Io ritengo che questa terra indigena dovrebbe già essere stata delimitata, il rapporto sarebbe dovuto già essere pubblicato, ma questo non dipende dalla volontà di un solo organo".

Sullo stesso argomento e a commento del video sulla riunione tra gli indigeni Munduruku e l'allora presidentessa della Funai Maria Augusta Assirati, vi invitiamo a leggere l'ottimo articolo di Eliane Brum:

Come strappare la Costituzione e massacrare gli indios secondo il governo Dilma Rousseff

Il secondo mandato non è nemmeno iniziato ed il governo di Dilma Rousseff già scrive un capitolo di violenza contro i popoli indigeni, questa volta sul fiume Tapajós, in Amazzonia.  Dopo aver imposto Belo Monte, che già considera cosa fatta, il governo concentra i suoi sforzi nel calpestare tutta la resistenza contro le idroelettriche di São Luiz do Tapajós e Jatobá, nel municipio di Itaituba, nello Stato del Pará. E, come già fece a Belo Monte, passando sopra anche alla Costituzione ed a qualunque principio di rispetto dei diritti e della dignità umana. (...)

È in corso l'ennesimo capitolo cupo della storia brasiliana. Il governo più nocivo per i popoli indigeni e per l'Amazzonia fin dall'epoca della dittatura militare, comincia a scrivere un altro capitolo vergognoso della sua storia.  leggi tutto

Nell’ascoltarla riflettere sull’importanza della diga, il portavoce Roseninho Saw Munduruku ha chiesto la sua rinuncia: "A mio avviso, se lei non vuole lavorare per la Funai, dovrebbe rinunciare all’incarico. Lei non ha interesse nel difendere la nostra causa"Maria Augusta pianse e garantì che rimaneva solo perché riteneva possibile influire sulla soluzione del caso. Nove giorni dopo ha lasciato la presidenza della Funai.

 

“Voi non lo saprete mai”

 

Con un’organizzazione politica peculiare, i Munduruku curano il dibattito e nominano leader che li rappresentino davanti ai "pariwat " (non indigeni). Roseninho è stato scelto come portavoce della Sawré Muybu e coordinatore dell’associazione Pahyhyp, che rappresenta gli indigeni dell'area mediale del corso del fiume Tapajós. Ma non può prendere decisioni da solo. Le parole in portoghese dette in pubblico sono prima discusse in lingua Munduruku. Ad ogni novità, egli torna al villaggio e ascolta il gruppo in lunghe riunioni a cui tutti possono partecipare, anche i bambini. La tradizione politica precede l’arrivo delle dighe. Per lo meno una volta all’anno i Munduruku fanno un’assemblea generale che dura tre giorni e può durare fino all’alba.

 

Roseninho dice che non gli piace avere la responsabilità di rappresentare il gruppo fuori dal villaggio: è lui ad accusare di più i colpi della guerra giudiziaria.

 

Come è successo all’inizio di novembre, in una riunione con il procuratore federale Luís de Camões Lima Boaventura. Il procuratore è una delle voci più forti della difesa dei Munduruku negli ambiti giudiziari, tanto da essere stato addirittura nominato guerriero in un rituale. Ma, quel giorno, aveva una notizia difficile da dare.

 

Dopo aver ottenuto un ordinanza della giustizia federale che intimava alla Funai di pubblicare il rapporto sulla Sawré Muybu, aveva saputo che l’Avvocatura Generale dell’Unione, nella capitale Brasilia, aveva inibito questa decisione. Ovvero, la Funai avrebbe potuto continuare ad essere libera di soprassedere sul processo di demarcazione.

 

La notizia venne comunicata in tono grave dal procuratore, e Roseninho e gli altri leader restarono attoniti. Per lunghi minuti, i Munduruku non fecero trapelare alcuna reazione. Camões tentò di smuoverli: “Non perderai la voce, ora, no?” ma il portavoce riuscì solo a verbalizzare il silenzio: “Io non ho parole”. Il giorno seguente Roseninho, demoralizzato, sbarcò nel porto di Itaituba, la città più vicina al villaggio. Parlò tra le lacrime, in un raro sfogo: “Come posso portare questa sconfitta al mio popolo? Come potrò raccontarlo al cacique?”

Il popolo jabuti

Nonostante l’agitazione nel villaggio a causa delle discussioni  sulle dighe, i Munduruku della Sawré Muybu mantengono l’abitudinario intimo legame con la terra.  Al mattino le donne spazzano le case, che hanno pavimenti di fango, pareti di legno piene di fessure ed il tetto di foglie di "babaçu" (ndt. palma da cocco). Galline e cani mangiano rapidamente quel che viene spazzato fuori.

Quasi non esistono rifiuti non organici. Gli adulti coltivano la terra, pescano e cacciano. L’acqua proviene da un ruscello cristallino che bagna il villaggio.

 

Uscendo da scuola, i bambini corrono da un lato all’altro e mangiano frutti dagli alberi. L’unico capriccio che abbiamo visto è stato rispetto ai bagni: “Mamma mi lascia fare il bagno solo tre volte al giorno” si lamentava un bambino che già aveva superato la quota in un giorno di caldo e sole. Qualche minuto dopo si è buttato nell’acqua gelata del ruscello con un sorriso da un orecchio all’altro.

 

Il menu è sempre una sorpresa, si scopre solo quando pescatori e cacciatori tornano. Le adolescenti puliscono la carne e ne separano una porzione per ogni famiglia. 

 

Per ogni giorno trascorso nel villaggio, ai reporter è stato offerto un tipo di carne diversa: tatu (armadillo), jabuti (tartaruga), veado (cervo), caititu e porcão, saporiti maiali selvatici. La varietà di pesci è stata tale da perdere il conto.

 

È difficile immaginare come sarà la sopravvivenza di questa popolazione in un ambiente con poca offerta di carne e pesce.

Tra tutte le incertezze causate dalle dighe, la maggior paura è quella di essere rimossi e trasferiti in città. “Noi non sappiamo vivere come voi”, spiega Aldira Akai Munduruku. “Abbiamo sempre vissuto in mezzo al bosco, cacciando e pescando. In città la gente dipende dal denaro. Se non ce n’è, non si mangia”. Incinta da cinque mesi e mamma di una bimba di due anni, Aldira conserva il ricordo della fame degli anni in cui ha vissuto nella città di Jacareacanga quando era bambina.

 

Nelle storie raccontate dai più vecchi, narrative che mescolano uomini e animali nello stesso essere, lo jabuti (tartaruga) è l'eroe più presente. Grazie alla sua intelligenza e strategia, vince sempre la forza e la prepotenza dei nemici: la anta (tapiro)la sucuri (anaconda) e la onça (pantera)È per evocare queste sue abilità che i guerrieri si dipingono con tratti uguali a quelli del suo guscio.

Sono presenti anche le storie del passato di guerre. Nella seconda metà del diciottesimo secolo furono tanti gli attacchi agli accampamenti portoghesi, che a loro volta provocarono la reazione delle truppe coloniali, che uno degli affluenti del Tapajós meritò il nome di Rio das Tropas (fiume delle truppe).

 

Da quell’epoca, portano con loro la fama di “cacciatori di teste”. Come il nome suggerisce, tagliavano la gola del nemico abbattuto e, dopo un processo di mummificazione, ne infilavano la testa su una lancia che veniva conficcata ai confini del territorio.

 

La pratica è stata abbandonata oltre un secolo fa, ma i Munduruku evocano il suo potere simbolico dipingendo questa immagine sui cartelli che indicano l'auto-demarcazione.

 

Sebbene difendano il loro territorio, non amano il ruolo di violenti.

“I Munduruku sono pacifici. Ma quando li tocchi sulla ferita, allora diventano molto nervosi”, dice Deusiano Saw Munduruku, professore nella scuola di Sawré Muybuu.

 

Il nome del movimento di resistenza alle dighe è Ipêreg Ayû, che significa “il popolo che si sa difendere”. Roseninho spiega: “Il governo dice che noi siamo minacciosi. Ma siamo noi a essere minacciati”.

Azioni della polizia provocano un morto

 

Nella storia recente di tensioni tra guerrieri Munduruku e forze armate dello stato brasiliano, gli eventi più violenti sono partiti non dagli indigeni ma dallo stato. I villaggi del Teles Pires sono diventati sempre più attivi nella resistenza alle dighe dopo una tragica operazione della polizia Federale.

Nel novembre 2012, Adenilson Kirixi Munduruku è stato ucciso da un colpo alla nuca partito dall’arma dell’ufficiale Antonio Carlos Moriel Sanches. Secondo la denuncia del Ministero Pubblico Federale, i Munduruku stavano discutendo con l’ufficiale perché non distruggesse una palafitta utilizzata per la ricerca dell'oro nel fiume, quando un indigeno l'avrebbe strattonato per un braccio. L’ufficiale sarebbe caduto nel fiume e avrebbe sparato prima alle gambe e poi alla nuca di Adenilson. Il Ministero lo ha denunciato per omicidio ma è stato assolto.

 

“Quello è stato il segnale: il governo sta venendo a fare la guerra ai Munduruku”, dice Maria Leusa Cosme Kaba Munduruku, rappresentante delle donne del movimento Iperêg Ayû. È rimasta spaventata dal modo in cui la polizia ha reagito ai primi spari. Secondo la procuratrice federale Janaína Andrade, i poliziotti sono stati aggressivi nell’immobilizzare donne e anziani, procurando gravi lesioni. “Un signore ha subito addirittura una frattura. Alla fine, hanno raccolto i bossoli e hanno portato via diciassette indigeni, bambini inclusi.” Afferma la procuratrice. In alcuni video girati dai Munduruku è possibile vedere la polizia che spara nel villaggio, in un posto con molte donne e bambini. Il giorno dopo, gli indigeni hanno registrato anche il momento in cui il villaggio piange sul corpo di Adenilson.

Meno di un anno dopo i Munduruku hanno avuto un altro incontro traumatico con la polizia. Nel marzo 2013, gli indigeni di Sawré Maybu hanno incontrato dei biologi alle prese con studi di impatto ambientale per São Luiz do Tapajós, in terra indigena. Poiché non erano stati né consultati né informati circa l'ingresso dell’equipe, i Munduruku hanno esplulso il gruppo. La reazione del governo è stata sproporzionata: “La polizia è scesa qui in elicottero, due navi e quaranta imbarcazioni minori”, dice il cacique Juarez. Secondo una nota del Palazzo del Planalto (ndt. la sede del governo a Brasilia), la Forza Nazionale di Sicurezza è stata inviata per garantire appoggio logistico e sicurezza ai ricercatori.

 

La Spedizione Tapajós, come il governo ha battezzato l’operazione militare, è durata un mese. I giovani ricordano ancora il rumore dell’elicottero che sorvolava il villaggio, i genitori, spaventati, chiusero i bambini in casa. Fu sospesa la caccia. Pescare rimase possibile solo ai margini del villaggio. “Sembrava stessero aspettando che facessimo qualcosa di sbagliato per attaccare. Ricordava molto quel che successe a Teles Pires, abbiamo deciso di stare fermi”, ricorda il cacique Juarez “Era come essere imprigionati nel villaggio”.

Ricevendo le prove che i Munduruku stavano soffrendo un’intimidazione militare nella loro terra, la giustizia federale sospese l’autorizzazione delle dighe.

 

La decisione, pubblicata nell’aprile 2013, è stata la risposta a un’azione del Ministero Pubblico Federale inoltrata da settembre 2012.

 

Il Ministero aveva già chiesto l’interruzione dei lavori a causa di due lacune nel processo di autorizzazione: l’assenza di consultazione con gli indigeni e le popolazioni fluviali e la mancanza della Valutazione Ambientale Integrata, studio che misura gli impatti dell’insieme delle dighe della regione.

 

Dieci giorni dopo, quell'ordinanza giudiziaria provvisoria venne stralciata e la spedizione Tapajós ha seguito il suo corso.

 

Per far questo il governo ha attivato il meccanismo detto di Sospensione di Sicurezza, quello stesso che ha garantito l'avanzamento di Belo Monte.

 

Ostacolando il normale iter giudiziario, questo meccanismo consente di attivare direttamente il Tribunale Superiore di Giustizia, adducendo come motivazione che la paralisi della diga genera “grave danno all’ordine, alla salute, alla sicurezza e all’economia.”

Per il governo, la licenza ambientale è solo un'altra tappa da vincere,

dice il procuratore

Pur consentendo la continuità dell’autorizzazione, il Tribunale Superiore di Giustizia ha mantenuto la clausola del ricorso alla "consulta previa".

Si tratta della Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, di cui il Brasile è firmatario, che stabilisce il diritto delle comunità tradizionali ad essere ascoltate. Nonostante l’obbligo di ascoltarle, non è chiaro quanto le ragioni dei Munduruku  e delle comunità fluviali saranno prese in considerazione nell’ambito dell’autorizzazione. In questa fase, in teoria, il progetto d'impresa dovrebbe essere messo ai voti e, in caso di impatti più gravi, rielaborato. Sempre teoricamente, l’Ibama (Istituto Ambientale Brasiliano)  potrebbe  persino decidere di valutare irrealizzabile l'intera opera.

 

Ma il Ministero delle Miniere e dell’Energia già ha messo in evidenza che la pratica è un’altra. A settembre di quest’anno, l’organo ha annunciato la data per l’asta della diga di São Luiz do Tapajós ancora prima che la Funai desse il suo parere sullo Studio della Componente Indigena (lo studio degli impatti su queste popolazioni). Il parere della Fondazione è parte imprescindibile del processo che precede l’asta.

 

“Come possono anticipare questo passo? Il governo prevede forse che l’Ibama darà l’ok senza neppure verificare gli studi?” chiede il procuratore Boaventura. “Sembra che, per il governo, la licenza ambientale sia solo un'altra tappa da vincere”. Dopo che questa distorsione è stata denunciata dal giornale O Globo, l’asta è stata sospesa.

Per dieci giorni i reporter di Pública hanno tentato di avere un incontro con gli organi legati al governo e alla centrale idroelettrica. L’Ibama, l’Aneel  (Agenzia Nazionale dell'Energia Elettrica) e il Grupo de Estudos (Gruppo di Studi) hanno fatto sapere che non parlano delle autorizzazioni ancora in corso. La Funai e la EPE (Empresa de Pesquisa Energética - Impresa di Ricerca Energetica) hanno declinato per i troppi impegni. La Segreteria Generale della Presidenza non ha accolto le sollecitazioni dei giornalisti.

Non rinunceremo a costruire Tapajós

Nella seconda settimana di novembre, mentre i Munduruku si preparavano per le prime riunioni della consultazione, hanno ricevuto un brutto colpo dal ministro Gilberto Carvalho, capo della Segreteria Generale della Presidenza.

 

In un’intervista alla BBC, Carvalho ha dichiarato che nulla di quel che gli indigeni sostengono impedirà la costruzione della diga:

 

La consultazione non è deliberativa. Deve essere fatta per accogliere richieste, diminuire impatti. Ma non rinunceremo a costruire la diga di Tapajós."

 

L’intervista è stata tradotta ai Munduruku durante una riunione nel villaggio di Sawré Muybu, quello che la diga allagherà. È stato uno dei pochi momenti in cui siamo riusciti a capire quel che si diceva, poiché le parole “ministro” e “diavolo” pare non abbiano traduzione in Munduruku.

 

Una settimana dopo, quaranta uomini e donne Munduruku marciavano in silenzio verso la Funai di Itaituba. A tre isolati dalla sede, un guerriero ha fatto un cenno col braccio e  tutti si sono tolti la maglietta. I tratti dello jabuti disegnati sul corpo erano stati rinforzati e ora facevano il giro completo intorno a tronchi e braccia. Il gruppo è entrato alla Funai e ha confiscato le chiavi di porte e auto, esigendo la pubblicazione del rapporto sulla demarcazione. 

“Vogliamo che Brasilia demarchi subito la nostra terra, noi sappiamo prendercene cura meglio dell’Ibama o dell’ICMBio" (Instituto Chico Mendes de Conservação da Biodiversidade. Organo ambientale del governo brasiliano), ha detto il cacique Juarez riferendosi agli incontri con madereiros e garimpeiros. Dopo sette ore di negoziazione, tutto quel che hanno ottenuto è stato un appuntamento con il nuovo presidente ad interim della Funai, Flávio Chiarelli Azevedo, otto giorni dopo. “Per sentire le stesse cose di sempre?” , ha chiesto Juarez. “Non ci andiamo”. Il gruppo si è presto reso conto che il governo non era molto preoccupato dell’occupazione della Funai di Itaituba e ha deciso di tornare al villaggio.

 

Nonostante i rischi di scontri, sono tornati all’auto-demarcazione. La tappa finale sarà espellere i madeireiros e garimpeiros cosa che è già stata fatta dagli abitanti dei  villaggi del Rio das Tropas. Non ricevendo dallo stato le risposte di cui hanno bisogno, i Munduruku hanno concluso che tocca a loro difendere il proprio territorio. Chiunque sia l’invasore.

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