28.12.13
Assassini di futuro
di Silvestro Montanaro
Sbaglia profondamente chi crede che l’assassinio di Thomas Sankara sia stato un sovrappiù inutile, un lascito superfluo, di quel tempo terribile che va sotto il nome di guerra fredda. Quasi che sia stato un fato avverso a volere la morte dello straordinario presidente del Burkina Faso proprio alla vigilia della soluzione di quel terribile nodo della vicenda umana.
Era il 1987 ed in poco meno di due anni il mondo sarebbe cambiato e con esso la terribile logica che aveva triturato, massacrato, da entrambe le parti contendenti, ogni esperienza non assimilabile o diversa perché potenzialmente nemica. Esistevano solo gli amici a quel tempo. Potevano tranquillamente essere amici impresentabili, ma l’importante è che fossero fino in fondo fedeli ad uno degli imperi contrapposti. Altrimenti…
Un consuntivo soddisfacente ed onesto di quell’era manca ancora. Molto si è scritto e detto degli orrori del “comunismo”. E non sempre a proposito. Ma si sa, la storia, quasi sempre, la scrivono i vincitori. A modo loro, quindi assolvendosi per la gran parte. Ed il punto dolente del post guerra fredda è proprio questo. L’assenza di una riflessione critica e vera sull’operato del campo dei vincitori. Troppo presto, forse, per sperare in questo. Ancora troppi i vivi nel campo dell’Occidente trionfante. E con essi gli interessi e i segreti ancora non confessabili.
L’Occidente, i suoi campioni, in nome della libertà, si sporcarono le mani di altrettanto sangue, di indicibili orrori. Schiere di dittatori sanguinari sostenuti al potere. Erano amici. Massacri e guerre spaventose, come lo sterminio di un milione di filippini. Erano comunisti. Anche le donne ed i bambini. Ed il pozzo senza fine degli orrori in Corea e Vietnam. Anche lì, comunisti, da spazzare via, donne e bambini compresi. Nemici della libertà.
Eppure una riflessione urge, un’analisi critica è fondamentale se si vuol liberare il mondo, per davvero, da chi è capace di ogni orrore e lo giustifica in nome di grandi bandiere. Sarebbe tempo di dir chiaramente che più che bandiere, infatti, si tratta di lerci lenzuoli che coprono interessi spietati che con libertà e diritti umani ben poco hanno a che vedere.
Sankara, la sua “inutile” morte, possono essere un potente punto di partenza. E molto rivelatore. Il Burkina Faso è infatti solo uno scoglio, per giunta sabbioso e poverissimo, per gli strateghi della guerra fredda. Nulla per cui valga la pena sprecar tempo. Il problema è il suo presidente. Sankara è una minaccia enorme e non tanto per quel tragico presente, che le cancellerie occidentali sanno benissimo esser vicino al definitivo tramonto. Quell’uomo è pericoloso, terribilmente pericoloso, per il mondo dei vincitori che sorgerà tra le rovine del muro di Berlino.
Qualcuno all’indomani di quell’evento scriverà incautamente di fine della storia. La caduta dell’impero sovietico, del “grande inverno” e del “regno del male”, aprirebbero le porte al tempo della morte di ogni conflitto, della politica come buona amministrazione della casa comune, il mondo.
Sankara è la denuncia vivente di questo assioma ideologico dei vincitori. La sua idea di politica innanzitutto. La felicità, quella dei governati, al primo posto. Indice degli indici di sviluppo possibili. Il primo, il fondamento. Una politica sobria, al servizio, che rifugge lo spirito di potenza e fa della cooperazione l’asse portante dentro e fuori le mura domestiche. Niente di più ostico per chi si pensa già imperatore unico dell’universo e ne pretende tutti gli sfarzi e tutto il potere possibile. Innanzitutto per se stesso ed i suoi famigli, siano essi un paese intero che pretende di poter vivere e stravivere sulle spalle del resto del mondo.
Il pensiero unico del Dipartimento di Stato americano è lavorare ad impedire, prevenire, eliminare, ad ogni costo, ogni possibile emergenza alternativa alla supremazia americana ed occidentale. Di questa pretesa imperiale, Sankara è nemico assoluto, il pericolo pubblico numero uno con la sua pretesa di felicità. E lo è ancor di più perché intravvede lucidamente le sue strategie di dominio, innanzitutto quelle finanziarie e dell’uso del debito come strumento di conquista.
Denunciare la potenziale schiavitù finanziaria prima dell’Africa e poi del mondo intero è profezia rivoluzionaria. Affermare che il debito è strumento ostile alla democrazia e alla libertà dei popoli e predicare l’onorabilità del non onorarlo, è una minaccia intollerabile per i circoli finanziari che su queste basi immaginano il loro futuro ed i loro successi.
Quando hanno ucciso Sankara, hanno creduto di poter uccidere la felicità. Hanno deciso di renderci tutti schiavi. Grazie al cielo, come Thomas diceva alla sua gente pochi giorni prima di morire, le idee non muoiono mai.
"...e quel giorno uccisero la felicità"
da "C'era una volta"
Rai 3 - 18.01.2013
25 anni fa un piccolo uomo dalla pelle nera sfidò i potenti del mondo. Disse che la politica aveva senso solo se lavorava per la felicita' dei popoli. Affermò, con il proprio esempio personale, che la politica era servizio, non potere o arricchimento personale. Sostenne le ragioni degli ultimi, dei diversi e delle donne. Denunciò lo strapotere criminale della grande finanza. Irrise le regole di un mondo fondato su di una competività che punisce sempre gli umili e chi lavora. E che arricchisce sempre i burattinai di questa stupida arena. Urlò che il mondo era per le donne e per gli uomini, tutte le donne e tutti gli uomini e che non era giusto che tanti, troppi potessero solo guardare la vita di pochi e tentar di sopravvivere. Lo uccisero e tentarono di cancellarne ogni memoria.
Ma, Sankara vive!