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La maledizione

di Silvestro Montanaro (2001)
C'era una volta
Rai 3 -
2001

Viaggio inchiesta nella rivolta delle popolazioni impoverite del Delta del Niger contro le multinazionali petrolifere. Questo documentario contiene documenti esclusivi sui danni arrecati all'ambiente e su alcune esplosioni di oleodotti costate la vita a decine e decine di persone. Il punto di vista delle compagnie petrolifere e le prove di numerose violazioni dei diritti umani. Un documentario che ha ricevuto premi e riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale.

Un articolo di Silvestro Montanaro pubblicato da Il Manifesto il 29.09.2004

NIGERIA, MALEDETTO ORO NERO

Nel Delta del Niger si consuma da decenni la politica di rapina delle multinazionali
di Silvestro Montanaro

 

Sgombriamo subito il campo. Quello del Delta del Niger, con buona pace di quanti dietro ogni starnuto della cronaca internazionale intravedono atti di terrorismo islamico, è uno stato a maggioranza cristiana della Nigeria. Ed è anche uno degli stati più poveri di quel grande mondo che è al quinto posto fra i produttori di greggio di area Opec. Port Harcourt, la capitale del Delta del Niger, è un'immensa baraccopoli, dove alla sera, per far luce, si accendono le candele. La disoccupazione è alle stelle, per la gran parte delle ragazze il proprio corpo è l'unico mezzo di sopravvivenza. Se poi ci si incammina lungo il Niger e si visitano i centri dell'interno, se possibile, la situazione è ancor più dura. Miseria, miseria, miseria. L'oro nero, il petrolio, qui non solo non ha portato ricchezza alle popolazioni, ma addirittura viene considerato una vera e propria maledizione.

Da quando le compagnie internazionali hanno cominciato le proprie attività è stato tutto un susseguirsi di incidenti ambientali che hanno messo in discussione la sopravvivenza di una delle ultime foreste di mangrovia, privato del lavoro migliaia di pescatori e modificate le abitudini alimentari di gente che nel pesce del Niger aveva il suo alimento principale.

 

La minoranza dei super-ricchi

 

È nata una minoranza di super-ricchi, provenienti da altri stati a maggioranza islamica, funzionari governativi e appaltatori senza scrupoli, che ha nei fatti preso in mano ogni ganglio della vita economica e politica della regione petrolifera, in un'orgia di corruzione che ha respinto verso il ghetto della fame e del terrore le popolazioni locali. Sì, perché la grande preoccupazione delle élite al potere in Nigeria, sostenute dagli appetiti energetici e affaristici delle multinazionali petrolifere occidentali e dei loro rispettivi governi, è stata sempre e solo il controllo militare del territorio a costo di ogni efferatezza. Ogni rivendicazione delle popolazioni locali è sempre stata repressa in un mare di sangue.

Si calcola che dal 1956, anno in cui furono scoperti i primi giacimenti, la Nigeria abbia incassato qualcosa come 400 miliardi di dollari.
Una cifra enorme, capace di affrontare alla radice i problemi dell'intera Africa subsahariana, di rendere i nigeriani uno dei popoli più ricchi della terra. E invece, niente. Quei soldi sono spariti nei conti cifrati di tantissime rispettabili banche occidentali, magari attraverso la mediazione dei diplomatici dei tanti paesi del Nord del mondo interessati ad assicurarsi l'immensa torta energetica di quel paese.

 

Fame e terrore

 

L'ultimo dittatore nigeriano è morto misteriosamente anni fa, un nuovo presidente è stato eletto «democraticamente», ma la musica per la gente del delta del Niger non è cambiata. Fame e botte, terrore e pance vuote.

Le compagnie petrolifere giurano di far di tutto per andare incontro ai bisogni della gente, costruiscono qualche scuola e qualche dispensario, ma sono gocce, solo gocce di fronte al mare dello scontento e della frustrazione crescente.

Finora la gente aveva provato a sopravvivere approfittando anche della cattiva manutenzione degli oleodotti. Dove si produceva una falla, subito una folla di donne e bambini accorreva a riempire taniche per il consumo domestico o da vendere al mercato nero. Bastava un nulla e la festa si trasformava in tragedia con centinaia di persone arse vive. La gioventù intanto provava ad organizzarsi, fondava gruppi di resistenza, circondava le piattaforme petrolifere, sequestrava per qualche ora i dipendenti delle compagnie, con l'unico risultato di vedere i propri villaggi messi a ferro e a fuoco dalle truppe governative o da milizie assoldate spesso dalle compagnie petrolifere. Il paternalismo di queste ultime, poi, ha lasciato crescere nel tempo rivalità sanguinose tra comunità e comunità, prestando spesso i propri mezzi a supporto delle rappresaglie delle comunità amiche.

La promessa di guerra totale contro il governo nigeriano della «forza dei volontari del popolo del Delta del Niger», la nuova sigla che invita le compagnie petrolifere a lasciare la Nigeria e che mai prima aveva attentato agli insediamenti petroliferi, racconta che i vari gruppi hanno forse raggiunto un'intesa e una piattaforma comune. Episodio scatenante sarebbero le recenti uccisioni di centinaia di civili accusati di fiancheggiare i gruppi della resistenza, uccisioni la cui responsabilità viene addossata anche ad alcune compagnie accusate di aver informato milizie amiche sulle posizioni dei ribelli grazie a voli spia dei propri elicotteri. Vero o falso, in questa occasione, non sarebbe la prima volta.

Cosa accadrà all'indomani del 1 ottobre, data di scadenza dell'ultimatum, è tutto da vedere, ma una cosa è certa. Siamo di fronte ad un esercito di disperati, ad un esercito praticamente disarmato e votato a dare, al massimo qualche fastidio, di sicuro all'ennesima, sanguinosissima, sconfitta.

 

Il mondo guarda altrove

 

D'altronde l'attenzione del mondo è altrove, tanto altrove da non aver neanche notato come entro pochi anni questa parte del mondo in cui la Nigeria ed i suoi drammi sono conficcati, cioè l'Africa occidentale, fornirà agli Stati Uniti il 25% del proprio fabbisogno energetico. In questa disattenzione, spesso voluta, c'è più di un decennio di guerre africane, quelle che i media hanno bollato con la bestemmia delle guerre etniche e tribali.

Il petrolio è una maledizione per paesi che mai hanno avuto il diritto a raccontarsi e a poter dire la propria. Se ne avessero avuto la possibilità ci avrebbero spiegato il dispotismo delle compagnie petrolifere, lo scontro fra potenze occidentali per assicurarsi le ricchezze del sottosuolo di quel continente al più basso prezzo possibile, visto che la vita di milioni di uomini, donne e bambini neri, spenta nel sangue, non vale nulla. Altro che guerre etniche e tribali, le guerre africane sono perfettamente inserite nella tragica «modernità» dei nostri tempi. Sierra Leone, Angola, Liberia, Guinea Bissau, Congo Brazzaville, l'oro nero e il suo controllo ne sono il filo rosso sangue. Ci avrebbero raccontato di dittatori spietati ricevuti nelle nostre corti, di immense ricchezze trasferite nelle mani della nostra finanza di assalto, di colpi di stato organizzati per poter avere al potere funzionari corrotti e quindi compiacenti, organizzati dalle stesse potenze che agitano per il mondo le bandiere della democrazia e dei diritti umani ad ogni costo.

 

Stanchi di aiuti

 

Ci avrebbero spiegato di esser stanchi di aiuti che non aiutano nessuno, di aiuti dettati da geopolitiche interessate e foriere di nuove guerre, dei «rinascimenti» africani fondati su signori della guerra amici e di preferire piuttosto giustizia, correttezza e trasparenza.

Un popolo può dirsi democratico quando ha la possibilità di controllare quanto c'è nelle casse del proprio stato e come queste ricchezze vengono distribuite e impiegate. E' un diritto elementare, basilare, che agli africani è assolutamente negato. Le multinazionali del petrolio rifiutano ancora oggi di rendere trasparenti i propri bilanci nei confronti dei paesi africani.

Ma di che stupirsi? L'Africa era e rimane terra di rapina, luogo di ogni possibile abuso. Ben due presidenti del Congo Brazzaville, quello spodestato da un colpo di stato organizzato dalla Elf e il suo successore, raccontano candidamente di non aver mai saputo quanto petrolio venisse estratto da questa compagnia nel proprio paese

 

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